Come superare le barriere all’implementazione delle strategie di prevenzione e cura della malattia cardiovascolare aterosclerotica mediante terapia ipolipemizzante

Marcello Arca1, Maurizio Averna2, Claudio Borghi3, Maddalena Lettino4, Pasquale Perrone Filardi5, Antonia Alberti6, Claudio Bilato7, Paolo Calabrò8, Francesca Carubbi9, Marco Matteo Ciccone10, Francesco Cipollone11, Nadia Citroni12, Leonardo De Luca13, Andrea Giaccari14, Gabriella Iannuzzo15, Alessandro Maloberti16, Rossella Marcucci17, Pasquale Pignatelli Spinazzola18, Matteo Pirro19, Livia Pisciotta20, Filippo Sarullo21, Angela Sciacqua22, Patrizia Suppressa23, Ferdinando Varbella24, José Pablo Werba25, Alberto Zambon26

1Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione, Sapienza Università di Roma, Roma

2Dipartimento di Promozione della Salute, Cura della Madre e del Bambino, Medicina Interna e Specialità Mediche, Università degli Studi di Palermo e Istituto di Biofisica, Centro Nazionale Ricerche (CNR), Palermo

3Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Dipartimento di Medicina Cardio-Toracica, Policlinico S. Orsola Malpighi, Università degli Studi, Bologna

4Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori, Monza

5Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli 6SSD Diagnosi e Cure Territoriali Malattie Cardiache e Centro Clinico Dislipidemie Grossi Paoletti, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

7U.O.C. Cardiologia, Ospedali dell’Ovest Vicentino, Arzignano (VI)

8Cardiologia Clinica, A.O.R.N. Sant’Anna e San Sebastiano, Caserta, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli

9U.O. Medicina Metabolica, Ospedale Baggiovara, AOU Modena, Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Modena

10U.O. Cardiologia, Policlinico Universitario, Bari

11Clinica Medica, Policlinico SS. Annunziata, Chieti

12Centro Dislipidemie e Aterosclerosi, Ospedale di Trento, APSS, Trento

13U.O.C. Cardiologia, Dipartimento di Science Cardio-Toraco-Vascolari, Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, Roma

14Dipartimento di Medicina e Chirurgia Traslazionale, Università Cattolica del Sacro Cuore e Centro per le Malattie Endocrine e Metaboliche, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Roma

15Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli

16S.C. Cardiologia 4, Centro Cardiologico “A. De Gasperis”, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Milano-Bicocca, Milano

17Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi, Firenze

18I Clinica Medica, Medicina Interna Covid e Centro Trombosi, Dipartimento di Scienze Cliniche, Internistiche, Anestesiologiche e Cardiovascolari, Sapienza Università di Roma, Roma

19Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi, Perugia

20Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Genova, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova

21U.O. Cardiologia Riabilitativa, Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli, Palermo

22U.O.C. Geriatria, AOU Mater Domini, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro

23Medicina Interna “C. Frugoni” e Centro Sovraziendale Malattie Rare, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Bari

24Dipartimento Medico, ASLTO3, S.C. Cardiologia, Rivoli (TO), Azienda Ospedaliera Universitaria San Luigi, Orbassano (TO)

25Unità Prevenzione dell’Aterosclerosi, Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Milano

26Dipartimento di Medicina - DIMED, Università degli Studi, Padova

Atherosclerotic cardiovascular diseases remain the main cause of mortality worldwide, due to a poor control of modifiable risk factors for atherosclerosis. High levels of low-density lipoprotein cholesterol represent the most relevant actor in the development of atherosclerotic cardiovascular diseases, as well as the main target of prevention strategies. Although lipid-lowering treatments were shown to be effective for cardiovascular prevention, several barriers (e.g. clinician reluctance to prescribe an intensive treatment, poor adherence of patients to therapy, high pharmacotherapy burden of high-risk patients and the fear for adverse events potentially associated with statins) still prevent therapy optimization. Such issues will be addressed in this review article, taking into account possible strategies for their solution, through an integrated approach including both management interventions and a larger use of the available pharmacologic options.

