Dibattito sulla “dual pathway inhibition”:
Terapia antiaggregante nei pazienti con malattia aterosclerotica periferica: old but gold?

Carmen Spaccarotella, Fiorenzo Simonetti, Raffaele Piccolo, Giovanni Esposito

Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli

La malattia aterosclerotica periferica (PAD) è una condizione ad elevata prevalenza nella popolazione generale in tutto il mondo1. Tale condizione, oltre a rappresentare una patologia a sé stante, è segno di un elevato burden aterosclerotico e per questa ragione i pazienti che ne sono affetti sono esposti ad un rischio maggiore di eventi ischemici cardiovascolari2,3.

Nonostante la presenza di arteriopatia periferica sia un noto modificatore, in senso peggiorativo, della prognosi4,5, questa patologia è molto spesso sotto-diagnosticata e trattata in maniera meno appropriata rispetto alla malattia aterosclerotica coronarica (CAD)6.

In tale contesto, la terapia antitrombotica ha dimostrato una riduzione degli eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE) e degli eventi avversi maggiori agli arti inferiori (MALE) ed è per questo che i farmaci antitrombotici si posizionano con un alto grado di raccomandazione nelle attuali linee guida prodotte delle società scientifiche internazionali7-9.

Escludendo gli eventi acuti, che richiedono interventi invasivi, le principali indicazioni alla terapia antitrombotica nel paziente con PAD sono la malattia sintomatica ed il trattamento medico dopo rivascolarizzazione, inclusa quella endovascolare. La scelta del regime antitrombotico appropriato non è semplice ed è meno standardizzata, a causa delle minori evidenze scientifiche, rispetto a quella della malattia coronarica (Figura 1).




In questa rassegna riassumiamo la letteratura attuale sull’impiego dei farmaci antitrombotici nei pazienti con malattia aterosclerotica degli arti inferiori (LEAD).

ARTERIOPATIA PERIFERICA ASINTOMATICA

Due trial randomizzati multicentrici sono stati disegnati per valutare l’efficacia della terapia antiaggregante singola (SAPT) nei pazienti con LEAD asintomatica10,11; entrambi hanno definito come endpoint primario un composito di eventi cardiovascolari, entrambi hanno confrontato la somministrazione di singolo antiaggregante (aspirina 100 mg/die) vs placebo. Il POPADAD (Prevention Of Progression of Arterial Disease And Diabetes) del 2008 ha incluso 1276 pazienti affetti da diabete, con indice caviglia-braccio (ABI) <0.99, mentre il trial AAA (Aspirin for Asymptomatic Atherosclerosis) del 2010 ha incluso 3350 pazienti asintomatici con ABI <0.95. Entrambi non hanno dimostrato superiorità dell’aspirina rispetto al placebo e pertanto le attuali linee guida7-9,12 ed anche i consensus più recenti13 non raccomandano la terapia antiaggregante nei pazienti con PAD asintomatica e senza altre patologie cardiovascolari.

ARTERIOPATIA PERIFERICA SINTOMATICA

A differenza delle forme di LEAD asintomatica, la scena cambia completamente nei pazienti con presenza di sintomi. Infatti, sono numerose le evidenze sul miglioramento della prognosi cardiovascolare con l’integrazione di farmaci antiaggreganti nei pazienti con sintomi riferibili a PAD14-18.

Lo studio CAPRIE (Clopidogrel versus Aspirin in Patients at Risk of Ischaemic Events)15 ha confrontato clopidogrel vs aspirina in pazienti con LEAD sintomatica con risultati statisticamente significativi in termini di riduzione di MACE nei pazienti che assumevano clopidogrel. Da questo deriva l’indicazione a preferire il clopidogrel in tale contesto.

Nel 2006 il trial CHARISMA (Clopidogrel for High Atherothrombotic Risk and Ischemic Stabilization, Management, and Avoidance) nel sottogruppo con arteriopatia periferica16 non ha mostrato superiorità della doppia terapia antiaggregante (DAPT) composta da aspirina e clopidogrel rispetto alla SAPT con la sola aspirina.

Nel 2017 l’EUCLID (Examining Use of tiCagreLor In peripheral artery Disease)17 ha incluso 13 877 pazienti confrontando la SAPT con ticagrelor vs clopidogrel, anche in questo caso fallendo nel dimostrare una superiorità in termini di MACE del ticagrelor rispetto al clopidogrel.

