Position paper della Società Italiana di Cardiologia: Il blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone nel paziente con scompenso cardiaco – Parte II: Effetti meccanicistici di sacubitril/valsartan, posizionamento nelle linee guida ed utilizzo nella pratica clinica

Pasquale Perrone Filardi1, Ciro Indolfi2, Stefania Paolillo1, Piergiuseppe Agostoni3,4, Cristina Basso5, Francesco Barillà6, Michele Correale7, Antonio Curcio2, Massimo Mancone8, Marco Merlo9, Marco Metra10, Saverio Muscoli11, Savina Nodari10, Alberto Palazzuoli12, Roberto Pedrinelli13, Roberto Pontremoli14, Michele Senni15, Massimo Volpe16, Gianfranco Sinagra9

1Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli

2U.O. Cardiologia, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro

3Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Milano

4Sezione Cardiovascolare, Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi, Milano

5U.O.C. Patologia Cardiovascolare, Azienda Ospedaliera, Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e di Sanità Pubblica, Università degli Studi, Padova

6Dipartimento di Medicina dei Sistemi, Università di Roma Tor Vergata, Roma

7Ospedali Riuniti, Università degli Studi, Foggia

8Dipartimento di Scienze Cliniche Internistiche, Anestesiologiche e Cardiovascolari, Sapienza Università di Roma, Roma

9Dipartimento Cardiotoracovascolare ASUGI, Università degli Studi, Trieste

10Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica, Università degli Studi, Brescia

11U.O.C. Cardiologia, Fondazione Policlinico Tor Vergata, Roma

12Unità di Malattie Cardiovascolari, Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi, Siena

13Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica, Università degli Studi, Pisa

14Università degli Studi e IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova

15Dipartimento Cardiovascolare, ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo

16Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Sapienza Università di Roma, Ospedale Sant’Andrea, Roma

The use of sacubitril/valsartan has been fully recognized in the most recent European and American guidelines that recommend in class I the prescription of this drug in heart failure patients with reduced systolic function. Besides the effects on cardiovascular mortality and heart failure hospitalization, sacubitril/valsartan significantly reduces NT-proBNP levels and improves cardiac remodeling, recognized as one of the mechanistic effects of the drug that is linked to favorable prognostic effects. A careful evaluation of the patients’ clinical profile is needed to implement the use of sacubitril/valsartan into clinical practice and to make the treatment successful. This second part of the position paper focuses on the mechanistic effects of angiotensin receptor-neprilysin inhibitors and on its placement in current guidelines, also suggesting the use of sacubitril/valsartan in specific clinical settings.

Key words. Angiotensin receptor-neprilysin inhibitors; Guidelines; Heart failure; Heart failure with reduced ejection fraction; Sacubitril/valsartan.

EFFETTI DI SACUBITRIL/VALSARTAN SU RIMODELLAMENTO CARDIACO, QUALITÀ DELLA VITA E CAPACITÀ FUNZIONALE

Rimodellamento cardiaco

Il rimodellamento miocardico è uno step centrale nella progressione dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta (heart failure with reduced ejection fraction, HFrEF) e si verifica in risposta a danno cellulare e vascolare, a variazioni dello stato emodinamico ed in seguito ad attivazione neurormonale. Tale processo è caratterizzato da alterazioni della geometria cardiaca, in particolare del ventricolo sinistro (VS), e della funzione miocardica che nel caso dell’HFrEF si traducono in un aumento dei volumi del VS accompagnati da una riduzione della frazione di eiezione (FE) con conseguente comparsa di insufficienza mitralica funzionale. Il rimodellamento che si verifica in corso di scompenso cardiaco (SC) è associato ad un aumentato rischio di eventi avversi e rappresenta, pertanto, un importante target terapeutico. In pazienti affetti da HFrEF è stato riportato che l’effetto favorevole di beta-bloccanti, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (angiotensin-converting enzyme inhibitors, ACEi), antagonisti recettoriali dell’angiotensina (angiotensin receptor blockers, ARB) e antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (mineralocorticoid receptor antagonists, MRA) sul rimodellamento cardiaco, ovvero il cosiddetto processo di rimodellamento inverso caratterizzato da riduzione dei volumi del VS e miglioramento della FE, è associato a ridotti tassi di mortalità1 e rappresenta un elemento da monitorizzare con costanza nel follow-up del paziente scompensato. In aggiunta, il rimodellamento inverso indotto da farmaci “disease modifiers” correla con la riduzione dei valori di peptidi natriuretici (PN)2.

