In questo numero

editoriale





Linee guida di andrologia di interesse anche per il cardiologo

La Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (SIAMS) insieme ad altre 10 società scientifiche tra le quali l’ANMCO ha recentemente pubblicato linee guida multidisciplinari aggiornate sulla diagnosi e la gestione della disfunzione erettile. In un editoriale a cura di Adriano Murrone et al. vengono riassunti gli aspetti di interesse cardiologico di questa patologia. Dal momento che la disfunzione erettile condivide gli stessi fattori di rischio della malattia cardiovascolare, la disfunzione erettile risulta frequentemente associata a malattia aterosclerotica subclinica. Ne deriva la necessità di stratificare il rischio cardiovascolare in tutti i soggetti con disfunzione erettile. Il cardiologo dovrebbe essere inoltre consultato per l’uso concomitante dei farmaci cardiovascolari nei pazienti con disfunzione erettile candidati a trattamento con farmaci inibitori della fosfodiesterasi 5. La diagnosi di disfunzione erettile, anche in fase iniziale, dovrebbe essere colta come opportunità per l’identificazione e il trattamento aggressivo dei fattori di rischio cardiovascolare, con l’obiettivo di prevenire gli eventi cardiovascolari ma anche di migliorare la stessa funzione erettile.

questioni aperte





L’alfabetizzazione statistica

Il medico che non sia né statistico né scienziato si trova a dover interpretare molti risultati della letteratura medica che presuppongono una conoscenza quantomeno minima dei principali fondamenti della statistica. Il punto è che poi questo medico deve in qualche modo rispondere anche al suo paziente, che spesso gli pone domande sulla propria salute e sulla probabilità di risposta a un dato trattamento, domande che di fatto presuppongono la conoscenza di molti elementi di base di statistica medica. Franco Cosmi ha giustamente definito questi aspetti come “alfabetizzazione statistica”. Pur senza entrare in dettagli che richiederebbero un trattato, l’autore prova ad affrontare con linguaggio chiaro alcuni aspetti principali come la riduzione assoluta e relativa del rischio, il numero di pazienti da trattare per prevedere un beneficio oppure un evento avverso, il tempo medio che la terapia permette di raggiungere in vita o in buona salute, ed infine il concetto di rischio residuo. •

pdta in cardiologia





Piccoli cuori crescono…

Il numero di pazienti portatori di cardiopatia congenita operata e non che passano all’età adulta è in progressivo aumento. Le aritmie sono molto frequenti in questa categoria di pazienti ed è stimato che oltre il 50% dei pazienti con cardiopatie congenite complesse svilupperà aritmie atriali prima dei 65 anni di età e rappresentano la prima causa di ospedalizzazione. Sempre più pazienti adulti con cardiopatia congenita giungono con aritmie acute ai dipartimenti di emergenza-urgenza ed agli ambulatori cardiologici. In questo numero del Giornale Silvia Favilli et al. ci presentano un documento molto pratico su come approcciare le aritmie in questa categoria di pazienti. Dopo una descrizione ed una classificazione delle cardiopatie congenite operate e non, vengono messe in correlazione le possibili aritmie che possono insorgere nelle varie cardiopatie e viene presentato un sintetico ed efficace “vademecum” su cosa fare, cosa non fare e a cosa fare particolare attenzione in caso si fosse chiamati a gestire un paziente adulto con cardiopatia congenita con aritmia. Si viene condotti dal work-up diagnostico al trattamento in urgenza ricordando la peculiarità della cardiopatia e viene tracciata la gestione del follow-up dopo l’evento aritmico acuto. Dal momento che non sono disponibili studi randomizzati controllati che ci possano guidare nell’impostazione terapeutica generalizzata dei farmaci e delle procedure non farmacologiche normalmente utilizzate nella popolazione generale con aritmia, la lettura diviene particolarmente affascinante per le indicazioni che suggerisce alle valutazioni ed ai percorsi diagnostici e terapeutici. •

rassegne





Ritmo e cardiopatie congenite: istruzioni per l’uso

In questa rassegna Elisabetta Mariucci et al. prendono in considerazione le alterazioni del ritmo nel paziente affetto da cardiopatia congenita. Viene descritto in modo sintetico ma efficace l’inquadramento della problematica considerando l’età, la complessità e lo status funzionale e gli eventuali interventi cardiochirurgici cui è stato eventualmente sottoposto il paziente. Il lettore viene guidato attraverso il riconoscimento e il trattamento delle tachiaritmie sopraventricolari e ventricolari e una bella tabella riassume le raccomandazioni all’ablazione e all’impianto di defibrillatore in questa categoria di pazienti che sta diventando sempre più numerosa. La rassegna, oltre ad essere molto chiara e sintetica per il cardiologo clinico che dovesse approcciare un paziente con cardiopatia congenita affetto da tachiaritmia, fa emergere in modo impellente la necessità di organizzare percorsi per indirizzare questi pazienti a centri di riferimento riconosciuti, meglio se all’interno di una rete formalizzata dalla governance regionale. •





