In questo numero

editoriale





A che ora somministrare la terapia antiipertensiva?

Sono stati recentemente pubblicati su Lancet i risultati dello studio TIME (Treatment in Morning versus Evening), anticipati all’ultimo Congresso annuale della Società Europea di Cardiologia. Paolo Verdecchia et al. sintetizzano e discutono i risultati di questo importante studio. Ben 21 104 pazienti ipertesi in terapia antipertensiva in singola somministrazione giornaliera sono stati randomizzati ad assumere la terapia interamente la mattina oppure interamente la sera. Si è trattato di uno studio pragmatico e “dematerializzato” nel quale pazienti e medici ricercatori potevano anche non vedersi mai, fisicamente, ma comunicare solo attraverso computer. L’endpoint primario (morte per cause cardiovascolari oppure ictus o infarto non fatali) si è manifestato in 0.69 e 0.72 eventi per 100 pazienti per anno rispettivamente randomizzati alla somministrazione serale oppure mattutina (differenza non statisticamente significativa). Lo studio conclude che l’intenzione di somministrare il trattamento antipertensivo la mattina non è superiore, in termini prognostici, all’intenzione di somministrare il trattamento la sera nei pazienti nei quali la pressione arteriosa diurna e notturna non sono note. In pratica, lo studio TIME ci lascia liberi di scegliere lo schema posologico che riteniamo più opportuno nel singolo paziente. •

pdta in cardiologia





L’ipercolesterolemia familiare omozigote

Come è noto, l’ipercolesterolemia familiare omozigote, patologia rara e scarsamente conosciuta nella normale attività clinica, è caratterizzata da altissimi livelli di colesterolo LDL associati ad eventi cardiovascolari maggiori che insorgono anche in età giovanile, se non addirittura pediatrica. Claudio Bilato et al. presentano una interessante rassegna su questa condizione patologica a cui il cardiologo dovrebbe sempre pensare in alcuni contesti specifici. Poiché i pazienti non trattati muoiono ad un’età media di 18 anni, la diagnosi deve essere precoce ed il trattamento immediato ed aggressivo. Nel lavoro vengono presentati tre algoritmi di facile uso volti ad identificare i pazienti che richiedono una valutazione clinica accurata in Centri di terzo livello, che siano particolarmente specializzati nella gestione di questi pazienti. •

rassegne





L’echo-bike

Siamo poco abituati ad effettuare nei nostri pazienti l’echo-bike, che invece potrebbe fornirci informazioni utili in ambito di precisazione diagnostica e prognostica delle valvulopatie, nella definizione della risposta allo stress fisico nella cardiopatia ischemica, nella cardiomiopatia ipertrofica, nello scompenso cardiaco o nelle cardiopatie congenite. Perché? Nella presente rassegna Nicola Bianchi et al. illustrano i principali campi di applicazione dell’ecocardiografia da sforzo con echo-bike, discutendo dettagliatamente vantaggi e limiti di questa metodica. Le evidenze ne sostengono un impiego sempre più ampio, anche nei pazienti anziani per affinare i criteri di selezione per la correzione percutanea sempre più diffusa delle valvulopatie. •





Al cuore della malattia di Fabry: dalla diagnosi alla terapia

La malattia di Anderson-Fabry è una rara patologia genetica in cui il coinvolgimento cardiovascolare rappresenta il principale fattore prognostico negativo. Lo sviluppo e la diffusione nella pratica clinica di avanzate tecniche di imaging cardiovascolare consente una diagnosi sempre più precoce. Nell’articolo di Rodolfo Citro et al. vengono riportate le diverse varianti genetiche ed i meccanismi fisiopatologici che portano allo sviluppo del fenotipo cardiovascolare. Il lavoro offre, inoltre, un’approfondita discussione sul ruolo delle principali metodiche diagnostiche per la valutazione del coinvolgimento cardiovascolare, dai biomarker alla risonanza magnetica. Viene enfatizzato come la significativa similitudine delle alterazioni strutturali e funzionali presenti nel Fabry con quelle osservate in altre patologie cardiovascolari renda complesso il corretto e precoce inquadramento diagnostico. Infine, vengono analizzate le opzioni terapeutiche attualmente disponibili per prevenire e limitare i danni causati dalla patologia e quindi potenzialmente in grado di modificare la storia naturale di questi pazienti. Un’attenzione particolare è dedicata alla terapia enzimatica sostitutiva con gli enzimi agalsidasi-alfa e agalsidasi-beta somministrabili per via endovenosa. •





La verità nascosta del trattamento ipolipemizzate dopo infarto miocardico

Se chiedessimo ai cardiologi quale è nella loro esperienza e pratica la percentuale di pazienti che raggiungono dopo infarto miocardico il target prefissato di colesterolo LDL, le risposte sarebbero le più disparate e con una variabilità notevole. Ma probabilmente nessuno si avvicinerebbe alla realtà, ovvero che solo una minoranza (in base alle casistiche dal 10% al 30%) dei pazienti post-infarto raggiunge e mantiene nel tempo il target. Questa informazione è ancora più drammatica se si pensa che viviamo in un’epoca storica dove alle statine ad alta potenza si sono affiancate o si stanno affiancando strumenti sempre più efficaci e sicuri quali ezetimibe, anticorpi inibitori della proteina PCSK9, acido bempedoico, ecc. In questo numero del Giornale, Marco Zuin et al. disaminano con cura i dati di letteratura e le potenziali cause. In particolare, gli autori mettono sotto la lente di ingrandimento la strategia “stepwise” delle linee guida giudicandola eccessivamente conservatrice e difficilmente applicabile nella quotidianità. •

Una finestra… mezza aperta o mezza chiusa?