In tale ambito, lo studio PROVE-HF (Prospective Study of Biomarkers, Symptom Improvement, and Ventricular Remodeling During Sacubitril/Valsartan Therapy for Heart Failure)3 ha chiaramente dimostrato il beneficio degli inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina (angiotensin receptor-neprilysin inhibitors, ARNI) sul rimodellamento inverso del VS e dell’atrio sinistro, nonché sulla funzione sistolica e su quella diastolica. Il PROVE-HF è stato uno studio con un singolo braccio, in aperto condotto in 794 pazienti con HFrEF che iniziavano trattamento con sacubitril/valsartan, seguiti per un follow-up di 12 mesi e valutati per endpoint primario di correlazione tra le variazioni dei livelli di frammento N-terminale del propeptide natriuretico di tipo (NT-proBNP) e le modifiche di geometria e funzione cardiaca, in termini di volumi del VS e dell’atrio sinistro, di FE e parametri di funzione diastolica. Le variazioni nel tempo di NT-proBNP sono risultate significativamente correlate a tutte le variazioni osservate di geometria e funzione cardiaca. È stata inoltre osservata un’associazione significativa tra la terapia con sacubitril/valsartan e la riduzione dei livelli di NT-proBNP, passando dai livelli basali di 816 pg/ml ai livelli a 12 mesi di 455 pg/ml (p<0.001). Sono stati osservati miglioramenti dei parametri ecocardiografici di rimodellamento inverso con una riduzione dei volumi del VS ed un miglioramento della FE già dopo 6 mesi di trattamento, mantenuti nel follow-up a 12 mesi; a 12 mesi il 75% dei pazienti ha presentato un miglioramento della FE del 4.9% o superiore ed il 25% dei pazienti un miglioramento del 13.4% o superiore. In aggiunta, il trattamento con sacubitril/valsartan ha determinato già dopo 6 mesi una riduzione del volume dell’atrio sinistro ed un miglioramento dei parametri di funzione diastolica. Infine, sacubitril/valsartan si è dimostrato allo stesso modo efficace in sottogruppi prespecificati quali i pazienti con SC de novo o pazienti naïve alla terapia (192 pazienti [24%] non erano in terapia con ACEi e 78 pazienti [10%] erano ricoverati per SC de novo) quelli in cui non è stata raggiunta la dose target di 97/103 mg bid e quelli che non avevano i livelli basali di NT-proBNP definiti nei criteri di inclusione del trial PARADIGM-HF (Prospective Comparison of ARNI with ACEI to Determine Impact on Global Mortality and Morbidity in Heart Failure)4.

Lo studio EVALUATE-HF5 ha randomizzato 464 pazienti con HFrEF a ricevere 1:1 sacubitril/valsartan o enalapril, valutando l’effetto del farmaco sulla rigidità aortica (enpoint primario), sui valori di NT-proBNP e su parametri di rimodellamento ventricolare sinistro. Dopo 12 settimane di trattamento è stata osservata in pazienti trattati con ARNI una maggiore riduzione della rigidità aortica, dell’NT-proBNP, dei volumi del ventricolo sinistro e dell’atrio sinistro, in assenza di un significativo miglioramento della FE. Ad un’analisi post-hoc, le variazioni di NT-proBNP sono risultate significativamente correlate alle variazioni dei volumi del VS.

Riguardo alla principale conseguenza del rimodellamento del VS, ovvero la comparsa di insufficienza mitralica funzionale, lo studio PRIME (Pharmacological Reduction of Functional, Ischemic Mitral Regurgitation)6 ha randomizzato 118 pazienti con HFrEF ed insufficienza mitralica funzionale a ricevere sacubitril/valsartan o valsartan per un periodo di 12 mesi e ha valutato come endpoint primario la variazione dell’area effettiva dell’orifizio rigurgitante. Lo studio ha dimostrato una riduzione significativa di tale area in pazienti trattati con sacubitril/valsartan (p=0.032), accompagnata da una riduzione del volume rigurgitante, del volume telediastolico del VS, del volume atriale e della stima indiretta delle pressioni di riempimento del VS (rapporto E/e’).

Studi in altre casistiche hanno mostrato come gli effetti sul rimodellamento siano relativamente indipendenti dalla durata dell’insufficienza cardiaca7.

L’insieme di questi dati supporta gli effetti favorevoli di sacubitril/valsartan su tutti gli aspetti del rimodellamento ventricolare sinistro e pone le basi per un’iniziale spiegazione meccanicistica degli effetti del farmaco su endpoint hard osservati nei trial clinici.

Morte cardiaca improvvisa

Lo studio PARADIGM-HF ha documentato una riduzione del 22% del tasso di morte cardiaca improvvisa tra i soggetti trattati con sacubitril/valsartan4. L’effetto si è dimostrato particolarmente evidente nel sottogruppo “cardiomiopatia non ischemica” e indipendente dalla protezione del defibrillatore impiantabile, dispositivo presente in solo il 15% della popolazione arruolata8. Studi minori hanno confermato un ridotto burden aritmico e un minor numero di interventi del defibrillatore nei pazienti in trattamento con sacubitril/valsartan9,10. Il contestuale miglioramento della FE e la riduzione delle dimensioni del VS in questi pazienti suggeriscono una correlazione tra l’effetto antiaritmico e la modulazione del rimodellamento cardiaco di sacubitril/valsartan. Un’azione sui pathway neurormonali è stata inoltre proposta quale spiegazione alternativa e/o complementare al meccanismo sottostante la riduzione della morte cardiaca improvvisa11.