A proposito di riflessi vasovagali

La sincope neuromediata generalmente chiamata vasovagale può interessare sia i giovani, prevalentemente di sesso femminile, che gli anziani. A fronte di una condizione ritenuta sostanzialmente benigna, in questa rassegna Paolo Alboni e Manuela Perego mettono in luce un possibile differente significato prognostico. Nel giovane la sincope vasovagale non è espressione di un processo patologico, ma di un meccanismo di difesa prevalentemente situazionale-emozionale. Interessanti e curiose sono in proposito alcune teorie quali “Clotting theory”, “Conflict theory”, “Brain defense theory” e “Heart defense theory”, che si rifanno anche a comportamenti del mondo animale. Nell’anziano invece la sincope neuromediata può derivare da una compromissione del sistema autonomico come accade nell’ipersensibilità del seno carotideo e nell’ipotensione ortostatica, post-prandiale o post-minzionale. La compromissione del sistema autonomico si associa ad un aumentato rischio di mortalità, di eventi cardiovascolari e cerebrovascolari e di declino cognitivo. Pertanto il significato prognostico della sincope vasovagale nell’anziano andrebbe indagato separatamente. •





Disfunzione erettile: quale ruolo per il cardiologo?

La rassegna di Danilo Baccino et al., che segue temporalmente la pubblicazione delle linee guida multidisciplinari sulla disfunzione erettile presentate in questo stesso numero del Giornale, fornisce un utile contributo alla definizione del ruolo del cardiologo nella gestione della disfunzione erettile. La prevalenza di disfunzione erettile è stimata intorno al 50% nei pazienti con cardiopatia ischemica, mentre nei soggetti senza malattia cardiovascolare può essere considerata una “red flag” di malattia vascolare silente. Il link tra aterosclerosi e disfunzione erettile è costituito dalla condivisione degli stessi fattori di rischio vascolare e probabilmente dalla deficienza di testosterone. Gli stress test per la ricerca di ischemia non sono raccomandati nello screening dei pazienti con disfunzione erettile senza sintomi cardiologici. È invece raccomandata la valutazione del rischio cardiovascolare con gli strumenti SCORE2 e SCORE2-OP. Una più approfondita valutazione diagnostica mediante il calcium score coronarico potrebbe essere proponibile nei soggetti a rischio intermedio, sebbene le evidenze siano ancora incerte. Una valutazione cardiologica è pertanto appropriata in tutti i soggetti con disfunzione erettile. •





Qual è il rischio cardiovascolare di un trapianto renale?

I pazienti affetti da insufficienza renale cronica in attesa di trapianto renale hanno un rischio cardiovascolare elevato e abitualmente vengono sottoposti a screening non invasivo prima dell’intervento. Numerose linee guida internazionali danno indicazioni su quali pazienti e come effettuare lo screening, ma vi sono alcune discrepanze sulla selezione degli esami di secondo livello. Carlo Ratti et al. passano in rassegna le metodiche diagnostiche non invasive più utilizzate elencando i vantaggi/svantaggi di una valutazione funzionale o di quella anatomica e aggiungendo utili consigli per l’uso ottimale di entrambe. •





Non solo farmaci per la terapia dello scompenso cardiaco

Dopo anni di stallo, la terapia dello scompenso cardiaco è stata recentemente rivoluzionata dall’introduzione in commercio di farmaci capaci di ridurre la mortalità come sacubitril/valsartan o le gliflozine. Questi farmaci hanno indubbiamente permesso di migliorare la gestione dei pazienti con scompenso cardiaco e soprattutto le gliflozine hanno finalmente aperto un orizzonte farmacologico per lo scompenso a frazione di eiezione conservata. Ma i dati “real world” continuano a sottolineare come non sia sufficiente. Il miglioramento di trattamento dell’infarto miocardico acuto si è tradotto in un incremento esponenziale dello scompenso cardiaco, della sua incidenza e prevalenza. Quindi si è costantemente alla ricerca di nuove soluzioni. In questo numero del Giornale, Alberto Guarnaccia et al. illustrano un approccio meno noto e innovativo: la terapia di modulazione della contrattilità cardiaca. Gli autori partono dalle basi fisiopatologiche per poi discutere nei dettagli gli studi che ne hanno indagato efficacia e sicurezza. Sebbene sia una terapia ancora riservata a casi selezionati, è importante essere pronti a quelle che potrebbero essere future importanti evoluzioni. •





