Dibattito sulla “dual pathway inhibition”:
Terapia antipiastrinica e anticoagulante in pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica e ad alto rischio di eventi ischemici ricorrenti. Focus sulle strategie anticoagulation-based

Sabato Sorrentino, Annalisa Mongiardo, Ciro Indolfi

Istituto di Cardiologia, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro

Nonostante l’utilizzo di strategie di prevenzione secondaria sempre più efficaci, circa il 5-10% dei pazienti sottoposti ad angioplastica percutanea presenta un rischio significativamente più alto di eventi ischemici ricorrenti, sia per la progressione e l’evoluzione della malattia aterosclerotica coronarica che per la restenosi o la trombosi dello stent1.

Diverse sono le caratteristiche cliniche e procedurali che identificano i pazienti ad alto rischio ischemico2.

Lo studio di registro multicentrico REACH (REduction of Atherothrombosis for Continued Health), che ha arruolato circa 45 227 pazienti con multipli fattori di rischio cardiovascolare o con malattia aterosclerotica conclamata, ha evidenziato come la presenza di arteriopatia polidistrettuale (hazard ratio [HR] 1.99; intervallo di confidenza [IC] 95% 1.78-2.24; p=0.001), storia di eventi ischemici entro 1 anno (HR 1.71; IC 95% 1.57-1.85; p=0.001) ed il diabete (HR 1.44; IC 95% 1.36-1.53; p=0.001) fossero tra i maggiori predittori di mortalità cardiovascolare, infarto del miocardio o ictus a 4 anni1.

In un’analisi retrospettiva ancora più ampia che ha incluso circa 98 000 pazienti con storia di infarto miocardico acuto dal registro nazionale svedese dal 2006 al 2011, la presenza di diabete, insufficienza renale cronica (IRC), vasculopatia periferica, pregressa rivascolarizzazione miocardica chirurgica, ictus e scompenso cardiaco era associata ad un’incidenza oltre 3 volte superiore rispetto alla popolazione di controllo3.

In linea con questi ed altri studi osservazionali, le linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) sulla sindrome coronarica cronica del 2019 definiscono pazienti ad alto rischio ischemico quelli con malattia coronarica multivasale ed almeno una tra le seguenti caratteristiche cliniche quali il diabete mellito in trattamento farmacologico, infarto miocardico ricorrente, arteriopatia periferica o IRC di grado moderato (velocità di filtrazione glomerulare stimata 15-59 ml/min/1.73 m2)4. Successivamente le linee guida ESC 2020 sulle sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST estendono la definizione di elevato rischio trombotico anche a variabili cliniche procedurali come la lunghezza, il tipo di lesione trattata o il numero di stent utilizzati (Tabella 1)5.




Tra le strategie di trattamento disponibili per questi pazienti, queste linee guida introducono per la prima volta una strategia anticoagulation-based con rivaroxaban (2.5 mg bid) in aggiunta ad aspirina, in assenza di un elevato rischio di sanguinamento. Il profilo di efficacia e sicurezza di questo approccio terapeutico è stato valutato nello studio COMPASS (Cardiovascular Outcomes for People Using Anticoagulation Strategies), un trial multicentrico pubblicato nel 2017, che ha confrontato il rivaroxaban (2.5 mg bid) in associazione ad aspirina 100 mg/die o il solo rivaroxaban 5 mg bid vs la sola aspirina 100 mg/die, in 27 395 pazienti con coronaropatia stabile (90.5%) o arteriopatia periferica (27.2%) ad un follow-up medio di 23 mesi. Lo studio è stato interrotto anticipatamente per il raggiungimento dei criteri di superiorità predefiniti per l’endpoint primario (mortalità cardiovascolare, infarto del miocardio o ictus), a favore del braccio rivaroxaban 2.5 mg bid più aspirina rispetto alla sola aspirina (4.1% vs 5.4%; HR 0.76; IC 95% 0.66-0.86; p<0.001), con una riduzione significativa del rischio di ictus (0.9% vs 1.6%; HR 0.58; IC 95% 0.44-0.76; p<0.001), mortalità per tutte le cause (3.4% vs 4.1%; HR 0.82; IC 95% 0.71-0.96; p=0.01) e mortalità cardiovascolare (1.7% vs 2.2%; HR 0.78; IC 95% 0.64-0.96; p=0.02). Tra gli endpoint di sicurezza la strategia rivaroxaban 2.5 mg bid più aspirina ha visto aumentare il rischio di emorragie maggiori (3.1% vs 1.9%; HR 1.70; IC 95% 1.40-2.05; p<0.001), ma senza alcuna differenza nei sanguinamenti fatali o nei sanguinamenti sintomatici in organi critici6. Questo beneficio clinico netto è apparso più evidente nel sottogruppo dei pazienti con più distretti vascolari interessati, IRC, scompenso cardiaco o diabete mellito (4.7% vs 5.9%; HR 0.80; IC 95% 0.70-0.91; p<0.001)7.

Nel corso di questi ultimi anni diversi studi di registro nazionali ed internazionali hanno valutato l’applicabilità di questa strategia nella popolazione generale (Tabella 2)8-15.




In 4068 pazienti inclusi nello studio di registro multicentrico START (STable Coronary Artery Disease RegisTry), il 44.5% dei pazienti erano candidabili ad una strategia “COMPASS-like”. In particolare, questi pazienti presentavano una incidenza di eventi avversi, definita come un composito di mortalità cardiovascolare, infarto del miocardio ed ictus ad 1 anno, numericamente superiore al gruppo di controllo (2% vs 0.9%)8. Inoltre, il rischio di eventi avversi aumentava all’aumentare dei fattori di rischio presenti. Allo stesso modo, in una interessante analisi dallo studio di registro internazionale REACH, il 53.4% dei pazienti arruolati presentava i criteri di inclusione del trial COMPASS. Inoltre, questi pazienti presentavano un’incidenza annuale di morte cardiovascolare, infarto del miocardio e ictus significativamente più alta rispetto a quella osservata nel trial (4.2% vs 2.9%; p<0.001). Questi studi hanno rivelato come i benefici derivanti da un eventuale utilizzo di una strategia con rivaroxaban 2.5 mg bid in aggiunta all’aspirina possano essere anche teoricamente maggiori nella popolazione generale, rispetto a quelli osservati nel trial clinico9.

In conclusione, i pazienti con malattia aterosclerotica coronarica multivasale in associazione al diabete, arteriopatia periferica o IRC presentano un elevato rischio di eventi ischemici ricorrenti e rappresentano una fetta significativa di pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica percutanea. In questo sottogruppo di pazienti, un approccio anticoagulation-based si è dimostrato superiore alla sola monoterapia con aspirina, riducendo significativamente il rischio di eventi ischemici ricorrenti in assenza di sanguinamenti fatali. Tuttavia, se questo approccio terapeutico debba essere utilizzato in alternativa ad una duplice terapia antiaggregante prolungata rimane uno degli argomenti di discussione più interessanti in tema di prevenzione cardiovascolare.

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