Documento di consenso SICI-GISE/SICOA:
La gestione del follow-up del paziente dopo sindrome coronarica acuta e/o angioplastica coronarica

Pasquale Guarini1, Francesco Saia2, Milena Sidiropulos1, Angelo Silverio3, Santo Dellegrottaglie4, Alessandra Scatteia4, Francesco De Stefano5, Carlo Tedeschi6, Laura A. Dalla Vecchia7, Alberto M. Cappelletti8, Damiano Regazzoli9, Alberto Benassi10, Francesco Donatelli11, Raffaella America12, Gabriella Nosso13, Piera Capranzano14, Angelo Oliva9, Raffaele Piccolo15, Luca Testa16, Tiziana Attisano17, Battistina Castiglioni18, Marco Contarini19, Federico De Marco20, Massimo Fineschi21, Alberto Menozzi22, Carmine Musto23, Giulio Stefanini9, Giuseppe Tarantini24, Francesco Caiazza25, Giovanni Esposito15

1U.O. Cardiologia, Clinica Sanatrix, Napoli

2U.O. Cardiologia, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico S. Orsola, Bologna

3Dipartimento di Medicina, Chirurgia ed Odontoiatria, Università degli Studi di Salerno, Baronissi (SA)

4Unità di Imaging Cardiovascolare Avanzato, Clinica Villa dei Fiori, Acerra (NA)

5U.O. Cardiologia-UTIC, Clinica Villa dei Fiori, Acerra (NA)

6U.O. Cardiologia, ASL Napoli 1 Centro, Presidio Intermedio Napoli Est, Napoli

7IRCCS Istituti Clinici Scientifici Maugeri, Milano

8Cardiologia, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano

9IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Rozzano-Milano

10Hesperia Hospital, Modena

11IRCCS Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio, Università degli Studi di Milano,

12U.O. Cardiologia, Ospedale S. Maria della Pietà, Nola (NA)

13Diabetologia, ASL Salerno

14P.O. Policlinico “Gaspare Rodolico”, Catania

15Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università di Napoli “Federico II”, Napoli

16Dipartimento di Cardiologia, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI)

17Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, Salerno

18Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Cardiologia, Varese 2 ASST Sette Laghi, Varese

19U.O.C. Cardiologia P.O. Umberto I, Siracusa

20U.O. Cardiologia Interventistica Valvolare e Strutturale, Centro Cardiologico Monzino, Milano

21Cardiologia Interventistica, A.O. Universitaria Senese, Policlinico Le Scotte, Siena

22S.C. Cardiologia, Ospedale Sant’Andrea, ASL5 Liguria, La Spezia

23U.O.S. Cardiologia Interventistica, Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, Roma

24Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari, Policlinico Universitario, Padova

25Dipartimento di Cardiologia, Pineta Grande Hospital, Castel Volturno (CE)

In the last decades, advances in percutaneous coronary intervention (PCI) strategies have significantly reduced the risk of procedural complications and in-hospital mortality of patients with acute coronary syndromes (ACS), thus increasing the population of stable post-ACS patients. This novel epidemiological scenario emphasizes the importance of implementing secondary preventive and follow-up strategies. The follow-up of patients after ACS or elective PCI should be based on common pathways and on the close collaboration between hospital cardiologists and primary care physicians. However, the follow-up strategies of these patients are still poorly standardized. This SICI-GISE/SICOA consensus document was conceived as a proposal for the long-term management of post-ACS or post-PCI patients based on their individual residual risk of cardiovascular adverse events. We defined five patient risk classes and five follow-up strategies including medical visits and examinations according to a specific time schedule. We also provided a short guidance for the selection of the appropriate imaging technique for the assessment of left ventricular ejection fraction and of non-invasive anatomical or functional tests for the detection of obstructive coronary artery disease. Physical and pharmacological stress echocardiography was identified as the first-line imaging technique in most of cases, while cardiovascular magnetic resonance should be preferred when an accurate evaluation of left ventricular ejection fraction is needed. The standardization of the follow-up pathways of patients with a history of ACS or elective PCI, shared between hospital doctors and primary care physicians, could result in a more cost-effective use of resources and potentially improve patient’s long-term outcome.

Key words. Acute coronary syndrome; Consensus document; Follow-up; Percutaneous coronary intervention; Standardized management.

I costanti progressi compiuti nel trattamento della fase acuta dell’infarto miocardico hanno determinato una consistente riduzione della mortalità intraospedaliera ed un progressivo aumento del numero dei pazienti postinfartuati. L’angioplastica coronarica percutanea (PCI) è diventata una delle procedure più eseguite al mondo e rappresenta la tecnica di rivascolarizzazione di scelta in due pazienti su tre1-3.

