Position paper ANMCO in collaborazione con ITACARE-P: Terapia anti-ischemica nei pazienti con sindrome coronarica cronica

Carmine Riccio1, Gian Francesco Mureddu2, Stefania Angela Di Fusco3, Maurizio Giuseppe Abrignani4, Francesco Orso5, Pier Luigi Temporelli6, Leonardo De Luca7, Francesco Fattirolli8, Pompilio Faggiano9, Marco Ambrosetti10, Federico Nardi11, Pasquale Caldarola12, Michele Massimo Gulizia13, Domenico Gabrielli7,14, Fabrizio Oliva15, Furio Colivicchi3

1U.O.S.D. Follow-up del Paziente Post-Acuto, Dipartimento Cardio-Vascolare, AORN Sant’Anna e San Sebastiano, Caserta

2Cardiologia Riabilitativa, Ospedale San Giovanni-Addolorata, Roma

3U.O.C. Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri, ASL Roma 1, Roma

4U.O. Cardiologia, Presidio Ospedaliero P. Borsellino di Marsala, Asp Trapani, Trapani

5SODc Geriatria-UTIG e Cardiologia Geriatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze

6Divisione di Cardiologia Riabilitativa, ICS Maugeri, IRCCS Gattico-Veruno (NO)

7U.O.C. Cardiologia, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, Roma

8Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi, Firenze

9Fondazione Poliambulanza, Brescia

10Unità di Riabilitazione Cardiovascolare, ASST Crema, Ospedale Santa Marta, Rivolta d’Adda (CR)

11S.C. Cardiologia, Dipartimento Medico ASL AL, Ospedale Santo Spirito, Casale Monferrato (AL)

12U.O. Cardiologia-UTIC, Ospedale San Paolo, Bari

13U.O.C. Cardiologia, Ospedale Garibaldi-Nesima, Azienda di Rilievo Nazionale e Alta Specializzazione “Garibaldi”, Catania

14Fondazione per il Tuo cuore - Heart Care Foundation, Firenze

15Unità di Cure Intensive Cardiologiche, Cardiologia 1-Emodinamica, Dipartimento Cardiotoracovascolare “A. De Gasperis”, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

Over the last decade, pharmacological therapies for primary and secondary prevention of chronic coronary syndromes enriched with new agents have been demonstrated to be effective in reducing cardiovascular adverse events. However, currently available evidence on treatment for anginal symptom control is weaker. This position paper of the Italian Association of Hospital Cardiologists (ANMCO) aims to briefly report evidence that supports the use of anti-ischemic drugs for chronic coronary syndromes. Furthermore, we propose a therapeutic algorithm for the choice of the most appropriate drug on the basis of the clinical characteristics of the individual patient.

Key words. Angina; Chronic coronary syndrome; Ischemia; Pharmaco-therapy.

INTRODUZIONE

Le linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) del 2019 sulle sindromi coronariche croniche (SCC)1 definiscono in maniera chiara i fattori che influenzano la storia naturale dei pazienti affetti da SCC, riconoscendo, affianco all’intervento sullo stile di vita e una rivascolarizzazione appropriata, il ruolo della terapia medica ottimale, che viene definita come una strategia che deve essere in grado sia di ridurre gli eventi attraverso la riduzione dei livelli lipidici, pressori, glicemici nonché del burden trombotico, sia di controllare i sintomi riducendo il carico ischemico.

In questi ultimi anni gli interventi terapeutici per la riduzione del rischio cardiovascolare si sono arricchiti di nuovi farmaci, basti pensare a quelli in grado di ridurre drasticamente il colesterolo LDL, quali gli inibitori della proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9 (PCSK9), l’acido bempedoico e inclisiran che hanno affiancato i farmaci tradizionalmente in uso quali statine ed ezetimibe, ma anche alle nuove strategie terapeutiche grazie alle evidenze degli studi PEGASUS-TIMI 542 e COMPASS3.

Per quanto concerne i farmaci per ridurre i sintomi anginosi le linee guida ESC del 20134 su quella che allora veniva chiamata cardiopatia ischemica cronica avevano suscitato alcune perplessità, fornendo raccomandazioni di classe IA all’utilizzo di farmaci come i betabloccanti ed i calcioantagonisti, raccomandazioni che erano basate sul parere di esperti più che su risultati di trial clinici randomizzati.