Qualità della vita e capacità funzionale

Una sottoanalisi dello studio PARADIGM-HF12 effettuata su 7623 pazienti che alla randomizzazione avevano completato il Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire (KCCQ) per la valutazione della qualità della vita, ha dimostrato una migliore condizione nel gruppo di pazienti in trattamento con sacubitril/valsartan vs enalapril, persistente nel follow-up di 8 mesi. Lo studio PARALLAX (Prospective Comparison of ARNI vs Comorbidity-Associated Conventional Therapy on Quality of Life and Exercise Capacity)13 ha analizzato in 2572 pazienti con FE >40% seguiti per un follow-up mediano di 24 settimane, l’effetto di sacubitril/valsartan sui valori di PN e sulla capacità di esercizio sottomassimale. A 12 settimane di trattamento è stata osservata una significativa riduzione dei valori di NT-proBNP con sacubitril/valsartan rispetto a terapia con inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (renin-angiotensin-aldosterone system, RAAS) o placebo con un rapporto tra le medie corrette pari a 0.84 (intervallo di confidenza [IC] 95% 0.80-0.88, p<0.001). Nonostante ciò, non vi è stata differenza tra i vari regimi terapeutici a 24 settimane in termini di capacità di esercizio valutata con la distanza percorsa al test del cammino dei 6 min (6-min walk test, 6MWT), stato funzionale inteso come classe della New York Heart Association (NYHA), né qualità della vita al KCCQ.

Riguardo al miglioramento della capacità di esercizio con sacubitril/valsartan in pazienti con HFrEF sono al momento disponibili pochi e contrastanti dati. Uno primo studio pilota14 effettuato in 58 pazienti con HFrEF che iniziavano trattamento con sacubitril/valsartan ha dimostrato un miglioramento della distanza percorsa al 6MWT dopo 30 giorni di trattamento (+13.9%). Nonostante ciò, un più recente studio15 effettuato in 52 pazienti ha confermato un miglioramento della capacità di esercizio con sacubitril/valsartan, ma non ha riscontrato una significativa differenza vs enalapril né nel consumo di ossigeno al picco dell’esercizio né nella distanza percorsa al 6MWT dopo 12 o 24 settimane di trattamento.

EFFETTI RENALI DEGLI INIBITORI DEL SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE

Una riduzione del filtrato glomerulare (glomerular filtration rate, GFR) è di frequente riscontro (prevalenza tra il 30% ed il 50%) nei pazienti con SC e comporta un considerevole aggravio della mortalità e della morbilità cardiovascolare (CV)16,17. La malattia renale cronica (MRC) costituisce inoltre un ostacolo all’ottimizzazione della terapia farmacologica dello SC acuto e cronico18. Sebbene nei pazienti scompensati la presenza di danno renale cronico costituisca un’ulteriore forte indicazione all’impiego di farmaci inibitori del RAAS (ACEi, ARB e MRA), l’implementazione di questi trattamenti è spesso limitata dal rischio di iperpotassiemia e dal possibile peggioramento, ancorché spesso temporaneo e reversibile, della funzione renale.

Fisiopatologia delle interazioni cardiorenali nell’insufficienza cardiaca

Dal punto di vista fisiopatologico un valore di GFR ridotto in un paziente con SC configura uno scenario complesso, nel quale accanto ai tradizionali fattori di rischio per malattie CV ovvero ipertensione, invecchiamento, dislipidemia e diabete, sono spesso presenti in vario grado fattori tipicamente secondari alla nefropatia quali anemia, infiammazione subclinica, alterazioni elettrolitiche e del metabolismo Ca/P ed un significativo sovraccarico emodinamico. Queste condizioni comportano l’instaurarsi di un circolo vizioso tra funzione cardiaca e renale (cui spesso si fa riferimento con il termine di “sindrome cardiorenale”), nel quale i due organi si influenzano sfavorevolmente a vicenda. L’inadeguata perfusione renale indotta dallo SC comporta infatti una serie di variazioni emodinamiche intrarenali17, caratterizzate dall’attivazione del RAAS (Figura 1)19, aumento delle resistenze post-glomerulari e vasocostrizione preferenziale dell’arteriola efferente con conseguente aumento della pressione intraglomerulare finalizzato al mantenimento della frazione di filtrazione e del GFR a fronte di una riduzione della pressione arteriosa sistemica. In un simile contesto l’inibizione farmacologica del RAAS con ACEi o ARB determina vasodilatazione dell’arteriola efferente e può spesso causare una significativa riduzione del GFR, che diventa estremamente sensibile alle variazioni pressorie.




D’altra parte, l’impiego di un ARNI, migliorando la disponibilità dei PN, determina vasodilatazione delle arteriole pre-glomerulari, sebbene la contemporanea inibizione del recettore di tipo 1 dell’angiotensina II possa comportare un’ulteriore riduzione della pressione arteriosa17. L’aumento dei livelli intracellulari di cGMP conseguente all’inibizione della neprilisina (NEP) ottenuta con sacubitril/valsartan si traduce in un aumento della diuresi, della natriuresi e della permeabilità a livello glomerulare.

Inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e funzione renale nello scompenso cardiaco: i grandi trial

Nello studio PARADIGM-HF4 la superiorità di sacubitril/valsartan rispetto ad enalapril nel ridurre la mortalità CV si confermava anche nell’analisi del sottogruppo di pazienti con MRC al basale. Inoltre, la terapia con sacubitril/valsartan dimostrava un migliore profilo di sicurezza renale ed era in grado di rallentare significativamente la progressione del danno renale rispetto al trattamento con enalapril17. Durante il follow-up, la riduzione di eGFR era -1.61 ml/min/1.73 m2/anno con sacubitril/valsartan (IC 95% -1.77 a -1.44 ml/min/1.73 m2/anno) contro -2.04 ml/min/1.73 m2/anno con enalapril (IC 95% -2.21 a -1.88 ml/min/1.73 m2/anno; p<0.001)17. Gli effetti nefroprotettivi di sacubitril/valsartan erano indipendenti dalla presenza di diabete20. La terapia con sacubitril/valsartan era inoltre associata a minore incidenza di iperpotassiemia21, come successivamente descritto, e minor utilizzo di diuretico22. Questi risultati, confermati in numerose metanalisi e in studi di “real-life”, hanno fatto sì che sacubitril/valsartan sia ormai considerato il farmaco di riferimento tra gli inibitori del RAAS nei pazienti con HFrEF a maggior ragione in presenza di MRC.