I registri della Società Europea di Cardiologia (ESC) indicano che la mortalità intraospedaliera dell’infarto miocardico con sopraslivellamento persistente del tratto ST (STEMI) si è ridotta al 4-12%, mentre la mortalità ad 1 anno è di circa il 10%4. I pazienti affetti da sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST (SCA-NSTE) presentano una mortalità intraospedaliera inferiore ed una mortalità a medio-lungo termine paragonabile a quella dei pazienti affetti da STEMI come conseguenza del maggior numero di comorbilità di questi pazienti5. Il programma APOLLO (analisi di registri in differenti aree geografiche quali Stati Uniti, Francia, Svezia, Inghilterra) evidenzia che il rischio di eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE) nei 3 anni successivi ad un infarto è pari a circa il 20%, mentre la mortalità è compresa tra l’8.7% (Inghilterra) e il 12.8% (Stati Uniti)6.

Al fine di ottimizzare i risultati ottenuti, è necessario garantire ai pazienti la continuità assistenziale.

STRATIFICAZIONE PROGNOSTICA E GESTIONE DEL FOLLOW-UP NEL PAZIENTE DOPO SINDROME CORONARICA ACUTA E/O ANGIOPLASTICA CORONARICA

Nella pratica clinica quotidiana, i pazienti a basso rischio sono spesso sottoposti a numerose valutazioni strumentali non invasive di dubbia utilità mentre, paradossalmente, i pazienti ad alto rischio hanno meno possibilità di accedere a programmi di prevenzione secondaria con controlli clinico-strumentali periodici. Inoltre, nei pazienti a basso rischio gli esami strumentali sono spesso prescritti in maniera inappropriata e talvolta sostituiscono quasi completamente la valutazione clinico-­anamnestica. Pertanto è indispensabile prevedere un follow-up che possa indirizzare i pazienti a percorsi assistenziali adeguati in base al livello di rischio individuale.

Gli obiettivi da raggiungere sono:

1. Definire l’eventuale sintomatologia residua e le caratteristiche del dolore toracico (cardiaco, potenzialmente cardiaco o non cardiaco);

2. valutare i fattori di rischio cardiovascolare, le comorbilità, con particolare attenzione a diabete, insufficienza renale, malattia aterosclerotica periferica;

3. valutare la funzione ventricolare sinistra;

4. valutare la localizzazione e la severità della malattia coronarica;

5. valutare la presenza di malattia ostruttiva e non ostruttiva dei vasi coronarici non sottoposti a PCI;

6. stabilire un timing adeguato dei test di imaging per la ricerca di ischemia nel paziente asintomatico e nel paziente con malattia coronarica ostruttiva residua;

7. condividere le visite di controllo cardiologico per i 12 mesi successivi alla sindrome coronarica acuta (SCA) e/o PCI con il medico di medicina generale (MMG) partendo dalla lettera di dimissione, con un timing scandito in base al rischio stimato del singolo paziente;

8. programmare un follow-up adeguato ed appropriato dopo i 12 mesi dalla SCA e/o PCI.

Sintomatologia

Per quanto riguarda le caratteristiche del dolore toracico è importante descriverne il tipo e la severità.

Un importante studio è quello di Jespersen et al.7 condotto in maniera retrospettiva su circa 17 000 pazienti di cui oltre 11 000 con angina stabile e con indicazione ad esame coronarografico. Di questi, circa 3500 avevano coronarie normali, 1600 malattia aterosclerotica coronarica non ostruttiva, 6000 malattia aterosclerotica ostruttiva. L’analisi dei dati rispetto all’endpoint primario (mortalità cardiovascolare, ospedalizzazioni per infarto miocardico acuto [IMA], scompenso cardiaco, ictus cerebrale) ha evidenziato che, sia in presenza di coronarie normali che in presenza di malattia coronarica non ostruttiva, il rischio di eventi e la mortalità per tutte le cause era significativamente maggiore nei pazienti sintomatici rispetto ai soggetti asintomatici, sia nella popolazione maschile che in quella femminile, anche dopo correzione dei principali fattori di rischio cardiovascolare. Un dato interessante è che nei pazienti di sesso maschile la percentuale di eventi cardiovascolari nel gruppo con malattia coronarica non ostruttiva si allineava dopo 2 anni a quella dei pazienti con malattia coronarica ostruttiva di uno, due o tre vasi coronarici. Questo dato non si osservava nel sesso femminile.

Fattori di rischio e comorbilità

Diabete

Circa il 60% dei pazienti con diabete sviluppa una patologia cardiovascolare. Peraltro, circa il 30% dei pazienti che presenta una SCA riferisce di essere affetto da diabete8. Vari studi hanno dimostrato che la mortalità nei pazienti con STEMI è significativamente più alta nei soggetti diabetici rispetto ai non diabetici sia a 30 giorni (8.5% vs 5.4%) che durante il primo anno dall’evento acuto (13.2% vs 8.1%)9,10. Dati simili si sono riscontrati anche nei pazienti con SCA-NSTE9.