Nel documento ANMCO sulla cardiopatia ischemica cronica, pubblicato nel 20165, si poneva l’accento sulla necessità di rivalutare queste raccomandazioni, fornendo un algoritmo più rispondente alle evidenze e all’uso clinico nel “mondo reale”. In particolare, veniva proposto, in caso di mancato controllo dei sintomi o di intolleranza all’uso dei betabloccanti, l’uso di ranolazina ed ivabradina. Successivamente un editoriale di Balla et al.6, partendo dallo stesso presupposto di una mancanza di convincenti evidenze nelle raccomandazioni riportate nelle linee guida ESC, proponeva un protocollo più simile a quello da noi proposto, con un approccio a diamante.

Nel 2019 le linee guida ESC hanno confermato lo stesso schema proposto nel 2013, non motivandolo con dati provenienti da nuovi studi. In considerazione delle nuove evidenze derivanti dallo studio ISCHEMIA7, dai dati del registro START8 condotto su oltre 5000 pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica e seguiti da centri italiani, ed i recenti provvedimenti amministrativi sulla prescrivibilità e rimborsabilità della ranolazina, abbiamo ritenuto utile produrre un position paper sulla terapia per il controllo dei sintomi nei pazienti affetti da SCC. In questo documento prenderemo in rassegna i farmaci più comunemente utilizzati nella gestione della SCC e proponiamo una flow-chart che aiuti il cardiologo nella scelta del farmaco giusto, al paziente giusto, nel momento giusto.

DEFINIZIONE DI ANGINA

Le linee guida europee sulle SCC del 20191 indicano che un’accurata anamnesi mirata ad indagare i sintomi è il cardine della diagnosi. Nello stesso documento viene ripresa integralmente la definizione di angina riportata nelle linee guida del 20134, nonostante alcuni limiti per la sua trasposizione nella pratica clinica. Infatti, sia per l’“angina tipica” – disagio al petto con caratteristiche tipiche, provocato da stress fisico o emotivo, che regredisce con riposo o assunzione di nitrati – che per l’“angina atipica” – definita dalla presenza di due delle tre condizioni sopra citate – non di rado si hanno difficoltà nell’inquadrare il sintomo anginoso. Queste difficoltà sono dovute alle molteplici possibili presentazioni cliniche (ad esempio la dispnea) che non trovano collocazione in questa descrizione. La rilevanza di una corretta interpretazione del dolore toracico, sia in soggetti senza storia di cardiopatia che in coloro che hanno una pregressa diagnosi di cardiopatia ischemica, ha portato le società scientifiche cardiologiche statunitensi a produrre nel 2021 le linee guida di valutazione e diagnosi del dolore toracico9.

Nei pazienti con angina, la sintomatologia non solo gioca un ruolo fondamentale nella definizione della limitazione funzionale e nella percezione della qualità della vita, ma a seconda delle caratteristiche può anche essere associata ad una prognosi più sfavorevole. È noto da tempo che se la sintomatologia viene valutata con una scala che differenzia i sintomi in classi di crescente gravità, la severità dei sintomi è indicatore indipendente di peggiore prognosi10.

L’esperienza e la sensibilità del medico hanno certamente un ruolo determinante. D’altro canto, l’impiego di una strategia che consenta di rilevare i sintomi in modo sistematico permette di ridurre il rischio di non identificare soggetti che a causa di difficoltà comunicative o di autolimitazione della propria attività quotidiana, ad una valutazione poco attenta possono essere classificati come asintomatici. Una modalità di valutazione snella, di rapido uso, basata su risposte sì/no, con domande formulate in maniera semplice e adattabile a pazienti diversi per età, condizione culturale, presentazione dei sintomi, può facilitare l’identificazione dei soggetti con angina11.

L’identificazione dell’angina ed il suo adeguato riconoscimento hanno un ruolo centrale, in quanto la variazione della stabilità e dello stato funzionale sono correlati ad un differente profilo di rischio ed impattano i processi decisionali da cui derivano le scelte su indagini strumentali e/o trattamenti terapeutici specifici e differenziati.

EPIDEMIOLOGIA

A causa dell’aspetto multiforme dell’angina pectoris stabile e poiché essa non è un evento “hard” ma un dato anamnestico soggettivo, non sempre adeguatamente raccolto nel contesto di un ricovero ospedaliero, la sua epidemiologia è difficile da determinare5. Il giudizio clinico, ai fini epidemiologici, può essere integrato dall’uso di appositi questionari, come il Rose Angina Questionnaire12, utilizzati in alcuni registri di popolazione.

Negli adulti di età compresa tra 40 e 79 anni, la prevalenza di angina è stimata tra il 4% e il 7% e oltre il 10% negli individui di età >80 anni13. L’incidenza annuale di nuovi casi di angina pectoris è dell’1% circa nelle popolazioni occidentali di età 45-65 anni e cresce progressivamente con l’aumentare dell’età14. I dati NHANES negli Stati Uniti indicano che l’incidenza annuale di angina si è ridotta da 4 a 3.4 milioni di individui (1988-1994 vs 2009-2012)15. È stato, inoltre, osservato che nel primo anno dopo un bypass aortocoronarico, il 9.8% dei pazienti si ricovera per angina16.