Iperpotassiemia

La co-somministrazione di farmaci inibitori del RAAS incrementa il rischio di iperpotassiemia, obbligando talora a ridurre il dosaggio o a sospendere uno dei farmaci associati. Lo studio PARADIGM-HF ha tuttavia dimostrato che i pazienti trattati con sacubitril/valsartan hanno un rischio minore di sviluppare iperpotassiemia severa (>6 mEq/l) rispetto a coloro trattati con enalapril4. Inoltre, sacubitril/valsartan ha “vinto” il confronto con enalapril anche quando impiegato in associazione ad un MRA, dimostrando di causare meno frequentemente iperpotassiemia21. Nei casi di elevati valori di potassio in corso di terapia con inibitori del RAAS, nuove resine come patiromer e sodio zirconio ciclosilicato promettono di ridurre il numero di pazienti costretti a interrompere, non avviare o ridurre il dosaggio di tali farmaci, potendo così beneficiare dei conseguenti effetti favorevoli sulla sopravvivenza e sulle ospedalizzazioni per SC23.

LINEE GUIDA DELL’AMERICAN COLLEGE OF CARDIOLOGY/AMERICAN HEART ASSOCIATION

Le linee guida 2016 e successivamente l’update del 2017 dell’American College of Cardiology/American Heart Association (ACC/AHA)24,25 già posizionavano sacubitril/valsartan in classe di raccomandazione I con livello di evidenza B-R (randomized), ovvero evidenza di qualità moderata derivante da un solo trial randomizzato. Ne raccomandavano, in particolare, l’utilizzo non solo in sostituzione ad ACEi o ARB per ridurre ulteriormente il rischio di mortalità e morbilità in pazienti in classe NYHA II-III, come altresì raccomandato allo stesso tempo dalle linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) del 201626, ma ne suggerivano l’utilizzo anche come terapia di prima linea. Infatti, l’update delle linee guida ACC/AHA del 201725 ha da subito inserito l’uso di ARNI allo stesso livello degli ACEi, tranne che per il livello di evidenza B-R vs A, prevedendo non solo lo shift da ACEi ad ARNI nei pazienti sintomatici, ma anche l’utilizzo nei pazienti de novo (ACEi naïve) come primo approccio terapeutico insieme a beta-bloccanti e MRA. Tale concetto è stato ulteriormente rafforzato dall’update ACC/AHA del 202127 dove per il trattamento dell’HFrEF sintomatico (stadio C) viene raccomandato di preferire l’ARNI come primo approccio terapeutico in associazione a beta-bloccante, considerando ACEi o ARB nei pazienti in cui non è possibile prescrivere l’ARNI, valutando poi l’aggiunta di ulteriori farmaci, MRA, inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (sodium-glucose cotransporter 2 inhibitors, SGLT2i), ivabradina, diuretici, ecc., in base al fenotipo di ciascun singolo paziente.

Le linee guida nord-americane hanno dunque rimodulato l’iniziale indicazione all’utilizzo di sacubitril/valsartan come passaggio da ACEi o ARB solo in caso di peggioramento clinico del paziente. È stato infatti considerato che anche il paziente apparentemente stabile in classe NYHA II è comunque un paziente sintomatico ed a rischio di eventi maggiori, come riportato dallo studio PARADIGM-HF4 dove il 25.4% dei pazienti in classe NYHA II nel gruppo trattato con enalapril ha presentato una morte CV o un’ospedalizzazione per SC. Infatti, l’attivazione neuroendocrina, che causa la progressione della malattia, è presente in tutti i pazienti con insufficienza cardiaca e risulta poco correlata ai sintomi. In aggiunta, i pazienti con SC giudicati a minor rischio perché in classe NYHA più bassa presentano un rischio di morte elevato, attribuibile prevalentemente alla morte aritmica (morte improvvisa) in misura maggiore rispetto alle classi funzionali più avanzate, nelle quali la causa è principalmente legata alla progressione della disfunzione di pompa e quindi allo SC “refrattario”. Nello studio PARADIGM-HF4, il rischio di morte CV è risultato significativamente inferiore nel gruppo trattato con sacubitril/valsartan rispetto ad enalapril indipendentemente dalla classe NYHA e da precedenti ospedalizzazioni per SC. In una successiva rianalisi del PARADIGM-HF28 è stato infatti evidenziato come i pazienti clinicamente stabili, definiti tali per un’ospedalizzazione per SC remota (oltre 12 mesi prima dello screening) avevano la stessa probabilità di beneficiare della terapia con sacubitril/valsartan rispetto ai pazienti ospedalizzati più recentemente (3 e 6 mesi prima dello screening) o molto precocemente, entro i 3 mesi dalla dimissione per ricovero per SC, nella fase definita “vulnerabile” perché a maggior rischio di eventi. In tale rianalisi veniva inoltre messo in risalto come anche i pazienti senza precedenti ospedalizzazioni per SC presentassero una significativa riduzione sia dell’endpoint combinato, sia delle sue componenti valutate separatamente, allo stesso modo dei pazienti con precedenti ospedalizzazioni. Come già accennato in precedenza, di particolare interesse è stata l’analisi della riduzione della mortalità CV nello studio PARADIGM-HF dove è emersa una riduzione significativa del rischio di morte CV con sacubitril/valsartan (hazard ratio [HR] 0.80, IC 95% 0.72-0.89, p<0.001) equamente distribuita tra la morte cardiaca improvvisa (HR 0.80, IC 95% 0.68-0.94, p=0.008) e la morte secondaria alla progressione della disfunzione di pompa (HR 0.79, IC 95% 0.64-0.98, p=0.034) che risultavano significativamente ridotte rispetto ad enalapril. Nelle precedenti linee guida europee26 nei pazienti con HFrEF con aritmie ventricolari veniva raccomandato il trattamento con sacubitril/valsartan come primo approccio (insieme a beta-bloccanti e MRA) per ridurre il rischio di morte improvvisa (classe di raccomandazione I, livello di evidenza A).