Inoltre, il diabete rappresenta un predittore indipendente di trombosi tardiva di stent medicati11,12.

I pazienti con SCA e storia di diabete o con iperglicemia presentano un rischio significativamente più elevato di sviluppare complicanze ischemiche rispetto ai pazienti non diabetici. Meccanismi multipli contribuiscono ad aumentare lo stato protrombotico dei pazienti diabetici, in particolare la disfunzione del sistema coagulativo e fibrinolitico, l’alterazione della funzione endoteliale e l’iperreattività piastrinica. In questi pazienti gioca quindi un ruolo strategico, per ridurre gli eventi ischemici, l’ottimizzazione della terapia antitrombotica e antiaggregante, in particolare considerando che i diabetici spesso mostrano una ridotta risposta alla terapia antiaggregante, specie a quella con farmaci di prima generazione.

Insufficienza renale cronica

L’insufficienza renale cronica rappresenta una caratteristica di grande rilievo clinico perché definisce una popolazione a rischio elevato, nella quale i procedimenti diagnostici e le scelte terapeutiche vanno valutate con estrema attenzione soprattutto nei pazienti con SCA.

Nello studio TRACE, che ha arruolato pazienti consecutivi con IMA ricoverati in 27 unità coronariche danesi, una clearance della creatinina <56 ml/min è stata osservata in circa un terzo di quella popolazione13.

Una serie di studi ha documentato l’importanza prognostica dell’insufficienza renale cronica nelle SCA. Lo studio GRACE ha dimostrato che i pazienti con una velocità di filtrazione glomerulare (GFR) <30 ml/min presentano una prognosi ospedaliera peggiore con una mortalità del 12.2% rispetto a quelli con GFR tra 30-60 ml/min che hanno una mortalità del 5.5%, mentre in quelli con GFR normale è dell’1.4%14.

Un’insufficienza renale cronica, anche lieve, si è rivelata un fattore prognostico importante nello studio VALIANT cha ha arruolato oltre 14 000 pazienti con IMA e segni clinici o radiologici di scompenso cardiaco15. Anche nei 6809 pazienti con SCA-NSTE dello studio GUSTO-IV, seguiti per 1 anno16, l’insufficienza renale cronica, definita come clearance della creatinina <51 ml/min, risultava un fattore prognostico indipendente per la mortalità tardiva, anche quando nel modello statistico venivano inseriti marker bioumorali, quali il frammento N-terminale del propeptide natriuretico di tipo B e la proteina C-reattiva.

Malattia aterosclerotica periferica

I pazienti affetti da arteriopatia cronica ostruttiva degli arti inferiori hanno un’aspettativa di vita significativamente ridotta rispetto ai coetanei non arteriopatici, e l’eccesso di mortalità è dovuto principalmente alla malattia aterosclerotica ostruttiva coronarica. Infatti nei soggetti sintomatici per claudicatio intermittens le cause di morte sono legate nel 55% dei casi alla cardiopatia ischemica, nell’11% all’ischemia cerebrale, nel 9% ad altre cause cardiovascolari17.

Gli arteriopatici periferici, anche in assenza di storia clinica di infarto o ictus cerebrale ischemico, presentano lo stesso rischio di morte per cause cardiovascolari degli infartuati o dei pazienti colpiti da ictus18,19. Nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica, la coesistenza di arteriopatia cronica ostruttiva degli arti inferiori comporta, per ogni stadio di una malattia coronarica clinicamente manifesta, un decorso clinico ed una prognosi peggiore.

In un ampio studio condotto su 1886 soggetti di età >60 anni la prevalenza di arteriopatia cronica ostruttiva degli arti inferiori nei soggetti affetti da cardiopatia ischemica era del 33%20. In un altro studio condotto su 4368 pazienti ricoverati per SCA, la prevalenza era del 13%21. Nello studio CASS nel sottogruppo di pazienti sottoposti a bypass aortocoronarico ed affetti da arteriopatia cronica ostruttiva degli arti inferiori o carotidea, si è registrato un incremento del 25% nella mortalità a 10 anni22.