Si stima che nei paesi occidentali la prevalenza dell’angina sia di 30 000-40 000 casi/milione di abitanti e che vi siano 30 pazienti con angina per ogni paziente ricoverato per infarto miocardico acuto17. La Tabella 1 riporta i dati di alcuni dei più recenti studi epidemiologici sulla prevalenza dell’angina pectoris15,18-26.




Tra i pazienti stabili si è osservata una relazione diretta tra frequenza di episodi anginosi e costi sanitari complessivi. In particolare, dopo un evento coronarico acuto, i pazienti sintomatici per angina richiedono un impiego di risorse 2 volte superiore rispetto ai pazienti asintomatici27.

Per quanto riguarda la storia naturale dell’angina stabile, si stima una mortalità annuale dell’1.2-2.4%, simile a quella dei soggetti ad alto rischio in prevenzione secondaria, e un tasso di eventi coronarici tra lo 0.6% e il 2.7%28. I dati del mondo reale14 sono lievemente più pessimistici. Nel Primary Prevention Study, che ha valutato la prognosi nel lungo periodo, ad un follow-up di 14 anni la sopravvivenza dei pazienti con angina stabile è risultata pari al 53%29. La prognosi dei pazienti con cardiopatia ischemica cronica varia comunque considerevolmente sulla base delle caratteristiche anatomiche, cliniche e funzionali basali e degli interventi terapeutici ricevuti.

In molti pazienti sottoposti a test di imaging per sospetta angina la causa non è un’aterosclerosi coronarica ostruttiva30, ma una malattia microvascolare o uno spasmo coronarico, forme attualmente classificate come ANOCA (angina and non-obstructed coronary arteries). La descrizione dell’epidemiologia di questi pazienti è molto complessa, anche per la mancanza di test diagnostici standardizzati. La prevalenza di malattia microvascolare nei pazienti con ANOCA è maggiore nelle donne e varia da un terzo a due terzi circa31,32. In una recente revisione sistematica della letteratura è stata evidenziata una prevalenza del 30%33. I pazienti con ischemia in assenza di aterosclerosi coronarica, specie le donne, hanno un rischio di nuovi eventi cardiaci superiore alla popolazione generale34. Uno studio finlandese ha rilevato un’incidenza annuale di angina vasospastica di 2.29/100 000 soggetti; in questi pazienti, la mortalità cardiovascolare a 3 anni è risultata pari all’11.1%35.

COSA DICONO LE LINEE GUIDA

L’obiettivo della terapia anti-ischemica nelle SCC è la minimizzazione o eliminazione nel lungo periodo del sintomo angina e dell’ischemia da sforzo. Tale obiettivo può essere ottenuto attraverso interventi sinergici sullo stile di vita, con la pratica di attività fisica regolare e l’eventuale rivascolarizzazione coronarica – perseguendo allo stesso tempo la massima aderenza alla terapia medica basata sull’evidenza.

Le linee guida ESC del 20191 raccomandano che la scelta iniziale di un farmaco anti-ischemico (o antianginoso), per il controllo dei sintomi nel lungo periodo e indipendentemente dalla relativa efficacia, sia basata sul grado atteso di tolleranza, sulle interazioni con la concomitante terapia e sulle preferenze del paziente stesso, con necessità di rivalutazione a 2-4 settimane dall’inizio del trattamento. I betabloccanti e i calcioantagonisti – da soli o in combinazione – sono considerati di prima scelta con classe di raccomandazione IA, mentre i nitrati a lunga durata d’azione, la ranolazina, il nicorandil, l’ivabradina e la trimetazidina vengono posti in seconda linea (classe IIaB). L’approccio “stepwise” raccomandato dalle linee guida – nella sua formulazione standard – prevede quindi in prima battuta l’impiego di un betabloccante o di un calcioantagonista diidropiridinico, in seconda battuta la loro associazione e successivamente al terzo e quarto step l’aggiunta del farmaco di seconda linea singolo o multiplo. Nell’ambito delle raccomandazioni delle linee guida, l’utilizzo ab initio della terapia di seconda linea – da sola o in combinazione con farmaci di prima linea – può essere preso in considerazione (classe IIb) ed è generalmente limitato alle situazioni di bradicardia, ipotensione o scarsa tolleranza. In questo caso, per quanto concerne ranolazina e trimetazidina, viene specificato che l’utilizzo è mirato alla riduzione della frequenza degli attacchi anginosi e all’incremento della tolleranza allo sforzo. Completano le principali raccomandazioni sulla terapia anti-ischemica l’indicazione all’utilizzo dei nitrati a breve durata d’azione per il rapido sollievo dell’attacco anginoso, il ruolo elettivo di calcioantagonisti e nitrati a lunga durata d’azione nelle forme microvascolari e vasospastiche (soprattutto nifedipina in presenza di stent) e la controindicazione assoluta all’utilizzo di nitrati nei casi di cardiomiopatia ipertrofica o uso di inibitori delle fosfodiesterasi.