L’embolia polmonare è la patologia che miete il maggior numero di vittime per morte cardiovascolare dopo l’infarto e miocardico e l’ictus. Le raccomandazioni delle linee guida stabiliscono che la terapia trombolitica nei casi ad alto rischio possa essere somministrata entro le 48 h con possibilità di estendere la finestra terapeutica a 14 giorni. In questa rassegna Marco Zuin et al. analizzano le nuove evidenze secondo le quali la somministrazione precoce della terapia trombolitica sembra essere associata ad una riduzione sia della mortalità che degli eventi emorragici maggiori, nonché della necessità di ventilazione meccanica. La rassegna, scritta in modo fluido e coinvolgente, fornisce al lettore tutti gli spunti per una valutazione circa la necessità di intraprendere nei pazienti con embolia polmonare ad alto rischio la terapia riperfusiva con trombolisi sistemica. Come nel film di Hitchcock… attendere e limitarsi a guardare potrebbe fare correre rischi prevenibili dall’azione anticipata! •





Il microbiota intestinale: è di interesse per il cardiologo?

Un numero crescente di studi sta fornendo dati molto interessanti a sostegno dell’importanza del microbiota intestinale nei suoi molteplici effetti sulla salute umana. L’intestino è sede di numerosissime specie batteriche che interagiscono estesamente tra di loro. Tale interazione può portare a frequenti modificazioni della composizione di alcune sostanze rilasciate dai batteri ed assorbite. Molte di queste sostanze appaiono coinvolte nella regolazione di varie importanti reazioni nell’apparato cardiovascolare. Ovviamente molti aspetti metodologici e tecnici relativi agli studi sul microbiota intestinale restano da approfondire. Stefania Angela di Fusco et al. presentano una rassegna molto esaustiva e dettagliata su questi aspetti, sicuramente di interesse crescente per il cardiologo, accompagnata da un editoriale di commento a cura del gruppo di Paolo Calabrò.

casi clinici





L’utilità diagnostica del monitoraggio ECG prolungato nell’ESUS

L’ictus embolico ad eziologia indeterminata (ESUS) può costituire il primo segno clinico di fibrillazione atriale. Sia la fibrillazione atriale sintomatica che subclinica comportano un aumentato rischio di ictus ischemico ed embolie sistemiche. Spesso però la ricerca della fibrillazione atriale post-ESUS non dà il risultato atteso. Francesco Pergolini et al. illustrano un interessante caso clinico di una donna di 76 anni con ictus ischemico criptogenetico, selezionata per impianto di loop recorder esterno dopo la dimissione in quanto durante il ricovero erano emersi elementi clinici e strumentali predittivi di fibrillazione atriale (CHA2DS2-VASc score elevato, dilatazione atriale sinistra, extrasistolia atriale frequente). La registrazione ha permesso di documentare la fibrillazione atriale a distanza di 72 giorni dall’evento ischemico cerebrale. È stato inoltre possibile dimostrare una correlazione diretta tra la fibrillazione atriale registrata e una recidiva ischemica occorsa durante la registrazione. Nei pazienti con ESUS la probabilità di diagnosticare la fibrillazione atriale aumenta se il paziente viene adeguatamente selezionato. •

Tachicardia sopraventricolare nel nuotatore agonistico





Elisa Lodi et al. riportano il caso di una giovane nuotatrice a livello agonistico che da diversi anni lamentava episodi di cardiopalmo ritmico, spesso associati a pre-sincope, durante l’attività sportiva. Un test da sforzo in immersione con monitoraggio ECG continuo ha mostrato tachicardia parossistica sopraventricolare a frequenza 205 b/min, rispondente a manovre vagali. Uno studio elettrofisiologico ha poi mostrato l’esistenza di una doppia via nodale con induzione di tachicardia da rientro nodale atrioventricolare “slow-fast”, trattata con successo con ablazione della via lenta nodale. Successivamente, la giovane atleta è risultata del tutto asintomatica. È noto che lo sport del nuoto induce marcate modificazioni emodinamiche con aumento del ritorno venoso, aumento della gettata cardiaca ed aumentato rilascio di peptide natriuretico atriale. A ciò va aggiunta l’apnea prolungata durante il nuoto e i frequenti sbilanciamenti in tema di attività simpatica e vagale. I giovani nuotatori con storia di cardiopalmo durante l’attività sportiva andrebbero attentamente studiati. •

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Istruzioni per l’uso degli inibitori di SGLT2 nello scompenso cardiaco: una guida pratica

“Perché dovrei trattare un paziente con un farmaco che è utilizzato per il trattamento del diabete?”. “E quando lo prescrivo, di cosa dovrei preoccuparmi maggiormente durante la terapia?”. “E se il paziente fosse diabetico, come dovrò comportarmi nel modificare la concomitante terapia antidiabetica?”. “Quando dovrò consultare il diabetologo?”. Queste sono alcune delle domande che il cardiologo clinico può porsi, dopo le recenti raccomandazioni delle linee guida europee ad utilizzare estesamente gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2), nella terapia del paziente con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta. La lettura della guida pratica ANMCO, coordinata da Stefania Angela Di Fusco, fornisce molte concrete e utili risposte ai più comuni quesiti, aggiungendo alla già ampia letteratura su questi nuovi efficaci farmaci, dettagli pratici e operativi che certamente renderanno la gestione di questa terapia più familiare, sicura ed efficace. •

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Ictus ischemico: la necessità di escludere fonti cardioemboliche

Partendo dal sospetto clinico e dall’ECG, vengono utilizzate in modo sequenziale diverse metodiche di imaging cardiovascolare, evidenziando per ciascuna di esse i pro, i contro e il valore aggiunto nello specifico caso clinico, fino a giungere alla diagnosi corretta e al trattamento più appropriato. •