Aterosclerosi coronarica

La malattia coronarica multivasale è un fattore predittivo importante per la prognosi dei pazienti con SCA o sindrome coronarica cronica (SCC)23,24. La frequenza più elevata di nuovi eventi nei pazienti multivasali rispetto ai monovasali potrebbe essere legata al maggior numero di placche subcritiche, propense alla rottura. Ne segue che la malattia multivasale ha un maggior rischio di evolvere verso un infarto, evento con una forte valenza prognostica negativa e strettamente correlato allo sviluppo di insufficienza cardiaca. Il registro CASS25 rappresenta lo studio osservazionale più ampio che ha valutato la storia naturale dei pazienti con malattia coronarica multivasale trattati con terapia medica. A 12 anni dalla prima osservazione erano ancora vivi il 74% dei pazienti con malattia di un singolo vaso, mentre la percentuale scendeva al 35% per quelli con malattia di tre vasi e patologia critica del tronco comune. La prognosi peggiorava ulteriormente se le lesioni coinvolgevano i tratti prossimali dei vasi, in particolare del ramo discendente anteriore, per il più ampio territorio miocardico a rischio. I risultati del CADILLAC risk score26, che ha rianalizzato i dati provenienti da due ampi studi su pazienti sottoposti a PCI primaria (CADILLAC e Stent-PAMI), mostrano come la presenza di una patologia coronarica multivasale incrementi di circa 2 volte il rischio di morte ad 1 anno dall’evento acuto. Una sottoanalisi dello studio VALIANT27, trial che ha arruolato pazienti con disfunzione ventricolare sinistra o scompenso a breve distanza dall’infarto, ha riconosciuto la malattia coronarica multivasale come un fattore prognostico estremamente negativo, indipendente dal valore della frazione di eiezione (FE) basale e non influenzato dalla rivascolarizzazione durante il ricovero. Infatti, da un punto di vista fisiopatologico, la presenza di molteplici stenosi coronariche critiche, ischemizzanti, può impedire una contrattilità efficiente delle zone sottese e quindi non consentire un’adeguata gittata cardiaca.

Che la descrizione angiografica della presenza ed estensione delle lesioni aterosclerotiche, siano esse significative o meno, abbia un importante valore prognostico è ormai un elemento acquisito. Abbiamo già visto come non solo le stenosi critiche ma anche la semplice presenza di aterosclerosi rivesta un significato prognostico negativo ed incrementale: maggiore è l’estensione della malattia, peggiore sarà la prognosi. Nello studio PROSPECT28, 697 pazienti affetti da SCA sono stati sottoposti a coronarografia ed ecografia intravascolare (IVUS) dopo esecuzione di PCI. I MACE (morte per cause cardiovascolari, arresto cardiaco, infarto miocardico o riospedalizzazione per angina instabile o ingravescente) sono stati classificati sulla base della loro correlazione con la lesione “culprit” o “non culprit”. Ad un follow-up mediano di 3.4 anni, l’incidenza cumulativa a 3 anni dei MACE è stata pari al 20.4%; nel 12.9% dei pazienti gli eventi sono risultati correlati a lesioni “culprit” e nell’11.6% a lesioni “non culprit”. La maggior parte delle lesioni “non culprit” responsabili degli eventi al follow-up determinavano una stenosi non significativa all’esame angiografico basale, e, nella maggior parte dei casi, all’IVUS risultavano costituite da fibroateromi con cappuccio sottile o presentavano un importante carico aterosclerotico, una ridotta area luminale o una combinazione di queste caratteristiche. In particolare la presenza di un cappuccio fibroso sottile è stata riscontrata con IVUS anche in lesioni con ostruzione >70%, in grado di essere quindi sia flusso-limitanti che vulnerabili.

Funzione ventricolare sinistra

La funzione ventricolare sinistra è il più importante fattore predittivo di sopravvivenza a lungo termine, anche nei pazienti con angina stabile (Figura 1).




La sopravvivenza a 12 anni in pazienti con FE >50% è del 73%. La sopravvivenza a 12 anni in pazienti con FE tra 35-49% è del 54% con mortalità annua del 3%. La sopravvivenza a 12 anni in pazienti con FE <35% è del 21%25. Nei registri più recenti la percentuale di pazienti con FE <40% dopo un IMA è pari al 20%29.

La correlazione tra rimodellamento e peggioramento della prognosi nei pazienti dopo IMA è nota da tempo. A 6 mesi da una PCI primaria il 30% dei pazienti presenta un rimodellamento ventricolare sfavorevole pur in presenza di un vaso pervio. A 5 anni la mortalità di questi pazienti è del 15% mentre gli eventi maggiori del 18%, rispetto ai pazienti senza rimodellamento ventricolare nei quali è rispettivamente del 5% e 10%30.

Quindi i pazienti con FE ≤50% rappresentano un sottogruppo a rischio elevato ancora di più se si associano insufficienza mitralica moderata ed un riempimento diastolico restrittivo (tempo di decelerazione <130 ms)31. Un altro aspetto importante è la comparsa precoce di scompenso cardiaco post-IMA che rappresenta il predittore più importante di mortalità a distanza. Infatti la stragrande maggioranza di pazienti che muoiono dopo la dimissione, e precisamente una percentuale compresa tra l’84% e il 92%, ha presentato segni di scompenso nel periodo intercorso tra l’esordio infartuale ed il follow-up32.