Le linee guida europee del 2019 non presentano in questa sezione significative variazioni rispetto alla precedente edizione del 20134 (con le opportune contestualizzazioni dovute al passaggio da “stable coronary artery disease” a “chronic coronary syndrome”) e si differenziano dal documento italiano intersocietario del 20165. In quest’ultimo, la terapia di prima linea indicata è limitata al solo utilizzo del betabloccante, cui può seguire in seconda battuta – in caso di sintomi non controllati, controindicazioni o intolleranza – l’impiego di ranolazina o l’associazione con ivabradina limitatamente ai pazienti in ritmo sinusale, frequenza cardiaca ≥70 b/min e disfunzione ventricolare sinistra.

Betabloccanti

L’introduzione dei betabloccanti nel trattamento della cardiopatia ischemica cronica risale al 1960 e rimane tuttora il caposaldo della terapia antianginosa36. Le linee guida europee del 2019 raccomandano i betabloccanti, da soli o in associazione con calcioantagonisti, come prima linea (classe IA) per il controllo della frequenza cardiaca e dei sintomi nei pazienti affetti da SCC1. Bloccando l’effetto delle catecolamine sui recettori adrenergici, questa classe farmacologica riduce la frequenza cardiaca e l’inotropismo, garantendo così una diminuzione globale del consumo miocardico di ossigeno e, tramite il prolungamento della fase diastolica, un aumento della perfusione miocardica. I betabloccanti, inoltre, riducendo la tachicardia riflessa, aumentano la tollerabilità di altre classi farmacologiche indicate per l’angina (ad esempio calcioantagonisti diidropiridinici, nitrati e nicorandil).

I principali benefici attesi da un farmaco nel trattamento della cardiopatia ischemica cronica sono la capacità di migliorare la sintomatologia anginosa e la capacità di migliorare la prognosi, in particolare ridurre la mortalità.

In termini di prognosi, sulla base delle evidenze sinora disponibili, i betabloccanti sembrano ridurre significativamente la mortalità (per tutte le cause e per cause cardiovascolari) solo nei pazienti ischemici con recente infarto miocardico acuto e nei pazienti con disfunzione sistolica ventricolare sinistra37. Inoltre, nei soggetti con pregresso infarto riducono l’incidenza di reinfarto e di eventi cardiovascolari maggiori. In questo contesto, la durata ottimale della terapia betabloccante dopo infarto miocardico acuto (senza disfunzione sistolica) non è chiara. Le evidenze per supportare un beneficio prognostico significativo sulla mortalità nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica stabile, senza recente infarto e/o disfunzione sistolica, sono limitate. Probabilmente la bassa incidenza di eventi cardiovascolari nella SCC è una delle ragioni principali per cui è difficile dimostrare un beneficio statisticamente significativo in termini di mortalità, nonostante ci sia un trend in tal senso. D’altro canto, è invece assodato che i betabloccanti riducano gli episodi anginosi e la soglia di comparsa dei sintomi in tutti i pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica. Affinché il beneficio sintomatologico sia massimo, è opportuno che il dosaggio dei betabloccanti sia modulato al fine di raggiungere una frequenza cardiaca a riposo soddisfacente (55-60 b/min), senza eccessivi incrementi durante l’esercizio. Nella pratica clinica “real-world” questi target di frequenza cardiaca sono raramente raggiunti, principalmente causa di un frequente sotto-dosaggio dei betabloccanti38.

Vari e differenti agenti betabloccanti, indipendentemente dalla loro selettività sui beta- e alfa-recettori, hanno dimostrato capacità simili nel ridurre i sintomi anginosi39 (Tabella 2).




Per tale motivo la scelta clinica del betabloccante nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica dipende principalmente dalle comorbilità dei pazienti40. Per esempio, gli agenti beta-1 selettivi andrebbero preferiti in pazienti affetti da bronco- pneumopatia cronica ostruttiva, diabete mellito con episodi di ipoglicemia, ateromasia degli arti inferiori con segni clinici di vascocostrizione periferica. Viceversa, i pazienti con tendenza a valori pressori elevati potrebbero giovare maggiormente di un agente alfa- e betabloccante. Infine, seppur poco utilizzati in pratica clinica, i betabloccanti con attività simpaticomimetica intrinseca potrebbero essere considerati in pazienti con tendenza alla bradicardia, in cui spesso i betabloccanti non vengono introdotti.