Attenzione al pesce che non è fresco…

Nonostante l’aterosclerosi coronarica rappresenti l’eziologia più frequente di eventi ischemici cardiaci, è buona norma essere a conoscenza di altre cause, indubbiamente rare, che possono comunque associarsi ad una transitoria o prolungata ischemia miocardica, come complicanza di manifestazioni o sindromi sistemiche. È il caso ad esempio della sindrome sgombroide, provocata da una tossinfezione alimentare da ingestione di pesce, più comunemente tonno, sgombro o delfino, mal refrigerato dopo la pesca. Giuseppe Ferrazzo et al. analizzano dettagliatamente la letteratura sull’argomento, sottolineando la possibilità che tale condizione, tossica ma non allergica, possa associarsi in alcuni casi ad una sintomatologia clinica con alterazioni strumentali suggestive di una sindrome coronarica acuta, ipotizzandone la causa nella produzione eccesiva di istamina che in tali occasioni, a differenza di altre patologie anch’esse non strettamente legate ad aterosclerosi coronarica, scatena un diffuso vasospasmo arteriolare precapillare, causa di ischemia coronarica. •

caso clinico





Alleanza tra cardiologi e gastroenterologi per un appropriato approccio diagnostico-terapeutico nella sindrome di Heyde

Per la prima volta descritta in letteratura nel 1958, la sindrome di Heyde è caratterizzata dalla coesistenza di sanguinamento gastrointestinale, dovuto ad angiodisplasie e stenosi valvolare aortica. Lorenzo Fini et al. riportano il caso di una donna con nota stenosi valvolare aortica che si ricovera per infarto del miocardio e sviluppa un sanguinamento gastrointestinale durante il ricovero. Gli accertamenti diagnostici cui viene sottoposta la paziente fanno avanzare il sospetto di angiodisplasia ileale e quindi di sindrome di Heyde. Il caso clinico è seguito da una breve discussione che analizza i potenziali meccanismi fisiopatologici alla base della coesistenza delle due condizioni e riporta le conoscenze attualmente disponibili su questa rara sindrome clinica. Viene sottolineata la necessità di un approccio delle due condizioni, stenosi aortica e sanguinamento gastrointestinale, in un contesto di team multidisciplinare, mirato a individuare le fonti di sanguinamento, minimizzare il rischio di recidive e trattare in maniera appropriata la valvulopatia aortica. •

position paper





La colchicina nelle sindromi coronariche: perché e come usarla

Nonostante la disponibilità di approcci terapeutici in grado di gestire in maniera ottimale i tradizionali fattori di rischio cardiovascolare, quali ipercolesterolemia, ipertensione e diabete, in alcuni pazienti la loro implementazione non è sufficiente ad evitare l’occorrenza di eventi cardiovascolari maggiori, che sono quindi attribuiti alla presenza di un rischio cardiovascolare definito “residuo”. Tra i meccanismi fisiopatologici che possono giustificare questo rischio residuo vi è l’infiammazione e la colchicina rappresenta un possibile approccio per il trattamento dell’infiammazione come fattore di rischio cardiovascolare. Sulla base di queste premesse Stefania Angela Di Fusco et al. nel position paper ANMCO analizzano le evidenze provenienti da studi preclinici e clinici in merito al possibile ruolo della colchicina nel trattamento delle sindromi coronariche sia acute che croniche. Il documento descrive le potenziali indicazioni di impiego, facendo riferimento alle linee guida della Società Europea di Cardiologia sulla prevenzione e con uno sguardo alle precauzioni da avere nella pratica clinica. Infine, si fa riferimento ai principali studi clinici attualmente in corso o auspicabili per meglio definire il ruolo del trattamento con colchicina nella malattia aterosclerotica.

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Risonanza magnetica cardiaca nella gestione della cardiomiopatia ad eziologia ischemica

Partendo dal sospetto clinico e dall’ECG, vengono utilizzate in modo sequenziale diverse metodiche di imaging cardiovascolare, evidenziando per ciascuna di esse i pro, i contro e il valore aggiunto nello specifico caso clinico, fino a giungere alla diagnosi corretta e al trattamento più appropriato. •