Ne consegue che fin dalle prime fasi del ricovero, i pazienti con IMA e FE ≤50% devono essere indirizzati verso percorsi diagnostici e terapeutici più intensi.

Modifiche stile di vita

La gestione del follow-up dei pazienti sottoposti a PCI non può prescindere dall’adozione di un corretto stile di vita che, in sinergia con la terapia farmacologica, ha lo scopo di ridurre il rischio di nuovi eventi cardiovascolari e la mortalità.

Alimentazione e peso corporeo

Le abitudini alimentari influenzano il rischio cardiovascolare incidendo su alcuni fattori di rischio come la colesterolemia, la pressione arteriosa, il peso corporeo e il diabete33. L’apporto calorico deve essere limitato alla quantità di energia necessaria per mantenere (o conseguire) un peso corporeo ideale, pari a un indice di massa corporea compreso tra >20.0 e <25.0 kg/m2.

Le caratteristiche di una sana alimentazione sono riassunte nella Tabella 134.




Attività fisica

La pratica di una regolare attività fisica costituisce il caposaldo della prevenzione delle malattie cardiovascolari e si associa ad una riduzione sia della mortalità per tutte le cause che della mortalità cardiovascolare.

Nei pazienti affetti da SCC è raccomandata un’attività fisica aerobica di intensità moderata della durata di 30-60 min per almeno 5 giorni/settimana33,35.

Si è dimostrato che l’attività fisica aerobica ha effetti favorevoli sull’insulino-resistenza, sull’ipertensione e sui livelli di colesterolemia.

Anche l’esecuzione di attività fisica nel tempo libero riduce la mortalità nei pazienti che erano stati sedentari fino a quel momento.

Cessazione del fumo

Smettere di fumare successivamente ad un IMA è potenzialmente la più efficace di tutte le misure di prevenzione: una revisione sistematica e una metanalisi hanno dimostrato una riduzione dell’incidenza di infarto miocardico e dell’endpoint composito di morte e infarto (rischio relativo 0.57 e 0.74, rispettivamente) nei pazienti che avevano smesso di fumare rispetto ai fumatori36.

Il ricorso ad un sostegno professionale può aumentare le probabilità di smettere di fumare37. A rafforzamento dei consigli, dell’incoraggiamento e degli interventi motivazionali, o in caso di loro insuccesso, deve essere proposta la terapia sostitutiva con nicotina o il trattamento con vareniclina o bupropione al fine di facilitare la cessazione del fumo 38.

LE STRATEGIE DI FOLLOW-UP

Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole incremento delle procedure di PCI, in elezione e in corso di SCA, al quale si accompagna eterogeneità di comportamento tra cardiologi clinici ed interventisti nella gestione terapeutica e del follow-up. Ne consegue un’eccessiva e non appropriata esecuzione di esami ambulatoriali, spesso non guidati dai sintomi, senza nessun impatto sulla riduzione della mortalità.

A partire da questa considerazione risulta indispensabile stabilire un percorso assistenziale alla dimissione del paziente che sia adeguato ed appropriato in base al rischio clinico­funzionale.

Nel documento di consenso di Rossini et al.39 sulla gestione clinica a lungo termine dei pazienti sottoposti a PCI per coronaropatia o SCA vengono proposte tre strategie ottimali di follow-up modulate in funzione del profilo di rischio del paziente:

• Strategia A, paziente ad alto rischio:

– PCI in corso di SCA e FE ≤ 45%;

– PCI in paziente con sintomi e segni di scompenso cardiaco.

• Strategia B, paziente a rischio intermedio:

– PCI in corso di SCA (FE conservata);

– PCI per malattia del tronco comune o malattia dell’arteria interventricolare anteriore prossimale o malattia coronarica multivasale;

– paziente con rivascolarizzazione incompleta e/o subottimale;

– presenza di diabete.

• Strategia C, paziente a basso rischio:

– paziente senza comorbilità rilevanti, con FE conservata e sottoposto a rivascolarizzazione completa.

La corretta gestione del paziente affetto da SCA e/o sottoposto a PCI prevede al momento della dimissione un follow-up adeguato che consideri il profilo di rischio clinico­anamnestico-strumentale del paziente e che garantisca un accesso rapido alle cure soprattutto per i pazienti a rischio alto e molto alto. In questo modo si eviteranno controlli clinici ed esami strumentali inutili, responsabili di un aumento dei costi sanitari.