Calcioantagonisti

Sebbene i calcioantagonisti o bloccanti i canali del calcio possano migliorare i sintomi di angina e di ischemia miocardica41, non ci sono dati a sostegno di un beneficio sulla mortalità o sulla riduzione di eventi maggiori cardiovascolari in pazienti con SCC40-44. Nell’angina stabile pochi trial hanno dimostrato un beneficio sulla morbilità cardiovascolare rispetto al placebo45,46.

Tra i farmaci non diidropiridinici, il verapamil ha indicazione per l’angina da sforzo, vasospastica e instabile. L’efficacia antianginosa è stata riportata simile a quella del metoprololo47. Il diltiazem presenta meno effetti collaterali rispetto al verapamil ed ha indicazione nel trattamento dell’angina da sforzo. Come il verapamil, agisce mediante vasodilatazione periferica e coronarica, associata ad un modesto effetto inotropo negativo ed inibizione del nodo del seno. Non sono disponibili studi di confronto tra diltiazem e verapamil. L’uso di calcioantagonisti non diidropiridinici nei pazienti con dis­funzione ventricolare sinistra non è consigliato1.

Tra i calcioantagonisti diidropiridinici, la nifedipina a lento rilascio (GITS, gastro-intestinal therapeutic system) è stata testata nello studio ACTION in aggiunta alla terapia convenzionale (costituita in larga misura dai betabloccanti) alla dose di 60 mg/die. Lo studio ha dimostrato che la nifedipina GITS riduceva gli interventi coronarici nei pazienti con angina instabile; tuttavia non è risultata efficace nel ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori né migliorava la sopravvivenza45.

In pazienti con SCC, l’amlodipina (5-10 mg/die)47 ha dimostrato di ridurre l’ischemia indotta dall’esercizio più efficacemente rispetto all’atenololo 50 mg/die. L’associazione tra uso di betabloccanti o calcioantagonisti48 ed esiti clinici in pazienti con SCC stabile è stata analizzata nel registro longitudinale osservazionale prospettico CLARIFY che ha incluso 22 006 pazienti con SCC stabile. L’endpoint primario era la morte per tutte le cause. Gli endpoint secondari erano la morte cardiovascolare e il composito di morte cardiovascolare/infarto del miocardio non fatale48. Il gruppo in terapia con calcioantagonisti comprendeva più donne, anziani ed una maggiore prevalenza di comorbilità e sintomi anginosi. Complessivamente il tasso di mortalità era di 1.80% pazienti/anno. Dall’analisi multivariata, non è risultata alcuna associazione tra l’uso di calcioantagonisti al basale e gli esiti48. Di fatto, l’impiego dei calcioantagonisti nel trattamento della cardiopatia ischemica cronica nella pratica clinica è ridotto all’angina vasospastica e, come alternativa, ai betabloccanti per il controllo della frequenza cardiaca e dei sintomi (classe IA)1. L’associazione con i betabloccanti può essere presa in considerazione (classe IIaB)1 se i sintomi anginosi non sono controllati tenendo conto che l’associazione comporta un maggior rischio di bradicardia e ipotensione5. Globalmente, in merito all’uso dei calcioantagonisti, l’indicazione delle linee guida ESC del 2019 rimane debole e supportata da studi ormai datati.

Nitrati

I nitrati sono farmaci impiegati nel trattamento sintomatico dell’angina e vengono distinti in due principali categorie sulla base della durata d’azione1.

I nitrati a lunga durata d’azione sono utilizzati nel trattamento cronico dell’angina. Possono essere somministrata per via orale o attraverso cerotti transdermici. Quando assunti per un periodo prolungato provocano tolleranza con perdita di efficacia (tachifilassi); ciò è necessario un “periodo finestra” (solitamente nelle ore notturne) libero dall’esposizione ai nitrati della durata di circa 10-12 h. In letteratura ci sono pochi dati di confronto sull’efficacia dei nitrati rispetto ad altri trattamenti antianginosi49-51. Gli effetti indesiderati più comuni sono l’ipotensione, la cefalea e le vampate di calore. Particolare attenzione deve essere posta nel paziente anziano e nei pazienti con disautonomie (es. diabete, amiloidosi, malattia di Parkinson) poiché possono aggravare l’ipotensione ortostatica e aumentare il rischio di caduta. Le controindicazioni includono la cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, la stenosi valvolare aortica e la co-somministrazione con inibitori delle fosfodiesterasi (ad es. sildenafil) o stimolatori della guanilato ciclasi come riociguat o vericiguat1. Anche a causa del rischio degli effetti collaterali sopradescritti i nitrati sono da considerare come terapia di seconda/terza linea quando altri trattamenti sono controindicati, poco tollerati o insufficienti per controllare i sintomi.

