In questo numero

editoriali





Gli inibitori di SGLT2: cura efficace per tutti i pazienti con scompenso cardiaco

Le linee guida ESC sullo scompenso cardiaco del 2021 sentenziavano che non vi fosse nessun trattamento convincentemente efficace nel ridurre la mortalità e la morbilità nello scompenso a frazione di eiezione (FE) preservata, in quanto nessuno dei trial randomizzati controllati condotti in tale popolazione aveva raggiunto una riduzione degli endpoint primari. Mai dire mai... e già alcuni giorni dopo, e meno di un anno dopo, queste affermazioni sono state fortunatamente contraddette dai risultati di due importantissimi trial (EMPEROR-Preserved e DELIVER) che hanno evidenziato per la prima volta gli effetti positivi delle gliflozine (inibitori di SGLT2) sulla prognosi anche quando utilizzati in pazienti con scompenso non a FE ridotta. Il dettagliato editoriale del gruppo di Marco Metra riporta e commenta i risultati dei due trial, sottolineando come tali evidenze, oltre a rappresentare una svolta terapeutica fondamentale, inducano a rivalutare il valore della FE come rigido cut-off nel definire anche la risposta ai farmaci, in quanto gli inibitori di SGLT2 si sono rivelati efficaci in tutti i modelli di scompenso, al di là della tipologia di compromissione della FE. •





L’angioplastica coronarica nello scompenso cardiaco: lo studio REVIVED-BCIS2

Il trial REVIVED-BCIS2, nato per colmare le lacune nell’evidenza di un possibile beneficio dell’angioplastica coronarica nel paziente con disfunzione ventricolare sinistra di tipo ischemico e del suo eventuale ruolo di alternativa meno invasiva al bypass coronarico, non ha dimostrato di ridurre la mortalità totale o l’ospedalizzazione per scompenso cardiaco rispetto alla terapia medica ottimizzata. Leonardo De Luca et al. commentano i risultati di questo importante studio alla luce delle recenti evidenze della letteratura concludendo che forse il REVIVED non ha stravolto le nozioni fisiopatologiche quanto l’illusione, che avevamo in tempi in cui eravamo meno ricchi di presidi farmacologici efficaci, che la rivascolarizzazione fosse la soluzione definitiva. Essa è invece la soluzione semplice, e quindi spesso errata, per realtà complesse, come le sindromi dello scompenso cardiaco o delle coronaropatie croniche, che esigono risposte multiformi e articolate che solo una strategia moderna che includa multipli presidi farmacologici è in grado di offrire. •





La situazione è seria ma non grave

Uno dei più importanti intellettuali del ‘900 disse “la situazione politica in Italia è grave ma non seria”. Ebbene, prendendo questo aforisma e parafrasandolo possiamo dire che nel caso della stenosi valvolare aortica (SA) moderata la situazione è seria, ma non grave. Possiamo affermare, come suggeriscono la saggezza convenzionale e le linee guida, che la SA moderata è uno stadio benigno nell’evoluzione della malattia? La risposta è tanto complessa quanto poco chiara. In questo editoriale, Michele Di Mauro e Fabrizio Ricci raccolgono tutte le evidenze attualmente presenti in letteratura per tracciare con maggiore attenzione il quadro diagnostico e terapeutico della SA moderata. Ne viene fuori un quadro ben differente da quello appunto tracciato dalle linee guida. Innanzitutto la SA moderata così come alcuni quadri intermedi tra questo stadio e quello di SA severa, sono caratterizzati spesso da dati ecocardiografici discordanti che richiedono un approfondimento diagnostico come lo strain longitudinale globale, l’ecocardiografia 3D, la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica che possono mostrarci come la discordanza tra dati ecografici non può e non deve essere sempre liquidata come un “errore tecnico” di calcolo. Inoltre, in alcune circostanze, come quando la SA moderata è caratterizzata da un quadro sintomatologico specifico ed evidente, quando vi sia associata una disfunzione ventricolare, una significativa ipertrofia con disfunzione diastolica e la presenza di fibrosi miocardica, questa entità smette di essere benigna e quindi meriterebbe un trattamento precoce, sia esso chirurgico o interventistico, seguendo le medesime indicazioni riportare nelle linee guida per la SA severa. Sicuramente futuri studi clinici randomizzati potranno confermare questo trend già evidenziato in studi retrospettivi. •

