In questo numero

covid-19 e cardiologia





Embolia polmonare acuta nei pazienti COVID-19 in Italia

L’embolia polmonare è una complicanza piuttosto frequente in pazienti affetti da COVID-19. Marco Zuin et al. hanno eseguito una metanalisi sistematica formale, secondo le linee guida PRISMA, sul tasso di embolia polmonare acuta in pazienti ospedalizzati per COVID-19 in Italia. Gli autori hanno raccolto i dati di 3287 pazienti, di età media di 66 anni, con diagnosi confermata di COVID-19 ed arruolati in 14 studi monocentrici e 6 multicentrici. La metanalisi ad effetti “random” ha mostrato un tasso aggregato di embolia polmonare acuta pari al 20% (intervallo di confidenza 95% 13-29). Il tasso aggregato è risultato del 32% nei pazienti ricoverati in terapia intensiva e del 48% nei pazienti ricoverati nelle degenze ordinarie. In conclusione, un paziente italiano su cinque, ospedalizzato per COVID-19, sviluppa un’embolia polmonare acuta durante il ricovero. L’incidenza è più alta tra i maschi, tra i soggetti anziani e tra quelli con pregressa coronaropatia. •





Raro caso di miocardite ed embolia polmonare dopo vaccino a mRNA BNT162b2

L’insorgenza di miocardite dopo vaccinazione anti-COVID-19 è molto rara: sono stati segnalati circa 40 casi per milione di dosi nei maschi di età compresa tra i 12 ed i 29 anni, e 2.4 casi per milione nei maschi di età ≥30 anni, con rapporto di 4:1 nei maschi rispetto alle femmine. Niccolò Mancini et al. riportano il caso, molto ben documentato, di un paziente che ha sviluppato miocardite associata ad embolia polmonare a distanza di circa 4 giorni dopo la seconda dose di vaccino a mRNA BNT162b2. Il paziente non ha presentato altri segni di trombosi all’eco-Doppler ed ha mostrato una risposta efficace al trattamento antinfiammatorio e antitrombotico, con dimissione in dodicesima giornata in prognosi favorevole. Ovviamente, il beneficio netto del vaccino anti-COVID-19 sulla salute resta di vitale importanza anche nei soggetti giovani, nei quali questa complicanza risulta di poco superiore all’atteso. •

editoriali





Insufficienza mitralica ischemica: cosa c’è di nuovo?

Come indicato da Myriam Carpenito et al., per definirla in maniera corretta, è importante sottolineare che l’insufficienza mitralica (IM) ischemica si realizza in presenza di un apparato valvolare e sottovalvolare macroscopicamente normale grazie a meccanismi ben precisi, tra loro variamenti associati, e diversamente rappresentati. Da un punto di vista ecocardiografico, area effettiva dell’orifizio rigurgitante rappresenta una misura di gravità della lesione anatomica, mentre il volume di rigurgito esprime il sovraccarico di volume; il primo parametro sembra inoltre avere un impatto prognostico maggiore. Dal punto di vista terapeutico, la terapia medica difatti è rappresentata da quella della disfunzione ventricolare sinistra. In particolare, recentemente, sacubitril/valsartan sembra avere un effetto favorevole sulla riduzione del grado di IM. La terapia di resincronizzazione cardiaca è raccomandata nei pazienti in ritmo sinusale, sintomatici, con frazione di eiezione <35%, in presenza di blocco di branca sinistra con QRS >150 ms. Da un punto di vista chirurgico, come ci descrivono Antonio Maria Calafiore et al., vi è stato più recentemente un cambiamento di approccio dati i risultati non soddisfacenti dell’anuloplastica mitralica isolata. Per molti anni l’IM ischemica è stata considerata solo un problema ventricolare senza alcun coinvolgimento della valvola mitrale (lembi e corde tendinee), ma studi recenti hanno invece evidenziato come vi siano modifiche strutturali dei lembi e delle corde che tenderebbero a bilanciare la dilatazione anulare e l’incremento del tethering sui lembi. Tali modifiche sono mediate principalmente dall’attivazione del transforming growth factor-β, che induce la trasformazione endotelio-mesenchimale e attiva direttamente le cellule interstiziali della matrice extracellulare, causandone la trasformazione in miofibroblasti al fine di produrre nuovo collagene (plasticità mitralica). La plasticità mitralica può dar luogo a diversi quadri anatomici. Il più favorevole, l’adattamento bilanciato, con lembi aumentati di superficie e di lunghezza e corde allungate, con IM assente o lieve. All’altra estremità vi è l’adattamento non bilanciato, dove l’area e la lunghezza dei lembi e la lunghezza delle corde non sono adeguate a rispondere alle modifiche della geometria valvolare. I lembi sono fibrotici e le corde ispessite e spostate in basso; ne consegue un’IM moderata o severa. Fra questi due estremi, vi sono diverse possibilità, con differenti quadri anatomici e gradi di IM. Quindi l’approccio chirurgico non può essere standard per tutti ma deve essere guidato dal quadro anatomico che determina l’insufficienza mitralica ischemica. •