LINEE GUIDA DELLA SOCIETÀ EUROPEA DI CARDIOLOGIA

Le linee guida ESC 202118, rispetto alle precedenti del 201626, contengono novità rilevanti:

1) la presenza di un algoritmo centrale di trattamento, raccomandato per tutti i pazienti, costituito da ACEi/ARNI, beta-bloccanti, MRA e SGLT2i, ovvero dalle 4 classi di farmaci “disease modifiers”, con l’obiettivo di una rapida implementazione di tutte le classi;

2) un upgrade di sacubitril/valsartan e MRA in prima linea con una raccomandazione per sacubitril/valsartan di classe I con livello di evidenza B in sostituzione degli ACEi per i pazienti con HFrEF, e di classe IIb con livello di evidenza B nei pazienti naïve o con SC de novo;

3) l’introduzione degli SGLT2i come nuova classe di farmaci raccomandati in HFrEF (classe I, livello di evidenza A);

4) la classificazione dello SC con introduzione della categoria “SC a FE lievemente ridotta” (heart failure with mildly reduced ejection fraction, HFmrEF) in sostituzione di FE intermedia (mid-range). Questa nuova classificazione sottolinea un continuum clinico e fisiopatologico dello scompenso a FE fino al 50%, sostenuto anche dall’evidenza di benefico terapeutico delle recenti classi di farmaci (ARNI e SGLT2i). In base a tale classificazione, oggi lo SC viene definito a FE ridotta se la FE è ≤40% (HFrEF), a FE lievemente ridotta se la FE è compresa tra 41% e 49% (HFmrEF) e a FE preservata se ≥50% (heart failure with preserved ejection fraction, HFpEF) (Figura 2).




Punto rilevante di queste novità è la rimodulazione dell’algoritmo terapeutico dell’HFrEF, introducendo il concetto delle classi di farmaci “disease modifiers” ovvero capaci di interferire favorevolmente con la mortalità CV e le ospedalizzazioni per SC. Tali classi sono rappresentate da beta-bloccanti, bloccanti del RAAS o preferenzialmente ARNI, MRA e SGLT2i, per i quali è raccomandata in classe I l’indicazione terapeutica. Ma la vera novità in questo contesto è rappresentata dal superamento dello schema a cascata delle precedenti linee guida, che prevedevano l’introduzione sequenziale di classi di farmaci guidata dalla persistenza dei sintomi, a favore di un modificato approccio che prevede l’obiettivo di introduzione in terapia di tutte e quattro le classi di farmaci “disease modifiers”, nel più breve tempo possibile, secondo il principio della sinergia delle azioni farmacodinamiche29. L’impiego dei beta-bloccanti e degli inibitori del RAAS o ARNI come base della terapia dello SC, con possibilità di considerare gli ARNI come prima scelta terapeutica e con la raccomandazione in classe I di sostituirli agli inibitori del RAAS rappresenta un’ulteriore rilevante novità. L’inserimento delle quattro classi di farmaci dovrebbe comunque essere progressivo per ottimizzarne la tollerabilità e la migliore combinazione dovrà essere impostata partendo dal fenotipo del singolo paziente, avendo però l’obiettivo di inserire le quattro classi di farmaci in un periodo di 4-6 settimane, procedendo poi nel tempo ad opportuna titolazione dei dosaggi fino alla dose massima tollerata. In Figura 3 è rappresentato il nuovo algoritmo terapeutico proposto dalle linee guida ESC 2021 per il trattamento dell’HFrEF18; in Tabella 1 è riportata una guida pratica all’utilizzo di sacubitril/valsartan.










Trattamento dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione lievemente ridotta

La diagnosi di HFmrEF richiede la presenza di sintomi e/o segni di SC e FE lievemente ridotta (41-49%). La presenza di elevati livelli di PNi (peptide natriuretico di tipo B [BNP] ≥35 pg/ml o NT-proBNP ≥125 pg/ml) e l’evidenza di cardiopatia strutturale ci permettono di confermare la diagnosi, pur non essendo obbligatori. L’utilizzo di diuretici in questi pazienti che presentano congestione per alleviare i sintomi è in classe I. Il resto della terapia farmacologica, riguardante le altre classi di farmaci in uso per HFrEF, è raccomandato dalle linee guida in classe IIb, con particolare evidenza per gli ARNI, come precedentemente descritto.