Infine, nel 2018 il COMPASS (Cardiovascular Outcomes for People Using Anticoagulation Strategies) nel sottogruppo LEAD sintomatici19 ha arruolato 27 395 pazienti (5551 del sottogruppo LEAD) dimostrando una significativa riduzione dei MACE e MALE nei pazienti che assumevano rivaroxaban 2.5 mg bid e aspirina. Di contro, questa combinazione aumentava i sanguinamenti maggiori ed inoltre, per il suo disegno, questo studio ha confrontato questa associazione unicamente con l’aspirina da sola e non con la DAPT composta da aspirina e clopidogrel.

Pertanto, alla luce di queste evidenze una raccomandazione attuale è quella di prescrivere bassa dose di aspirina o preferibilmente clopidogrel come terapia a lungo termine nei pazienti con arteriopatia periferica sintomatica7,13,20.

TERAPIA ANTIAGGREGANTE DOPO RIVASCOLARIZZAZIONE

Dopo rivascolarizzazione endovascolare

Il trial CAMPER (Clopidogrel and Aspirin in the Management of Peripheral Endovascular Revascularization) era stato disegnato con l’intento di confrontare l’aspirina in monoterapia con la DAPT. Sfortunatamente lo studio fu interrotto senza risultati per mancanza di pazienti.

Nel 2012 invece lo studio MIRROR (Management of Peripheral Arterial Interventions with Mono or Dual Antiplatelet Therapy) ha valutato a 6 mesi dalla rivascolarizzazione la monosomministrazione di aspirina e la DAPT con aspirina più clopidogrel21. Durante il follow-up i pazienti in DAPT andavano meno frequentemente incontro a rivascolarizzazione della lesione target, ma questo vantaggio si perdeva estendendo il follow-up a 12 mesi.

STOP-IC (The Sufficient Treatment of Peripheral Intervention by Cilostazol) ha invece valutato l’aggiunta del cilostazolo rispetto al placebo alla SAPT con aspirina, mostrando una riduzione significativa delle restenosi rispetto al placebo22.

Dopo rivascolarizzazione chirurgica

Dopo rivascolarizzazione chirurgica, in particolare nel primo anno dalla procedura, il rischio di occlusione del graft è maggiore e questo dipende dal tipo di graft (venosi, in particolare la grande safena hanno un migliore tasso di pervietà), dal diametro del vaso e dalla posizione dell’anastomosi distale. Pertanto, anche in questa categoria di pazienti non è trascurabile l’effetto di un’ottimale gestione della terapia antiaggregante.

Il Dutch BOA (Dutch Bypass Oral anticoagulants or Aspirin) nel 2000 ha confrontato l’aspirina con un antagonista della vitamina K (AVK) in monoterapia23 non mettendo in evidenza un complessivo beneficio tra i due trattamenti. Ha invece mostrato una pervietà maggiore dei condotti protesici con aspirina e dei condotti venosi con AVK (international normalized ratio 3-4.5), in ogni caso mettendo in evidenza un aumento dei sanguinamenti nei pazienti che assumevano AVK.

Ancora il CASPAR (Clopidogrel and Acetylsalicylacid in Bypass Surgery for Peripheral Arterial Disease) nel 2010 ha valutato la DAPT con aspirina e clopidogrel rispetto alla monoterapia con sola aspirina24 in 851 pazienti ed in questo caso solo i pazienti con condotti protesici hanno beneficiato della DAPT.

Nel 2020 il trial VOYAGER PAD (Vascular Outcomes studY of ASA along with rivaroxaban in Endovascular or surgical limb revascularization) ha testato rivaroxaban 2.5 mg bid e aspirina vs aspirina da sola in pazienti rivascolarizzati chirurgicamente o per via endovascolare25. Dopo 3 anni, l’endpoint primario composito dello studio (ischemia acuta d’arto, amputazione, infarto miocardico, ictus e morte cardiovascolare) è stato raggiunto con una riduzione degli aventi nel braccio rivaroxaban, prevalentemente legata alla riduzione delle ischemie acute d’arto. Questo al prezzo di un aumento dei sanguinamenti maggiori. Va comunque sottolineato che i dati dello studio quando valutati in termini di differenza assoluta di rischio, che tiene conto del tasso di eventi di base, rispetto alla differenza relativa, mostrano un profilo a favore dell’impiego del rivaroxaban ed aspirina in quanto gli eventi ischemici sono di gran lunga più frequenti di quelli di sanguinamento. Tuttavia, così come per il COMPASS nei pazienti sintomatici, il VOYAGER PAD ha mostrato una riduzione degli eventi ischemici controbilanciata da un aumento dei sanguinamenti, in particolare nei soggetti ad alto rischio ed inoltre non ha confrontato la DPI con la canonica DAPT con aspirina e clopidogrel. Infine, va tenuto conto che i dati a disposizione nei pazienti in prevenzione cardiovascolare secondaria mostrano un miglior profilo di sicurezza con clopidogrel rispetto ad aspirina. Quindi, nonostante il trial abbia testato la DPI con rivaroxaban 2.5 mg ed aspirina, resta non valutata la DPI con rivaroxaban 2.5 mg e clopidogrel, che potrebbe fornire ulteriori vantaggi soprattutto nel ridurre gli eventi di sanguinamento e migliorare il profilo di sicurezza di una strategia DPI.