Per raggiungere tale obiettivo è indispensabile la disponibilità di strutture organizzative specializzate e il coinvolgimento di figure professionali in grado di assicurare un attento e costante monitoraggio clinico del paziente, di favorire l’assunzione della terapia farmacologica e l’aderenza alla stessa, nonché di esercitare un ottimale controllo dei fattori di rischio cardiovascolare e programmare un follow-up clinico-strumentale personalizzato. La lettera di dimissione costituisce l’elemento chiave per attivare il processo di cura successivo al ricovero. In particolare, il riferimento alla terapia medica e la dettagliata registrazione dei farmaci prescritti da parte del cardiologo ospedaliero sono una componente fondamentale della lettera di dimissione, che ha un impatto diretto sulla gestione clinica del paziente e sulla sua sicurezza. Il MMG è la figura chiave per valutare l’aderenza terapeutica ed il raggiungimento dei target di frequenza cardiaca, pressione arteriosa, profilo lipidico, nonché gli aspetti psicologici e sociali del paziente.

Le visite di controllo sono condivise tra MMG e il cardiologo ospedaliero/ambulatoriale. Al primo spetta il compito di valutare la sintomatologia, i target terapeutici (colesterolemia LDL, pressione arteriosa, frequenza cardiaca, glicemia) e l’aderenza alla terapia. Uno dei metodi più utilizzati per misurare e valutare l’aderenza terapeutica è quello basato sulla scala di Morisky, identificato con l’acronimo MMAS (Morisky Medication Adherence Scale). Inizialmente era basato su 4 domande e poi si è evoluto fino ad arrivare ad 834,35. Dal punteggio ottenuto dalle risposte si stabilirà la classe di aderenza terapeutica del paziente. Se il punteggio è inferiore a 6 il profilo sarà quello di poco aderente. Con un risultato da 6 a 8, invece, il paziente risulterà mediamente aderente e con un punteggio superiore a 8 sarà invece molto aderente.

Il cardiologo, oltre alla valutazione clinica, deve indicare il timing del test di ischemia inducibile, l’eventuale cambiamento della terapia farmacologica, con particolare attenzione alla terapia antitrombotica ed anti-ischemica.

Un compito condiviso dal cardiologo e dal MMG consiste nel motivare il paziente ad ottenere un corretto stile di vita.

Alla luce dei documenti di consenso e delle linee guida, abbiamo strutturato le strategie di follow-up effettuando una prima stratificazione dei pazienti in base alla presenza o meno di SCA (attuale o pregressa). La valutazione del rischio clinico del paziente viene completata integrando elementi procedurali (malattia multivasale, vaso trattato, rivascolarizzazione coronarica completa, complessità della PCI), dati relativi alla presenza di fattori di rischio (diabete), comorbilità (insufficienza renale cronica, malattia aterosclerotica periferica) ed FE del ventricolo sinistro.

Partendo da questa premessa abbiamo formulato cinque categorie di rischio, ciascuna delle quali prevede un percorso di follow-up personalizzato (Tabella 2).




Durante i primi 12 mesi di follow-up è utile valutare la presenza di aterosclerosi periferica mediante il calcolo dell’indice caviglia-braccio e l’esecuzione di un esame eco-Doppler dell’aorta addominale, delle arterie carotidi, succlavie e arterie degli arti inferiori, nel cui referto devono essere specificate le caratteristiche ecogeniche delle placche aterosclerotiche e la percentuale di stenosi valutata attraverso il calcolo della velocità massima sistolica nel punto di stenosi con il Doppler pulsato. È indispensabile inoltre indicare il timing dei controlli eco-Doppler da programmare nel follow-up, che può essere influenzato nel caso degli arti inferiori anche dalla valutazione clinica (Tabella 3).




Ovviamente i controlli possono subire delle variazioni in base alle caratteristiche clinico-anamnestiche del paziente, all’aderenza della terapia farmacologica, al mantenimento dei target per colesterolo LDL, glicemia, frequenza cardiaca e pressione arteriosa, ad un’eventuale regressione o progressione della severità dell’aterosclerosi periferica e alle caratteristiche ultrasonografiche delle placche aterosclerotiche.

INDICAZIONI AGLI ESAMI STRUMENTALI NON INVASIVI

Valutazione della funzione ventricolare sinistra

L’ecocardiografia non è indicata di routine nel paziente asintomatico e viene utilizzata soltanto nel paziente con disfunzione ventricolare sinistra per la valutazione del rimodellamento ventricolare tardivo e della morfologia e funzione degli apparati valvolari. Per la valutazione della funzione ventricolare sinistra la tecnica di prima scelta dovrebbe essere la risonanza magnetica (RM) cardiaca, avendo come alternative l’ecocardiografia tridimensionale e l’ecocontrastografia miocardica. In mancanza, o in condizioni di difficile accesso a queste metodiche, si può utilizzale l’ecocardiografia B-mode standard.