I nitrati a breve durata d’azione sono utilizzati per il trattamento degli episodi acuti di angina. Esistono formulazioni in compresse o spray (ad azione più rapida) sublinguali di nitroglicerina52. Possono essere somministrati da un operatore sanitario oppure dal paziente (e/o dal caregiver) dopo opportuna educazione sul riconoscimento dei sintomi anginosi e sulle modalità di assunzione. Il paziente dovrà essere in clinostatismo per prevenire il rischio di episodi sincopali conseguenti alla rapida riduzione dei valori pressori e assumere nitroglicerina (0.3-0.6 mg compressa o 0.4 mg spray sublinguale) oppure isosorbide dinitrato (5 mg per via sublinguale) ogni 5 min fino alla scomparsa del dolore per un massimo di tre somministrazioni. In caso di primo episodio o di persistenza di angina il paziente deve essere istruito sulla necessità di assistenza medica immediata.

Nicorandil

Il nicorandil è un derivato nitrato della nicotinamide con effetti antianginosi simili ai betabloccanti e ai calcioantagonisti53. Oltre all’effetto antianginoso, nello studio IONA il nicorandil ha ridotto significativamente l’endpoint composito di morte per malattia coronarica, infarto miocardico non fatale o ricovero ospedaliero non pianificato per sospetti sintomi anginosi rispetto a placebo, senza un beneficio significativo sui primi due componenti dell’endpoint composito54. L’utilizzo del nicorandil è associato a effetti collaterali non trascurabili che includono nausea, vomito e ulcerazioni orali, intestinali e della mucosa potenzialmente gravi. Il farmaco non è approvato per l’uso clinico negli Stati Uniti e in Italia.

Ranolazina

È noto da tempo l’impatto della ranolazina sulla durata dell’esercizio e sulla frequenza degli attacchi anginosi. Particolare attenzione meritano i dati emersi dallo studio CARISA55. Lo studio CARISA può essere preso in considerazione in questo contesto in quanto prevedeva l’associazione di ranolazina con betabloccanti, diltiazem o amlodipina in pazienti con angina cronica stabile sintomatici. L’aggiunta di ranolazina alla terapia betabloccante determinava rispetto al placebo un incremento significativo della durata dell’esercizio e del tempo di esordio dell’angina, ed un incremento del tempo al sottoslivellamento di 1 mm del tratto ST; determinava inoltre una riduzione significativa della frequenza settimanale degli attacchi anginosi e del consumo di nitroglicerina al bisogno.

In uno studio controllato con placebo condotto su 6560 pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST, l’aggiunta di ranolazina al trattamento standard non si è dimostrata efficace nel ridurre l’endpoint primario di morte cardiovascolare, infarto miocardico o ischemia ricorrente56. Tuttavia, nel sottogruppo relativamente ampio di pazienti con angina cronica (n = 3565) sono state osservate riduzioni significative di ischemia ricorrente, peggioramento dell’angina e intensificazione della terapia antianginosa57.

Nello studio RIVER-PCI, che ha studiato 2651 pazienti con anamnesi di angina cronica e rivascolarizzazione incompleta dopo angioplastica coronarica, la ranolazina non ha ridotto l’incidenza dell’endpoint composito di rivascolarizzazione guidata dall’ischemia o ospedalizzazione senza rivascolarizzazione né ha ridotto l’incidenza del sintomo “angina” a 1 anno58.

In definitiva, l’uso della ranolazina per il controllo dei sintomi nella SCC andrebbe considerato in associazione ai betabloccanti nei pazienti con angina, oppure come prima scelta nei pazienti con controindicazioni all’uso dei betabloccanti. La ranolazina possiede inoltre particolari evidenze cliniche di efficacia anti-ischemica ed antianginosa nei pazienti diabetici ed in quelli con angina microvascolare.

Tuttavia, secondo le ultime linee guida ESC i risultati a disposizione supportano l’uso della ranolazina come farmaco di seconda linea nei pazienti con SCC e angina refrattaria nonostante gli agenti antianginosi comunemente usati come i calcioantagonisti e/o nitrati a lunga durata d’azione difettino di chiare e recenti evidenze scientifiche1.