rassegne





L’enigma della fibrillazione atriale postoperatoria

La fibrillazione atriale postoperatoria (POAF) rappresenta una situazione in cui ci si imbatte di frequente nella nostra pratica clinica. L’incidenza stimata è elevata nei pazienti sottoposti ad interventi cardiochirurgici (11-60%), decisamente più bassa nei pazienti sottoposti a chirurgia non cardiaca (1-3%). I trigger riconosciuti che la scatenano sono la pericardiotomia e più in generale il rilascio di sostanze proinfiammatorie che si verifica precocemente nel postoperatorio di qualsiasi intervento chirurgico. Il rischio tromboembolico della POAF è differente tra il contesto della cardiochirurgia e quello della chirurgia non cardiaca: nel primo caso infatti è basso, tanto che le linee guida europee pongono l’indicazione alla terapia anticoagulante a lungo termine in classe IIb con livello di evidenza B; nel secondo caso invece il rischio di ictus ed embolia sistemica è significativamente aumentato e la terapia anticoagulante a lungo termine ha una raccomandazione di classe IIa con livello di evidenza B, in accordo con il beneficio clinico netto atteso dalla terapia e le preferenze del paziente. È noto comunque che la POAF identifica una popolazione di pazienti più gravi e più fragili, con aumentato rischio di eventi, anche senza una correlazione con l’incidenza di ictus e la mortalità totale. In attesa di trial controllati randomizzati in questa rassegna di Stefano Urbinati viene suggerito un approccio individualizzato per la POAF. •





Guardiamo oltre!

Una volta superato il quadro acuto, i pazienti colpiti da embolia polmonare mantengono una complessità gestionale importante anche per quanto attiene alla durata della terapia anticoagulante. In questa rassegna Claudio Picariello et al. prendono in considerazione i dati della letteratura e le linee guida per stratificare il paziente e gestire al meglio il follow-up della terapia anticoagulante. La rassegna conduce il lettore attraverso dati della letteratura e la loro applicazione nella pratica clinica quotidiana attraverso la discussione di casi clinici paradigmatici ed attuali (es. embolia polmonare in corso di COVID-19, in paziente con trombofilia). Una rassegna che ci invita a guardare oltre già mentre stiamo trattando il paziente in fase acuta. •





Gli agonisti recettoriali del glucagon-like peptide-1 nel diabetico ad alto rischio

I pazienti diabetici si ammalano e muoiono essenzialmente per malattie cardiovascolari. Nonostante ciò, solo negli ultimi anni abbiamo avuto la disponibilità di farmaci in grado di ridurre significativamente mortalità e morbilità cardiovascolare nei diabetici. Federico Nardi et al. prendono in esame la classe degli agonisti recettoriali del glucagon-like peptide-1 nel paziente diabetico ad alto rischio. Si tratta di farmaci in grado di agire sui recettori delle incretine, potenziandone l’effetto e riducendo quindi, attraverso meccanismi non ancora del tutto delineati, alcuni eventi cardiovascolari maggiori come l’infarto miocardico, l’ictus cerebrale e la morte per cause cardiovascolari. •





Un approccio farmacologico per prevenire la progressione della stenosi aortica

A causa del progressivo invecchiamento della popolazione, la prevalenza della stenosi valvolare calcifica su base degenerativa (CAVS) è in graduale aumento. Se nella valvulopatia severa, l’unica opzione terapeutica attualmente disponibile è un trattamento interventistico sia esso chirurgico o percutaneo a seconda del contesto clinico, per prevenire la progressione della malattia nelle forme lievi o moderate al momento non vi sono trattamenti disponibili. Stefania Angela Di Fusco et al., con l’obiettivo di indagare le possibili strategie terapeutiche in grado di prevenire lo sviluppo e la progressione della CAVS, descrivono i meccanismi fisiopatologici alla base dello sviluppo della CAVS, meccanismi per molti aspetti comuni a quelli alla base delle lesioni aterosclerotiche e che rappresentano potenziali target di interventi terapeutici. Nella rassegna vengono anche esaminate le diverse condizioni cliniche che predispongono alla valvulopatia. Tra gli approcci terapeutici più promettenti vengono discussi i trattamenti mirati alla riduzione dei lipidi plasmatici, con una particolare attenzione alle possibili strategie per ridurre la lipoproteina(a), i trattamenti che hanno come target l’infiammazione, quelli che intervengono sul metabolismo glucidico e sull’omeostasi fosfato-calcio. •