dieci quesiti in tema di...





Dieci quesiti e altrettanti chiarimenti dal valore unico

È indiscutibile che alcuni argomenti siano ostici per la maggioranza dei cardiologi e che, complice l’incidenza non altissima, spesso si rischia di sentirsi non adeguatamente pronti su certe manifestazioni cliniche. Però le insidie sono sempre dietro l’angolo e può capitare in un qualunque ambulatorio o turno di guardia che, come il peggiore dei nostri incubi, si presenti il caso su cui siamo meno aggiornati. In questo numero del Giornale Linda Pagura et al. vengono in supporto di tutti i cardiologi italiani con una ben strutturata rassegna sulla miocardite eosinofila. Attraverso 10 quesiti si affronta questa insidiosa patologia dall’anatomia patologica alla terapia, passando attraverso la diagnosi. Il format permette di fissare rapidamente i punti chiave di questa patologia e fissarli per la routine clinica. Sicuramente, tutti i lettori apprezzeranno la sintesi e chiarezza della rassegna e custodiranno gelosamente queste informazioni.•

rassegne





Percorsi condivisi per la gestione dei pazienti trattati con inibitori delle tirosin-chinasi

Grazie all’impiego di farmaci inibitori delle tirosin-chinasi (TKI) anti-BCR-ABL, negli ultimi decenni l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da leucemia mieloide cronica è significativamente migliorata. Per un appropriato impiego di questi trattamenti, nella pratica clinica è necessario tenere in attenta considerazione i possibili effetti avversi cardiovascolari di questi farmaci. L’articolo di Francesco Maiellaro et al. fornisce una guida pratica per la gestione dei potenziali effetti avversi cardiovascolari associati al trattamento della leucemia mieloide cronica. Gli autori sottolineano la necessità di una stretta cooperazione tra il cardiologo e l’ematologo/oncologo sia nell’iniziale stima del rischio cardiovascolare che nell’implementazione di strategie mirate a ridurre tale rischio. Viene inoltre sottolineato come il follow-up dei pazienti in trattamento con TKI deve avere un timing diverso e prevedere specifici esami strumentali quali l’ecocardiografia, l’eco-Doppler dei tronchi sopra-aortici o l’Holter pressorio, sulla base del rischio del singolo paziente. Nella pratica clinica, al fine di ridurre al minimo il rischio di complicanze cardiovascolari e dunque beneficiare al massimo dei trattamenti con TKI è necessario implementare percorsi gestionali multidisciplinari. •