Ivabradina

È stato riportato che l’ivabradina non è inferiore all’atenololo o all’amlodipina nel trattamento dell’angina e dell’ischemia nei pazienti con SCC. L’aggiunta di ivabradina 7.5 mg bid alla terapia con atenololo ha infatti fornito un migliore controllo della frequenza cardiaca e dei sintomi anginosi59. Tuttavia, nello studio BEAUTIFUL, condotto su 10 917 pazienti con malattia coronarica e frazione di eiezione ventricolare sinistra <40%, il trattamento con ivabradina non aveva influenzato l’endpoint primario composito di morte cardiovascolare, ospedalizzazione per infarto o scompenso cardiaco, anche se vi era un beneficio sugli endpoint secondari (ricovero per infarto fatale e non fatale e rivascolarizzazione miocardica)60. Inoltre, nello studio SIGNIFY, condotto su 19 102 pazienti con cardiopatia ischemica stabile senza scompenso cardiaco, con frazione di eiezione >40% e frequenza cardiaca >70 b/min in ritmo sinusale, l’aggiunta di ivabradina non determinava una riduzione significativa dell’endpoint composito di morte cardiovascolare e infarto miocardico ad un follow-up di 27.8 mesi61. Nel 2014, la European Medicines Agency (EMA) ha emesso raccomandazioni per ridurre il rischio di bradicardia e ha posto l’ivabradina sotto monitoraggio aggiuntivo62.

Complessivamente, questi risultati hanno indotto le linee guida ESC a raccomandare l’uso dell’ivabradina come farmaco di seconda linea nei pazienti con SCC1.

Trimetazidina

La trimetazidina a differenza di betabloccanti, calcioantagonisti e nitrati, non ha alcun impatto sui parametri emodinamici63. Una metanalisi del 2014 di 13 studi, prevalentemente cinesi, comprendenti 1628 pazienti ha mostrato che il trattamento con trimetazidina in aggiunta ad altri farmaci antianginosi era associato a un numero medio settimanale inferiore di attacchi di angina, minor uso di nitroglicerina, e più lunga durata dell’esercizio rispetto al trattamento con altri farmaci antianginosi64.

Questi risultati, secondo le linee guida europee, supportano l’uso della trimetazidina come farmaco di seconda linea in pazienti con SCC i cui sintomi non sono adeguatamente controllati o che sono intolleranti ad altri medicinali per l’angina pectoris64.

I DATI DEL MONDO REALE

I dati più recenti sull’impiego delle terapie anti-ischemiche nella realtà italiana derivano dallo studio START, un registro prospettico, multicentrico, che ha incluso pazienti affetti da SCC ed aveva lo scopo di descrivere le caratteristiche cliniche, le modalità di trattamento, l’aderenza alle attuali linee guida, nonché il decorso clinico ad 1 anno di questa eterogenea popolazione di pazienti. A questo studio hanno aderito 183 cardiologie italiane ben distribuite su tutto il territorio nazionale che hanno incluso nell’arco di 3 mesi 5070 pazienti consecutivi dimessi da un ricovero ordinario o visitati in regime di day hospital oppure gestiti a livello ambulatoriale8. Tra i pazienti inclusi nello studio, il 20% era di sesso femminile, il 25% presentava un’età ≥75 anni, il 68% una storia di infarto ed il 72% una pregressa rivascolarizzazione miocardica, il 31% era diabetico ed il 75% dislipidemico. Considerando gli esami strumentali eseguiti negli ultimi 6 mesi precedenti l’arruolamento, un ecocardiogramma transtoracico era stato eseguito nel 66% dei pazienti, mentre una coronarografia nel 45% dei casi. Di contro, i test per la valutazione dell’ischemia miocardica, fortemente raccomandati dalle attuali linee guida, sono stati eseguiti in meno del 10% dei pazienti. Per quanto concerne le terapie farmacologiche raccomandate, i betabloccanti sono stati utilizzati nel 77% dei casi, gli ACE-inibitori nel 53%, i sartani nel 25%, i calcioantagonisti nel 20%, le statine nel 93%, i nitrati nell’11%, l’ivabradina nel 7% e la ranolazina nel 12%65,66. Un’analisi del registro ha valutato l’impiego delle terapie farmacologiche tra i 3714 (73.2%) pazienti senza angina all’arruolamento e i 1356 (26.8%) con angina66. Quest’ultimo gruppo di pazienti ha ricevuto più frequentemente rispetto a quelli senza angina differenti combinazioni di terapie di prima linea e antianginose (Figura 1).




In particolare, statine, diuretici, omega-3, antagonisti dei recettori dei mineralcorticoidi ed anticoagulanti orali erano più frequentemente prescritti nei pazienti asintomatici mentre antiaggreganti ed antianginosi erano maggiormente prescritti in caso di angina. In generale, i pazienti con angina ricevevano meno spesso una terapia medica ottimale, come definita dalle linee guida (aspirina o tienopiridine, betabloccanti e statina) rispetto agli asintomatici dell’intera coorte di studio (67.0% vs 70.1%, p=0.03), e una terapia medica ottimale (aspirina o tienopiridine, betabloccanti, statina e ACE-inibitori o sartani) nei pazienti eleggibili (54.4% vs 58.5%, p=0.02)66.