Ipertensione arteriosa nell’anziano

La prevalenza di ipertensione arteriosa, prevalentemente sistolica, aumenta sensibilmente con l’età. Fabio Angeli et al. presentano una revisione sistematica descrittiva della letteratura sull’ipertensione arteriosa e sull’impatto della terapia antipertensiva nel paziente anziano. I benefici della riduzione pressoria sono evidenti anche in questa fascia di età, soprattutto in termini di riduzione dell’ictus cerebrale, ma anche dello scompenso cardiaco e delle complicanze coronariche. Le linee guida internazionali non sono concordi sui precisi target pressori da raggiungere, o cercare di raggiungere, nel paziente iperteso anziano. Ovviamente, bisogna prestare moltissima attenzione alla tollerabilità del trattamento, evitando fenomeni di ipotensione ortostatica o alterazioni elettrolitiche o della funzione renale. In generale, più bassa è la pressione arteriosa (ben tollerata) raggiunta, più bassa è l’incidenza di gravi complicanze cardiovascolari. La pressione arteriosa sistolica dovrebbe essere ridotta certamente al di sotto dei 140 mmHg e possibilmente al di sotto dei 130 mmHg, sempre a patto che il paziente tolleri bene il trattamento. •

studio osservazionale





Conoscere, (ri)conoscere, mai fu più importante!

L’arresto cardiaco extraospedaliero è una delle più frequenti cause di morte e nonostante i continui sforzi per migliorare il trattamento extra- e intraospedaliero di questo evento, la sua prognosi rimane poco favorevole. Il fattore chiave per migliorarla è sicuramente intervenire sulla popolazione generale, sulla sua capacità di riconoscere l’arresto cardiaco, di chiamare immediatamente soccorsi e di eseguire le manovre di rianimazione cardiopolmonare basilari. Palestre, fabbriche, luoghi pubblici, ed altri sono sempre più dotati di defibrillatori, ma è fondamentale aumentare il numero di persone in grado di riconoscere l’arresto cardiaco e di utilizzare i defibrillatori. Sara Marcori et al. hanno descritto gli ottimi risultati che i corsi obbligatori di BLSD per gli studenti delle facoltà sanitarie dell’Università di Trieste hanno sulla conoscenza dell’arresto cardiaco e del suo trattamento rispetto alla popolazione studentesca che non li ha seguiti. Un efficace modello da seguire per migliorare la gestione dell’arresto cardiaco extraospedaliero e la sua sopravvivenza. •

caso clinico





Quando il defibrillatore funge da scudo (e non ai colpi delle aritmie ventricolari)

Quando un paziente riceve l’impianto di un defibrillatore, molti medici per spiegare il ruolo del dispositivo e la sua importanza ricorrono all’analogia con lo scudo (medievale o quello più recente di Captain America in base all’età del medico…). In effetti, l’analogia è semplice, intuitiva e corretta. Il defibrillatore impiantabile non è altro che una sentinella, un sistema di difesa personale del paziente contro la morte improvvisa indotta da aritmie ventricolari maligne. In questo numero del Giornale, Graziano Sorvillo et al. illustrano un bellissimo caso in cui la realtà supera abbondantemente l’immaginazione e riporta una nuova incredibile funzione svolta dal defibrillatore in un paziente. •

position paper





Vericiguat: istruzioni per l’uso del nuovo farmaco per lo scompenso

Nonostante il crescente numero di farmaci a disposizione per il trattamento dello scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta, la gestione dei pazienti con elevato rischio di riacutizzazione rimane un’impresa non facile. In questo position paper ANMCO, Stefania Angela Di Fusco et al. sintetizzano le evidenze alla base dell’impiego di vericiguat, un nuovo farmaco per lo scompenso cardiaco dimostratosi efficace nel migliorare la prognosi dei pazienti con più alto rischio di instabilizzazione clinica. Si tratta di un farmaco con meccanismo d’azione del tutto innovativo rispetto ai farmaci attualmente disponibili per la gestione dello scompenso, poiché non inibisce in maniera diretta i sistemi neuro-ormonali né inibisce altri meccanismi molecolari, al contrario, ha un’azione di stimolazione della via dell’ossido nitrico che è compromessa nei pazienti con scompenso cardiaco. Il documento ANMCO riporta le raccomandazioni delle linee guida internazionali in merito all’impiego di questo farmaco. Inoltre, fornisce indicazioni pratiche per un appropriato utilizzo al fine di ottenere il massimo beneficio e minimizzarne i possibili effetti avversi. •

imaging integrato
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Imaging multimodale nella sclerosi sistemica

Partendo dal sospetto clinico e dall’ECG, vengono utilizzate in modo sequenziale diverse metodiche di imaging cardiovascolare, evidenziando per ciascuna di esse i pro, i contro e il valore aggiunto nello specifico caso clinico, fino a giungere alla diagnosi corretta e al trattamento più appropriato. •