Sacubitril/valsartan nel paziente cardioncologico

La necessità di disporre di trattamenti efficaci per le complicanze cardiovascolari e la prevenzione del danno miocardico in pazienti affetti da patologie oncologiche è diventata per il cardiologo clinico, in particolare per chi si dedica alla gestione diretta dei pazienti cardioncologici, una reale e pressante esigenza ma anche una sfida sempre più complicata, anche per l’utilizzo crescente da parte degli oncologi di nuovi farmaci ritenuti efficaci per la neoplasia ma con una potenziale e significativa cardiotossicità intrinseca. La dettagliata rassegna di Massimiliano Camilli et al. è incentrata sulle possibilità che l’efficacia dell’associazione sacubitril/valsartan, già supportata da una nota e forte evidenza scientifica in pazienti affetti da scompenso cardiaco, possa estendersi, sia in prevenzione che nel trattamento della disfunzione cardiaca post-trattamento, anche alla popolazione di pazienti oncologici, che finora, per loro peculiari caratteristiche di complessità e di fragilità, non erano stati oggetto di trattamento e attenzione specifica nei trial pubblicati sul farmaco. •





La terapia personalizzata in oncologia: non solo farmaci oncologici

Le malattie cardiovascolari (CV) rappresentano una rilevante causa di morbilità e mortalità competitiva nelle donne con cancro della mammella (CM), il tumore più frequente del sesso femminile ed una delle neoplasie più comuni in assoluto. Tale situazione è conseguenza da un lato del miglioramento nelle cure del tumore per effetto dello screening che consente la diagnosi precoce e dei progressi nella terapia, dall’altro della condivisone dei fattori di rischio e deli effetti “cardiotossici” dei trattamenti oncologici. Negli ultimi anni sono apparsi in letteratura numerosi documenti di consenso e linee guida per la sorveglianza, prevenzione e trattamento del danno da chemioterapia con antracicline e da “target therapy”. In questa rassegna Luigi Tarantini et al. pongono invece l’accento su un aspetto molto spesso trascurato in cardioncologia: gli effetti sull’apparato CV della terapia ormonale anti-estrogenica nelle donne con CM che esprime i recettori per gli estrogeni, l’istotipo più frequente dei tumori mammari. Effettuata per molti anni, tale terapia annulla gli effetti cardioprotettivi degli estrogeni e al contempo contribuisce a peggiorare il profilo di rischio CV delle pazienti amplificando in tal modo gli effetti cardiotossici della chemioterapia. Gli autori esaminano inoltre l’interazione tra terapia e rischio CV intrinseco della donna con CM e offrono spunti clinicamente utili per la sua gestione clinica ponendo l’accento soprattutto sull’assetto metabolico in una logica “personalizzata” secondo l’indirizzo delle recentissime linee guida 2021 sulla prevenzione cardiovascolare della Società Europea di Cardiologia. •

caso clinico





Paclitaxel… un nome da tachicardia ventricolare

Chi non si è imbattuto almeno una volta in paziente con disfunzione ventricolare sinistra da chemioterapici? La cardiotossicità indotta dai farmaci antineoplastici può avere anche altre presentazioni cliniche quali ad esempio il tromboembolismo e le aritmie. Tiziana Leopizzi et al. descrivono un caso peculiare di una cinquantenne affetta da carcinoma mammario duttale infiltrante sottoposto a chemioterapia neoadiuvante con epirubicina, ciclofosfamide e a seguire paclitaxel in nota operatoria per mastectomia. A seguito di insorgenza di episodi di cardiopalmo ritmico è stata documentata una tachicardia parossistica monomorfa a QRS largo con frequenza massima di 200 b/min. Allo studio elettrofisiologico è stata fatta diagnosi di tachicardia ventricolare del tratto di efflusso del ventricolo destro, successivamente trattata con ablazione transcatetere. Gli autori concludono che la chemioterapia con paclitaxel, unitamente ad un intenso stress psichico, possa avere dato origine all’aritmia ventricolare. •

position paper





Ovvero dalle buone intenzioni delle linee guida alla difficoltà della pratica clinica quotidiana

