In questo numero

editoriale




Dallo studio SECURE le evidenze sulla polipillola post-infarto

Nell’ultima decade, un crescente numero di farmaci contenenti combinazioni di agenti terapeutici con differenti target, cosiddetti “polipillole”, sono stati introdotti per la gesione dei pazienti con patologie cardiovascolari. Stefania Angela Di Fusco e Furio Colivicchi in un editoriale a commento dello studio SECURE, recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine, dopo un cenno alla prima “idea” di polipillola in cardiologia riportata nella letteratura scientifica, sottolineano il ruolo che questa strategia terapeutica può avere nel superamento del grande problema della scarsa aderenza terapeutica, causa non solo del mancato raggiungimento dei target terapeutici raccomandati ma anche di una prognosi più sfavorevole. Partendo da queste premesse, gli autori riportano in maniera sintetica i risultati dello studio SECURE che ha utilizzato la polipillola contenente aspirina, ramipril e atorvastatina, e l’ha confrontata con la terapia medica standard dopo un infarto del miocardio. Lo studio ha dimostrato che la polipilla determinava una minore incidenza dell’endpoint composito di eventi avversi cardiovascolari maggiori. Nell’editoriale vengono discusse alcune ipotesi fisiopatologiche che potrebbero spiegare il risultato dello studio e anche i limiti del trial. In considerazione della dimostrata efficacia e sicurezza, viene sottolineata l’attesa inclusione di questa strategia terapeutica nelle prossime linee guida.•

questioni aperte




Gliflozine ed incretine in tutti i pazienti diabetici ad alto rischio?

Angelo Avogaro et al. presentano, sinteticamente, i risultati di discussione tra esperti tenutasi nel corso del V Congresso Nazionale “Grey Zones” (Bergamo, giugno 2022) sulle attuali incertezze nell’impiego dei farmaci cotrasportatori sodio-glucosio di tipo 2 (gliflozine) e degli agonisti del recettore del glucagon-like peptide-1 (incretine) nei pazienti diabetici ad alto rischio cardiovascolare o con insufficienza renale cronica. È stato discusso anche il possibile impiego delle incretine come nuova “arma” contro l’obesità. Dopo la discussione di ogni punto in agenda viene riportato un “verdetto” degli esperti e del pubblico ed un commento riassuntivo. •

pdta in cardiologia




Una proposta di percorso operativo per l’arteriopatia periferica

Le malattie delle arterie periferiche (PAD) non hanno finora ricevuto la stessa attenzione di altre malattie vascolari come l’infarto e l’ictus. Numerose sono le figure professionali che oltre al cardiologo intercettano i pazienti con PAD e l’interazione tra queste figure non è spesso ottimale. È pertanto particolarmente interessante la proposta di percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (PDTA) che ci viene presenta da Giuseppe Patti et al. a nome dei cardiologi SIC e ANMCO e della rete delle chirurgie vascolari della Regione Piemonte. Il documento sollecita l’identificazione dei pazienti con PAD nell’ambito degli ambulatori e reparti di cardiologia. Nello stesso tempo viene sollecitata una sensibilizzazione degli specialisti chirurghi vascolari a interagire con il cardiologo per le indicazioni alla terapia antitrombotica e ipolipemizzante. L’ottimizzazione del trattamento antitrombotico e il raggiungimento dei target di colesterolo LDL nei pazienti con PAD consente di attuare un’efficace prevenzione cardiovascolare secondaria. La proposta di PDTA presentata può essere di stimolo per l’implementazione anche in altre realtà territoriali dei percorsi per i pazienti con PAD modulati in base alle specificità locali. È auspicabile che oltre al cardiologo e al chirurgo vascolare venga attivato un coinvolgimento anche di altri specialisti, in modo particolare del medico di medicina generale, e che l’efficacia di ogni PDTA venga monitorata attraverso indicatori di processo e di esito. •

rassegne




Il percorso sbagliato tra atrio sinistro e ictus

Purtroppo, è esperienza di tutti i cardiologi l’esordio della fibrillazione atriale (FA) con un evento ischemico cerebrale. Soprattutto oggi, che si hanno a disposizione degli strumenti efficaci e sicuri come i nuovi anticoagulanti orali, è veramente una sconfitta quando non si riesce a catturare in tempo una FA e iniziare dunque per prevenire la complicanza embolica l’adeguata copertura terapeutica. Francesca Mantovani et al., a nome dell’Area Cardioimaging dell’ANMCO, affrontano la tematica da un punto di vista molto originale e interessante. Partono dall’identificazione del movente fisiopatologico che porta alla FA: la cardiomiopatia atriale sinistra. È ovvio che una diagnosi precoce potrebbe portare a uno screening più accurato della FA, magari con una diagnosi precoce, un trattamento tempestivo e quindi eventi ischemici cerebrali evitati. •




Conoscere meglio l’epidemiologia per migliorare la prognosi dei pazienti (1)