DISCUSSIONE

Le ultime linee guida ESC del 20191, oltre a ridefinire la cardiopatia ischemica cronica come SCC e ad evidenziare i fenotipi clinici che la caratterizzano, hanno puntualizzato il ruolo della terapia medica ottimale, definita come una terapia in grado di prevenire gli eventi e controllare i sintomi. Sulla prevenzione degli eventi, abbiamo assistito in questi ultimi anni alla presentazione di nuovi farmaci, basti pensare al corredo farmacologico a nostra disposizione per ridurre il colesterolo LDL68-70 e alla definizione di nuove strategie per ridurre il burden trombotico71.

Più controversa è la definizione di quali farmaci utilizzare e con quali priorità nel trattamento dei sintomi anginosi. Le precedenti linee guida avevano proposto una flow-chart in cui venivano posti in prima linea betabloccanti e calcioantagonisti e solo successivamente nitrati, ranolazina ed ivabradina. A supporto di questa indicazione venivano presentati dati derivanti da studi datati e basati su casistiche non solo limitate, ma caratterizzate da pazienti con profilo clinico ed interventi terapeutici molto differenti dagli attuali. In particolare, a supporto dell’indicazione dei calcioantagonisti, veniva indicata una voce bibliografica relativa ad uno studio di oltre 25 anni fa, basato su una casistica di 100 pazienti, in cui la diagnosi di ischemia veniva fatta attraverso la registrazione dinamica Holter dell’ECG delle 24 h.

Nel documento ANMCO del 2016 si era proposto uno schema diverso, che sulla base di evidenze di benefici in termini di controllo dei sintomi, innalzamento della soglia ischemica, e di minori effetti collaterali ed interferenze con altri farmaci, proponeva la ranolazina e, in caso di bassa frazione di eiezione e di ritmo sinusale, l’ivabradina, come farmaci di prima scelta in caso di intolleranza ai betabloccanti o di mancato controllo dei sintomi nei pazienti già in terapia con betabloccanti5.

A conferma di questa diversa impostazione, Balla et al.6 sottolineavano come le indicazioni delle linee guida riflettessero più un parere di singoli che non il frutto di chiare evidenze scientifiche, laddove farmaci più recenti quali ranolazina ed ivabradina, pur non avendo dimostrato riduzione di eventi, avevano maggiori evidenze di efficacia nel controllo dei sintomi e nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti. Veniva proposto, pertanto, un approccio a diamante che lasciasse libertà al cardiologo di personalizzare la terapia in base alla tipologia del paziente.

Nel 2019 la pubblicazione delle nuove linee guida ESC ha di fatto riportato quasi integralmente la vecchia impostazione, dando anzi maggior risalto all’impiego dei nitroderivati, anch’essi supportati da studi di oltre 20 anni prima, condotti in epoca pre-angioplastica, basati su casistiche limitate. Ribadivano, inoltre, l’indicazione dei calcioantagonisti come farmaci di prima scelta insieme ai betabloccanti, in caso di mancato controllo dei sintomi, o da soli in caso di intolleranza al loro utilizzo.

In questo nostro documento, dopo un’attenta rivalutazione delle evidenze scientifiche, considerando anche i dati provenienti dal mondo reale, proponiamo una flow-chart che, in base alle caratteristiche cliniche del paziente, identifica la terapia per la quale vi sono più evidenze scientifiche a supporto, nella direzione dell’auspicata “medicina di precisione” (Figura 2).




RIASSUNTO

Nell’ultimo decennio la terapia farmacologica per la prevenzione primaria e secondaria delle sindromi coronariche croniche si è arricchita di nuovi agenti dimostratisi efficaci nel ridurre il rischio di eventi avversi. Le evidenze tuttora disponibili relativamente ai trattamenti mirati al controllo dei sintomi anginosi sono invece meno forti. L’obiettivo del presente position paper dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) è quello di riportare in maniera sintetica le evidenze a supporto dell’utilizzo degli agenti terapeutici comunemente usati come terapia anti­ischemica nella sindrome coronarica cronica. In aggiunta, viene proposto un algoritmo terapeutico per la scelta del farmaco più appropriato a seconda delle specifiche caratteristiche cliniche del singolo paziente.

Parole chiave. Angina; Ischemia; Sindrome coronarica cronica; Terapia farmacologica.

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