Trattamento dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata

I pazienti affetti da HFpEF sono più frequentemente anziani e donne. Comorbilità come fibrillazione atriale, MRC sono più comuni nei pazienti con HFpEF rispetto a quelli con HFrEF. Al momento della pubblicazione delle linee guida ESC 202118, nessun trattamento aveva dimostrato di ridurre in modo convincente la mortalità e la morbilità nei pazienti con HFpE. Quindi il trattamento raccomandato è un’ottimale gestione delle comorbilità basata sul fenotipo di ciascun singolo paziente. Tuttavia, in contemporanea alla presentazione delle linee guida sono stati presentati i risultati del trial EMPEROR-Preserved (Empagliflozin Outcome Trial in Patients with Chronic Heart Failure with Preserved Ejection Fraction)30 in cui empagliflozin ha dimostrato di ridurre del 31% l’endpoint combinato di morte CV e ospedalizzazioni per SC, risultato trainato dalla riduzione delle ospedalizzazioni ed indipendente dalla presenza di diabete mellito al basale. Inoltre, dall’analisi combinata degli studi PARADIGM-HF e PARAGON-HF (Prospective Comparison of ARNI with ARB Global Outcomes in HF with Preserved Ejection Fraction)31, il beneficio di sacubitril/valsartan sembra estendersi fino ad un valore di FE pari a 55%, comprendendo quindi anche una quota di pazienti con HFpEF, con un beneficio nel sesso femminile anche per valori superiori di FE.

RACCOMANDAZIONI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI CARDIOLOGIA

Titolazione personalizzata in relazione al profilo clinico del paziente

In assenza di controindicazioni, la terapia per l’HFrEF identificata dalle linee guida dovrebbe essere sistematicamente implementata e l’adesione alla stessa nel lungo termine incentivata, alla luce del significativo beneficio in termini di sopravvivenza dimostrato sia dai trial clinici che da studi su coorti di pazienti del “real word”32. Tuttavia aspetti relati alla tollerabilità dei farmaci, come valori pressori marginali, bassa frequenza cardiaca, compromissione della funzione renale e iperpotassiemia, spesso limitano la titolazione della terapia per lo scompenso, sottraendo al malato il beneficio derivante da una terapia medica ottimizzata33,34. Pertanto, un adeguato “profiling” del paziente con HFrEF è fondamentale per poter implementare di conseguenza la terapia35. Nuovi farmaci come gli SGLT2i permettono una più facile implementazione della terapia per lo SC essendo una categoria farmacologica che, oltre a non richiedere aggiustamenti posologici o titolazione, non ha effetti significativi su valori pressori, frequenza cardiaca e valori ematici di potassio. L’introduzione e l’incremento del dosaggio dell’ARNI possono essere ostacolati dal rilievo di pressione arteriosa sistolica marginale, nota la controindicazione all’impiego di sacubitril/valsartan per valori di pressione arteriosa sistolica <100 mmHg, secondo scheda tecnica del farmaco, la quale riproduce i valori pressori limite utilizzati per lo studio PARADIGM-HF. Le attuali linee guida europee, invero, controindicano l’avvio di sacubitril/valsartan in caso di ipotensione sintomatica o valori di pressione arteriosa <90 mmHg18. In ogni caso, il riscontro di basse pressioni arteriose in pazienti con HFrEF impone la valutazione di eventuali cause sottostanti, come ipovolemia, infezioni o sanguinamento, che vanno quindi trattate; farmaci come calcio-antagonisti o nitrati, che non hanno dimostrato un impatto prognostico, dovrebbero essere sospesi, laddove presenti, a favore dei farmaci per lo SC; i diuretici, in stato di euvolemia, dovrebbero essere cautamente ridotti, vista la minor necessità di diuretico descritta nei pazienti in trattamento con ARNI22. Infatti, secondo un’analisi post hoc dello studio PARADIGM-HF, il beneficio in termini di outcome derivante dalla somministrazione di sacubitril/valsartan rispetto all’enalapril era indipendente dai valori di pressione arteriosa al basale36. Pertanto, valori pressori borderline, purché >90-100 mmHg, non dovrebbero scoraggiare il clinico nell’avviare sacubitril/valsartan, anche ricorrendo a titolazioni più rallentate e partendo da dosaggi ridotti. Viceversa, valori pressori minori o la presenza di ipotensione sintomatica, precludendo la possibilità di introdurre gli ARNI, dovrebbero indurre il clinico a massimizzare la terapia medica privilegiando MRA e SGLT2i il cui impatto sulla pressione arteriosa è contenuto35,37.

In presenza di frequenze cardiache <50 b/min, eventuali beta-bloccanti o ivabradina in terapia andrebbero ridotti o sospesi, per privilegiare gli ACEi/ARNI se valori pressori permissivi, oppure MRA e SGLT2i nel caso di pazienti tendenzialmente ipotesi. Nei pazienti con fibrillazione atriale e SC, nei quali i beta-bloccanti hanno dimostrato un beneficio prognostico minore e il raggiungimento di frequenze <70 b/min si è associato ad outcome sfavorevole, la titolazione del betabloccante è scoraggiata, per lo più in coloro con pressioni borderline in cui il ricorso alla digossina in sostituzione del beta-bloccante potrebbe favorire l’introduzione e la titolazione di ARNI35.