La mortalità a 30 giorni dei pazienti colpiti da infarto è andata incontro ad una costante e progressiva riduzione nell’ultimo ventennio. In questo articolo di revisione epidemiologica sulle sindromi coronariche acute, Gian Francesco Mureddu et al. evidenziano come negli ultimi 20 anni si siano verificate delle significative modificazioni dell’epidemiologia clinica con una progressiva riduzione della mortalità intraospedaliera, sottolineando tuttavia una stabilità della mortalità dalla dimissione a 1 anno, ancora particolarmente elevata nei pazienti con scompenso cardiaco e rischio aterotrombotico residuo. La stratificazione prognostica con conseguenti interventi differenziati in funzione del rischio sarebbero cruciali per ottenere un miglioramento anche della prognosi a distanza dei pazienti infartuati.

studi osservazionali




Conoscere meglio l’epidemiologia per migliorare la prognosi dei pazienti (2)

In questo secondo articolo di revisione epidemiologica, Marco Zuin et al., attraverso l’estrazione dei dati dal database Eurostat, analizzano l’andamento della mortalità in Italia dal 2000 al 2017 evidenziando una riduzione media annua in tutte le fasce di età, ma di entità minore nelle donne rispetto agli uomini.

Nell’editoriale di accompagnamento ai due articoli Stefano Savonitto sottolinea l’importanza della conoscenza dei dati come strumento fondamentale per migliorare l’efficacia delle cure e la prognosi dei pazienti. Una maggiore familiarità del cardiologo con l’epidemiologia clinica può guidare una pianificazione mirata degli interventi, in un’ottica di utilizzo ottimale delle risorse. •




Malattia coronarica e controllo lipidico nella pratica clinica

Claudio Bilato et al. presentano i risultati del progetto BEST (Best Evidence with Ezetimibe/statin Treatment), uno studio eseguito per valutare i diversi atteggiamenti clinici e terapeutici dei cardiologhi nella gestione del paziente con dislipidemia dopo sindrome coronarica acuta (SCA). È stato valutato il grado di disaccordo/accordo tra medici relativamente ad un questionario strutturato. In estrema sintesi, è stata raggiunta una concordanza unanime in favore di una terapia ipolipemizzante che sia in grado di ottenere il prima possibile il raggiungimento dei target lipidici, con chiara e persistente (“robusta”) riduzione della colesterolemia LDL. Ciò può essere ottenuto attraverso il ricorso sistematico ad una terapia di combinazione tra statine ed ezetimibe, ed eventualmente all’impiego anche anticipato degli inibitori di PCSK9. •

caso clinico




Il Barlow e la MAD

Non è una novità che la malattia di Barlow si associ ad extrasistolia sopraventricolare e ventricolare. Negli ultimi anni però abbiamo sentito parlare sempre più spesso di MAD (mitral annulus disjunction), che è frequente nei pazienti con prolasso valvolare mitralico e che si associa a rischio di morte cardiaca improvvisa. Marco Mengoni et al. illustrano il caso clinico di una giovane ragazza di 20 anni con episodi di cardiopalmo, che hanno portato alla diagnosi di prolasso valvolare mitralico con degenerazione mixomatosa a fenotipo aritmico, per presenza di MAD di 9 mm e anomala inserzione del lembo posteriore mitralico all’ecocardiogramma, confermati alla risonanza magnetica, e con documentazione di episodi di tachicardia ventricolare monomorfa non sostenuta. •

position paper




Position paper ANMCO sul defibrillatore indossabile: chi e quando deve indossarlo

La morte improvvisa rappresenta un evento drammatico: spesso inatteso, a volte presumibilmente probabile a causa della presenza di specifiche disfunzioni cardiache ad elevata incidenza di gravi eventi aritmici ventricolari. La possibilità, una volta identificato l’elevato rischio aritmico, di proteggere i pazienti con l’impianto di un defibrillatore impiantabile è realistica ma oggettivamente e comprensibilmente limitata, specie nel caso di condizioni in cui è possibile ipotizzare un’attenuazione a distanza del rischio. L’utilizzo di un defibrillatore indossabile, che protegga temporaneamente il paziente durante la fase di rischio aritmico elevato considerato auspicabilmente transitorio, è una possibilità efficace a disposizione del cardiologo clinico. Il position paper ANMCO coordinato da Giancarlo Casolo definisce in maniera chiara le indicazioni all’utilizzo clinico del defibrillatore indossabile sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, proponendo un utile schema pratico per identificare i pazienti a rischio di morte improvvisa candidabili ad utilizzarlo. •

imaging integrato
online only




Cuore e lipidi: non solo aterosclerosi

Partendo dal sospetto clinico e dall’ECG, vengono utilizzate in modo sequenziale diverse metodiche di imaging cardiovascolare, evidenziando per ciascuna di esse i pro, i contro e il valore aggiunto nello specifico caso clinico, fino a giungere alla diagnosi corretta e al trattamento più appropriato. •