In questo numero del Giornale viene pubblicata la seconda e ultima parte del position paper della Società Italiana di Cardiologia (SIC) sul sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS). Dopo aver analizzato in dettaglio il razionale fisiopatologico che lega il sistema RAAS allo scompenso cardiaco e perché interferire farmacologicamente con lo stesso sistema è cruciale per ottimizzare la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco, in questo numero Pasquale Perrone Filardi et al. entrano più nei dettagli della pratica clinica quotidiana. Questo documento guida mano nella mano il cardiologo che nella sua attività quotidiana deve districarsi tra molecole, effetti collaterali, tollerabilità e lo supporta nelle sue decisioni. In particolare, sono presenti semplici e chiari ragguagli e consigli per titolare nei pazienti la terapia e quindi trasferire la teoria delle linee guida nella quotidianità della pratica clinica. •

registri





Dati 2020 dal Registro Italiano Pacemaker e Defibrillatori

In questo numero del Giornale vengono pubblicati come di consuetudine i dati del Registro Italiano Pacemaker e Defibrillatori relativi all’anno 2020 a cura di Alessandro Proclemer et al. per conto dell’Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC). Il Registro Pacemaker ha coinvolto 142 Centri (pari a circa il 40% dei laboratori di elettrostimolazione) e ha raccolto dati relativi a 22 080 impianti di pacemaker. Emerge una sostanziale stabilità rispetto agli anni precedenti per quanto riguarda le indicazioni all’impianto (il 31% dei primi impianti è stato determinato da difetti di conduzione atrioventricolare di vario grado) e la prevalenza della modalità di stimolazione DDD (68.2% dei primi impianti). Si conferma il basso tasso di impianti di pacemaker biventricolari (2.7% dei primi impianti) nonostante i dati della letteratura siano a favore di questa tipologia di stimolazione in pazienti selezionati. Il Registro Defibrillatori ha coinvolto 330 Centri per complessivi 11 931 impianti di ICD (8266 primi impianti e 3665 sostituzioni), la maggioranza dei quali eseguiti in prevenzione primaria (85% dei primi impianti). Anche nel 2020, i defibrillatori biventricolari sono stati i dispositivi più utilizzati (42.6% della totalità degli impianti, 51.6% delle sostituzioni), tuttavia si è osservata una riduzione dell’utilizzo (meno 7.3% dei primi impianti) rispetto all’anno 2019. La durata mediana dei defibrillatori espiantati è risultata pari a 6.8 anni. Prendendo in esame solamente i casi di espianto per esaurimento della batteria (elettiva e/o fine-vita), tale valore sale a 7.1 anni (I quartile 5.6; III quartile 8.2) a conferma dell’incremento della longevità della batteria dei dispositivi impiantati. Solo lo 0.4% dei dispositivi è stato sostituito per “recall”, confermando il trend favorevole degli ultimi anni. Il Registro Italiano Pacemaker e Defibrillatori, pur con la limitazione di includere solo una parte dei laboratori di elettrostimolazione, riveste un ruolo importante per monitorare l’attività aritmologica nazionale e verificare l’aderenza alle linee guida. Nel febbraio 2020 è iniziata una collaborazione tra AIAC e Istituto Superiore di Sanità, della quale intende avvalersi il Ministero della Salute per potenziare l’attività di vigilanza e sorveglianza dei dispositivi medici e per implementare nei prossimi anni il nuovo Registro Italiano online Pacemaker e Defibrillatori. Tale collaborazione ha già permesso l’analisi delle schede di dimissione ospedaliera provenienti da tutto il territorio nazionale ed una valutazione capillare delle procedure e dei Centri di impianto. La raccolta sistematica di dati nazionali consentirà un confronto con altri importanti registri europei, come quello danese e svedese, attraverso il quale potranno emergere dati utilizzabili per riflessioni cliniche, organizzative e scientifiche. •