Infine, la riduzione degli eventi in termini di morte CV e ospedalizzazione per SC ha dimostrato di non essere modificata dalla presenza di MRC al basale, posto un GFR >30 ml/min/1.73 m2. Inoltre la riduzione del GFR è risultata più lenta tra coloro che assumevano ARNI rispetto ad ACEi17. Ciononostante, frequenti rivalutazioni clinico-laboratoristiche comprensive del dosaggio di creatinina e potassiemia, e una cauta titolazione del farmaco sono d’obbligo nei pazienti con GFR prossimo ai 30 ml/min/1.73 m2, negli anziani e nei pazienti con frequenti riacutizzazioni di SC a cui abitualmente si associa un declino della funzione renale.

Impiego precoce in fenotipi delineati

Paziente con scompenso cardiaco de novo (acuto e cronico)

Le linee guida ESC recentemente pubblicate indicano di considerare l’avvio di sacubitril/valsartan in pazienti con SC de novo, con classe di raccomandazione IIa, livello di evidenza B18. Invero, diversi studi hanno convincentemente dimostrato la buona tollerabilità e la sicurezza dell’introduzione precoce del farmaco in pazienti ospedalizzati per SC acuto di nuova diagnosi o riacutizzazione di SC cronico e riscontro di ridotta FE. Nel PIONEER-HF (Comparison of Sacubitril-Valsartan versus Enalapril on Effect on NT-proBNP in Patients Stabilized from an Acute Heart Failure Episode), 303 (34%) pazienti erano SC de novo e 459 (52%) non erano in trattamento con ACEi38. Nel TRANSITION, 286 pazienti (29%) erano nuove diagnosi di SC e 241 (24%) non erano stati precedentemente esposti ad ACEi39. Il beneficio derivante dall’avvio precoce del sacubitril/valsartan è stato quantificato in un’analisi post hoc del PIONEER-HF in una riduzione del 42% delle morti per causa CV e ospedalizzazioni per SC rispetto ai pazienti trattati con enalapril38. Inoltre, in un’analisi per sottogruppi del TRANSITION, il profilo rischio-beneficio associato all’avvio di sacubitril/valsartan come terapia di prima linea nel paziente con SC acuto de novo è risultato migliore rispetto ai pazienti con riacutizzazione di SC cronico39.

Paziente acuto in trattamento con inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (sostituzione con inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina)

Sacubitril/valsartan si è dimostrato sicuro ed efficace nei pazienti con SC acuto stabilizzato con avvio intraospedaliero o a pochi giorni dalla dimissione40,41. La precoce separazione delle curve e l’entità del beneficio in termini di riduzione degli eventi (mortalità CV e ospedalizzazioni per SC) sembra ricalcare il beneficio conseguito dai pazienti con SC cronico nello studio PARADIGM-HF4. L’introduzione di sacubitril/valsartan è in ogni caso subordinata alla stabilizzazione del quadro emodinamico, presenza di adeguati valori pressori e GFR >30 ml/min/1.73 m2. Un periodo di wash-out da ACEi di almeno 36 h deve essere rispettato prima di avviare sacubitril/valsartan.

Paziente cronico in trattamento con inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (modello PARADIGM-HF ambulatoriale)

In seguito alle evidenze derivate dalla pubblicazione del trial PARADIGM-HF4, la sostituzione di ACEi o ARB con sacubitril/valsartan in pazienti che persistono sintomatici nonostante terapia medica ottimizzata è raccomandata da tutte le società scientifiche. Registri prospettici hanno confermato l’efficacia e la buona tollerabilità del farmaco anche nella pratica clinica quotidiana, con incremento della mortalità da tutte le cause nei pazienti che sospendevano sacubitril/valsartan rispetto al beneficio in termini di miglioramento di classe NYHA e riduzione dei livelli di NT-proBNP nella coorte di pazienti che proseguiva il trattamento42. Tuttavia, rimane una certa distanza tra i pazienti arruolati negli studi e la popolazione del “real-word” eleggibile al trattamento, stimata tra il 34% e il 76% dei pazienti sintomatici per HFrEF, in funzione della terapia con ACEi o ARB al basale.

Paziente con frazione di eiezione ridotta post-infarto miocardico acuto

Lo studio PARADISE-MI (Prospective ARNI vs ACE Inhibitor Trial to DetermIne Superiority in Reducing Heart Failure Events After MI) ha investigato il ruolo di sacubitril/valsartan nel prevenire lo sviluppo di SC e la morte CV nei pazienti ospedalizzati per infarto miocardico acuto (76% STEMI, 24% non-STEMI) e contestuale FE ≤40%43. Lo studio non ha dimostrato differenze significative sull’endpoint primario, sulla mortalità CV e per tutte le cause, o sulle ospedalizzazioni per SC tra i due trattamenti. Tuttavia, quando tutte le ospedalizzazioni per SC sono state incluse nell’endpoint composito (senza distinzione tra prima e successive ospedalizzazioni per SC), si è registrato un beneficio nei pazienti trattati con ARNI rispetto ai pazienti trattati con ACEi.