La RM cardiaca rappresenta una robusta metodica caratterizzata da elevata risoluzione spaziale, elevata riproducibilità ed assenza di radiazioni ionizzanti. Tale tecnica consente di superare alcuni limiti dell’ecocardiografia che è una metodica operatore-dipendente, risente della finestra acustica del paziente ed è vincolata ad assunzioni geometriche poco riproducibili.

La RM cardiaca è considerata la tecnica “gold standard” per la stima dei volumi e della funzione ventricolare perché permette una chiara identificazione dell’interfaccia sangue-miocardio e la facile visualizzazione del contorno tra cavità e miocardio. Il suo limite è l’elevato costo e la scarsa disponibilità.

Test di ischemia inducibile

Di recente, sono stati pubblicati i risultati del trial POST-PCI che ha incluso una coorte di 1706 pazienti sottoposti a PCI ad elevato rischio di eventi avversi che sono stati randomizzati a ricevere un follow-up con test di ischemia eseguito di routine dopo 1 anno vs follow-up senza test di ischemia40. A 2 anni non sono state osservate differenze statisticamente significative tra i due gruppi in termini di incidenza dell’endpoint primario composito di morte, infarto miocardico o ospedalizzazione per angina instabile. Gli autori concludevano che nei pazienti ad elevato rischio dopo angioplastica, l’esecuzione di routine di un test funzionale non si associava ad un beneficio in termini di outcome. Tali evidenze potranno modificare le future raccomandazioni delle linee guida in cui la valutazione dei sintomi potrebbe avere un ruolo centrale nella scelta della migliore strategia di follow-up ed, in particolare, dell’esecuzione di test di ischemia.

Nella scelta di quale test utilizzare nel singolo paziente, bisogna tener presente che l’ECG da sforzo è stato declassato dalle ultime linee guida e non dovrebbe essere utilizzato per la diagnosi di ischemia inducibile, ma solo per la valutazione della capacità funzionale del paziente35. Infatti, il valore diagnostico del test per escludere o documentare la presenza di ischemia miocardica ha un valore limitato (ridotto valore predittivo positivo e negativo) e, pertanto, può essere preso in considerazione solo laddove non siano disponibili metodiche di imaging (classe di raccomandazione IIb, livello di evidenza B). Inoltre l’ECG da sforzo deve essere utilizzato (I-C) per definire la tolleranza allo sforzo, la sintomatologia, l’insorgenza di aritmie, la risposta pressoria ed il rischio di eventi, in contesti selezionati (quando le informazioni del test potrebbero condizionare l’iter diagnostico-terapeutico del paziente).

Come indicato nelle ultime linee guida ESC sulla rivascolarizzazione miocardica (2018)1 nei pazienti già sottoposti a PCI si dovrebbe utilizzare un test di ischemia con imaging (IIa-B). In questo ambito, l’esame che consideriamo di prima scelta è l’eco da stress fisico o farmacologico per il suo miglior rapporto costo-efficacia (scintigrafia miocardica di perfusione e RM da stress come seconda scelta).

Le suddette linee guida hanno inoltre indicato il timing del test provocativo nel follow-up dei pazienti con classe di rischio differente:

• Il test di ischemia con imaging precoce (dopo 6 mesi dalla PCI) può essere considerato in un gruppo specifico di soggetti: pazienti resuscitati da arresto cardiaco, pazienti diabetici, pazienti che svolgono lavori tali da mettere a rischio l’incolumità e la salute altrui (autisti, piloti), atleti che svolgono attività agonistica o pazienti che svolgono attività ad alto impegno cardiovascolare, pazienti con rivascolarizzazione incompleta o subottimale, complicanze durante la procedura di rivascolarizzazione (IIb-C).

• Nei pazienti asintomatici si può effettuare un test di ischemia con imaging dopo 1 anno dalla PCI e dopo 5 anni dal bypass aortocoronarico (IIb-C).

• Nei pazienti sottoposti a PCI ad alto rischio (es. tronco comune non protetto) può essere effettuato un controllo angiografico (3-12 mesi) indipendentemente dalla sintomatologia (IIb-C).

• L’esame coronarografico è raccomandato nei pazienti sintomatici che presentano al test di ischemia delle caratteristiche di rischio intermedio-alto (ischemia insorta a bassi carichi di lavoro, deficit di perfusione reversibile ≥10% del ventricolo sinistro, anomalie indotte della funzione contrattile segmentaria del ventricolo sinistro) (I-C).

Secondo le linee guida ESC 2019 sulle SCC35 i tre test funzionali per la valutazione dell’ischemia inducibile, ecocardiografia da stress (fisico o farmacologico), scintigrafia miocardica di perfusione e RM cardiaca da stress, presentano una classe di raccomandazione analoga (classe IA). La scelta dell’una o dell’altra metodica di imaging varia in funzione della disponibilità e dell’esperienza del centro dove viene effettuata, delle possibili controindicazioni di ciascuna metodica, senza trascurare la valutazione costo-efficacia e l’accuratezza diagnostica (Tabella 4, Figura 2)35.