In assenza di dati univoci le attuali linee guida, basandosi prevalentemente su consensus di esperti consigliano la DAPT con aspirina e clopidogrel o alternativamente rivaroxaban e aspirina (in base alle caratteristiche del paziente) tra 1 e 3 mesi dopo la rivascolarizzazione7. Le linee guida infatti, antecedenti alla pubblicazione del VOYAGER PAD, non incorporano l’evidenza nuova del trial.

POPOLAZIONI SPECIALI: PAZIENTI CON ARTERIOPATIA PERIFERICA E INDICAZIONE A TERAPIA ANTICOAGULANTE ORALE

I pazienti affetti da LEAD hanno un rischio aumentato di sviluppare fibrillazione atriale (FA)26. I pazienti con FA e malattia periferica hanno per definizione un CHA2DS2-VASc score ≥1. Quindi non è infrequente imbattersi in pazienti con PAD e indicazione a terapia anticoagulante.

Una recente analisi ha mostrato come l’aggiunta di aspirina ad AVK non riduca gli eventi tromboembolici bensì determini un aumento significativo delle complicanze emorragiche27. Pertanto, le attuali linee guida non raccomandano l’aggiunta di antiaggreganti in pazienti con indicazione a dosaggio pieno di anticoagulante.

Studi disegnati specificamente per valutare la terapia ottimale in questa categoria di pazienti dopo rivascolarizzazione non sono disponibili. Tuttavia, sono presenti in letteratura documenti di consenso13 che supportano l’aggiunta di un singolo antiaggregante (preferibilmente clopidogrel) all’anticoagulante orale (preferibilmente diretto) dopo gli interventi di rivascolarizzazione, in particolare quando vengono utilizzati degli stent, per un periodo di tempo possibilmente limitato (1 mese). L’aggiunta di aspirina (triplice terapia antitrombotica) viene supportata solo in caso di rischio ischemico particolarmente alto e rischio emorragico molto basso. Infine, in caso di rischio emorragico alto è possibile mantenere il solo anticoagulante orale senza antiaggreganti.

CONCLUSIONI

La terapia antiaggregante riveste un ruolo cardine per la gestione dei pazienti affetti da PAD ed ha dimostrato con elevati livelli di evidenza scientifica una riduzione sia dei MALE che dei MACE.

Nonostante i risultati di due recenti grandi trial randomizzati (COMPASS e VOYAGER PAD) abbiano portato alla luce i benefici della DPI con l’utilizzo di un basso dosaggio di anticoagulante (rivaroxaban) in associazione ad un antiaggregante (aspirina), entrambi non hanno confrontato l’associazione rivaroxaban-aspirina con la “canonica” e ben studiata associazione di due antiaggreganti (clopidogrel e aspirina) e pertanto non sono disponibili dati di confronto diretto tra le due associazioni. Inoltre, ogni combinazione di anticoagulante e antiaggregante determina un aumento non trascurabile del rischio di sanguinamenti28 e pertanto vi è comune accordo nel non utilizzare la DPI nei pazienti ad elevato rischio di sanguinamenti.

La scelta tra farmaci anticoagulanti e antiaggreganti dipende dalla situazione clinica ed è di difficile standardizzazione. Ulteriori studi sono sicuramente necessari per poter sviluppare modelli dedicati per la stratificazione del rischio ischemico ed emorragico nei pazienti con PAD e per poter comprendere quali ricevano maggior beneficio da una terapia con anticoagulante. Intanto, l’utilizzo dei farmaci antiaggreganti da soli o in combinazione tra loro resta una valida ed efficace opzione da prendere in considerazione quando ci si trova dinanzi alla complessità della malattia aterosclerotica dei distretti periferici.

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