Altri studi, seppur di piccole dimensioni, hanno esplorato l’efficacia e la sicurezza dell’avvio precoce di sacubitril/valsartan nei pazienti con HFrEF post-STEMI, esibendo risultati più incoraggianti rispetto allo studio PARADISE-MI. I pazienti trattati con ARNI hanno mostrato una riduzione degli eventi CV a 6 mesi, per lo più guidate da una riduzione delle ospedalizzazioni per SC, un maggior incremento della FE con rimodellamento positivo e una contestuale maggior riduzione dei livelli di NT-proBNP rispetto ai pazienti in terapia con ACEi. Viceversa, la tollerabilità è risultata buona44.

Il gruppo di McMurray ha evidenziato invece che nei pazienti asintomatici con disfunzione sistolica ventricolare sinistra quale esito di pregresso infarto miocardico, sacubitril/valsartan non ha un beneficio aggiunto rispetto al solo sartano nel favorire il rimodellamento inverso45.

Essendo tali dati ancora preliminari e discordanti, le linee guida europee non si sono espresse in merito.

Paziente con frazione di eiezione 40-50%

Le evidenze nei pazienti con HFmrEF (FE 41-49%) rimangono ancora scarse. Tuttavia per la prima volta le linee guida ESC si sono espresse in merito, indicando la possibilità di considerare il trattamento con sacubitril/valsartan in questo sottogruppo di pazienti (classe di raccomandazione IIb, livello di evidenza C)18. L’indicazione, come già descritto, deriva dall’analisi prespecificata per sottogruppi del PARAGON-HF che suggeriva un possibile beneficio dall’uso di sacubitril/valsartan nei pazienti con FE inferiore alla mediana46 e dall’analisi combinata degli studi PARADIGM-HF e PARAGON-HF che ha messo in evidenza come il beneficio derivante dalla terapia con tale farmaco, per lo più in termini di una riduzione delle ospedalizzazioni per SC, appare estendersi alla classe di HFmrEF31. Va tuttavia segnalato che la significatività statistica si mantiene solo fino alla classe di SC con FE compresa tra 32.5% e 42.5%, mentre per le categorie prespecificate di FE >42.5% i dati elaborati rimangono non conclusivi, pur indicando un’estensione del beneficio fino a valori di FE 55%31.

CONCLUSIONI

Dalle prime osservazioni ad oggi, la storia del blocco del RAAS, e più recentemente del blocco combinato del sistema renina-angiotensina e PN, è rappresentata da una lunga serie di evidenze di beneficio clinico (riduzione di mortalità ed ospedalizzazioni) nei pazienti con HFrEF, che ne hanno determinato il ruolo centrale nella terapia dello SC. Conseguentemente gli studi clinici di intervento hanno tutti previsto l’impiego di nuove classi di farmaci in aggiunta al blocco del RAAS, fino allo studio PARADIGM-HF che ha rappresentato il primo tentativo, testato in uno studio clinico randomizzato e coronato da successo, di paragonare due modalità attive di blocco del RAAS, aggiungendo ad esso l’inibitore della NEP. Dunque, ogni successiva evidenza di beneficio della terapia farmacologica deve essere interpretata alla luce del sottostante background terapeutico, e non può essere traslata alla condizione di assenza dello stesso.

In questo contesto, l’ottimizzazione del blocco del RAAS con l’aggiunta dell’inibitore della NEP rappresenta oggi la moderna alternativa, raccomandata dalle linee guida, all’impiego di ACEi o ARB al fine di ridurre la mortalità e le ospedalizzazioni per HFrEF. Tuttavia, la pratica clinica registra nel nostro Paese una subottimale implementazione di questa evidenza, che grava sulla prognosi e sulla qualità di vita dei pazienti. In tale contesto, le Società Scientifiche sono chiamate ad agire, di concerto con le Autorità Regolatorie, affinché l’evidenza scientifica sia sempre più coincidente con la pratica clinica.

RIASSUNTO

Il trattamento con sacubitril/valsartan ha assunto un ruolo di primo piano nelle ultime linee guida sia europee che americane, ed è attualmente raccomandato in classe I per il trattamento dei pazienti con ridotta frazione di eiezione. Accanto ai ben noti effetti sulla mortalità, sacubitril/valsartan agisce positivamente sulla riduzione dei valori di NT-proBNP e su parametri di rimodellamento ventricolare sinistro, determinando un rimodellamento inverso riconosciuto come uno degli effetti meccanicistici del farmaco atto a spiegare in parte il suo effetto favorevole sulla prognosi. Un’attenta valutazione del profilo di ogni singolo paziente consente un utilizzo più mirato e meglio tollerato del farmaco, garantendo anche in ambito di insufficienza cardiaca la strada della medicina di precisione. La seconda parte di questo position paper esplora gli effetti meccanicistici degli inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina e il loro posizionamento nelle linee guida, proponendo in ultima analisi un uso di sacubitril/valsartan in specifici contesti clinici.

Parole chiave. Inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina; Linee guida; Sacubitril/valsartan; Scompenso cardiaco; Scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta.

RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano i seguenti collaboratori per il contributo fornito al documento: Dr.ssa Linda Pagura, Università degli Studi di Trieste; Dr.ssa Giovanna Gallo, Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Sapienza Università di Roma, Ospedale Sant’Andrea, Roma; Dr. Francesco Fioretti, Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Brescia.

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