PROSPETTIVE FUTURE

Nei pazienti sottoposti a tomografia computerizzata (TC) coronarica, sia la riserva frazionale di flusso derivata dalla TC (FFRCT) che l’esame di perfusione miocardica da stress mediante TC rappresentano possibili approcci per valutare l’ischemia specifica della lesione. Sebbene le prove per entrambi siano attualmente limitate, vi sono dati dalle indagini cliniche sulla FFRCT. Diversi studi hanno dimostrato che la correlazione tra FFR derivata dalla TC e FFR invasiva è elevata. Il trial NXT ha mostrato una sensibilità e specificità della FFRCT , nei confronti della FFR invasiva, dell’86% e 79%, rispettivamente. Tale studio ha inoltre stabilito che l’approccio combinato TC cardiaca + FFRCT migliora significativamente l’accuratezza diagnostica rispetto all’esecuzione della sola TC cardiaca, soprattutto nel sottogruppo di pazienti con patologia ateromasica prevalentemente calcifica, in cui spesso la TC cardiaca sovrastima l’entità della stenosi coronarica41. Lo studio PLATFORM ha dimostrato che nei pazienti riferiti per angiografia invasiva a causa del dolore toracico (angina prevalentemente atipica) e della probabilità pre-test intermedia per coronaropatia ostruttiva, la valutazione con TC e FFRCT ha ridotto il numero di pazienti con angiogrammi coronarici invasivi successivamente normali rispetto alle cure standard, senza alcun impatto negativo sulla prognosi dei pazienti al follow-up di 1 anno42. Inoltre, tale approccio si è anche dimostrato valido dal punto di vista di costo-efficacia, riducendo significativamente i costi complessivi per il sistema sanitario43. Infine, lo studio RIPCORD ha dimostrato come un approccio combinato, anatomico e funzionale, possa modificare il successivo iter clinico-diagnostico del paziente rispetto all’utilizzo della semplice TC cardiaca44. Attualmente i dati degli studi clinici con FFRCT non sono ancora sufficienti per fare una raccomandazione per il suo utilizzo nella pratica clinica nei pazienti rivascolarizzati. Sono quindi necessari ulteriori studi che possano valutare il ruolo dell’imaging anatomico e funzionale combinato e non invasivo, come studi clinici randomizzati con FFRCT in pazienti con cardiopatia ischemica nota e rivascolarizzati, nonché ulteriori indagini cliniche sull’esame di perfusione miocardica da stress mediante TC.

RIASSUNTO

Negli ultimi decenni, i progressi nelle metodologie di esecuzione dell’angioplastica coronarica percutanea (PCI) hanno ridotto significativamente il rischio di complicanze procedurali e la mortalità intraospedaliera dei pazienti con sindromi coronariche acute (SCA), aumentando così la popolazione dei pazienti stabili che hanno eseguito una PCI elettiva o per SCA. Questo nuovo scenario epidemiologico sottolinea l’importanza di attuare adeguate strategie di prevenzione e follow-up per questo gruppo di pazienti. Il follow-up dei pazienti dopo una SCA o una PCI elettiva dovrebbe basarsi su percorsi comuni e sulla collaborazione tra cardiologi ospedalieri e medici di base. Tuttavia, le strategie di follow-up di questi pazienti sono ancora scarsamente standardizzate. Questo documento di consenso SICI-GISE/SICOA è stato concepito come una proposta per la gestione a lungo termine dei pazienti che subiscono una PCI post-SCA o elettiva, sulla base del loro individuale rischio residuo di eventi avversi cardiovascolari. Sono state definite cinque classi di rischio del paziente e cinque strategie di follow-up che includono visite mediche ed esami diagnostici secondo un calendario specifico. Viene fornita anche una breve guida per la selezione dei test di imaging per la valutazione della frazione di eiezione ventricolare sinistra e dei test anatomici o funzionali non invasivi per la diagnosi di malattia coronarica ostruttiva residua. L’ecocardiografia con stress fisico e farmacologico è stata identificata come la tecnica di imaging di primo livello nella maggior parte dei casi, mentre la risonanza magnetica cardiovascolare dovrebbe essere preferita quando è necessaria una valutazione accurata della frazione di eiezione ventricolare sinistra. La standardizzazione dei percorsi di follow-up dei pazienti con una storia di PCI post-SCA o elettiva, condivisa tra medici ospedalieri e medici di base, potrebbe comportare una riduzione della mortalità extraospedaliera e un uso più efficiente, in termini di costo/beneficio, degli esami strumentali.

Parole chiave. Angioplastica coronarica; Documento di consenso; Follow-up; Percorsi standardizzati; Sindrome coronarica acuta.

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