Key words. Adherence; Atherosclerotic cardiovascular disease; Ezetimibe; Inclisiran; LDL-cholesterol; Lipid-lowering therapy; PCSK9 inhibitors; Persistence; Statins.

INTRODUZIONE

La malattia cardiovascolare aterosclerotica (ASCVD) rappresenta la principale causa di mortalità e morbilità in tutto il mondo, rendendo conto del 30% dei decessi a livello globale1. È ormai appurato che il colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (C-LDL) rappresenta il principale fattore di innesco del complesso processo patogenetico che porta alla formazione della placca aterosclerotica2. Numerosi studi clinici randomizzati hanno dimostrato il ruolo preminente degli elevati livelli di C-LDL tra gli altri fattori di rischio per ASCVD3,4, stimolando la ricerca di trattamenti ipolipemizzanti sempre più efficaci. La riduzione dei livelli di C-LDL si associa infatti a una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari (CV), in misura proporzionale sia all’entità della riduzione, sia alla durata del trattamento5. Alla luce di ciò, le nuove linee guida ESC/EAS del 2019 per la gestione delle dislipidemie hanno ridotto ulteriormente i target terapeutici per ciascuna classe di rischio, richiedendo l’implementazione di strategie di trattamento sempre più aggressive6. Molti recenti trial clinici hanno dimostrato che l’aggiunta di ezetimibe o di farmaci inibitori della proproteina convertasi subtilisina/kexina tipo 9 (PCSK9) alla terapia con statine assicura una riduzione ulteriore del rischio di ASCVD, in misura proporzionale alla riduzione assoluta dei livelli di C-LDL: più bassi sono i livelli di C-LDL raggiunti, minore è il rischio di futuri eventi CV, senza un limite inferiore di C-LDL6. Nonostante tali evidenze, l’impiego delle terapie di combinazione per la gestione della dislipidemia rimane scarso, così come l’introduzione delle nuove opzioni farmacologiche basate sull’inibizione della PCSK9, con conseguente inadeguato controllo dei livelli di C-LDL7. Al controllo inadeguato della dislipidemia contribuiscono anche la bassa aderenza e la scarsa persistenza dei pazienti al trattamento, ascrivibile a diversi fattori8, non ultimo il carico polifarmacologico, importante soprattutto nei pazienti ad elevato rischio, che presentano in genere comorbilità multiple9. A livello organizzativo, la gestione del paziente con dislipidemia è spesso resa difficoltosa dalla scarsa sinergia tra strutture ospedaliere e territoriali, che impedisce quella continuità di cura che dovrebbe essere garantita soprattutto in presenza di un rischio CV elevato. Una gestione efficace della dislipidemia come principale fattore di rischio della ASCVD richiede quindi l’implementazione di nuove strategie non solo terapeutiche, ma anche organizzative e gestionali, in grado di superare le barriere all’implementazione delle misure di prevenzione raccomandate dalle attuali linee guida. Queste problematiche sono state oggetto di approfondimento nel corso di un confronto collegiale tra esperti nella gestione delle iperlipidemie, volto a identificare i principali “unmet needs” e proporre possibili strategie di miglioramento, che vengono di seguito discusse.

EPIDEMIOLOGIA DELLA MALATTIA CARDIOVASCOLARE ATEROSCLEROTICA

La ASCVD è la principale causa di morte a livello globale: in Europa si associa a oltre 4 milioni di decessi all’anno10, e si stima che entro il 2030 sarà responsabile di oltre 20 milioni di decessi all’anno a livello globale11. Un profilo lipidico aterogeno rappresenta uno dei più importanti fattori di rischio della ASCVD2 e rende conto del 17% del rischio CV complessivo della popolazione generale12. La maggior parte del rischio CV derivante dall’assetto lipidico è attribuibile al colesterolo associato alle LDL contenenti apolipoproteina B (apoB)2: queste lipoproteine comprendono le lipoproteine ricche in trigliceridi e i loro “remnant” (definiti come lipoproteine di densità intermedia) e la lipoproteina(a)13.

Circa un terzo della popolazione occidentale presenta dislipidemia, definita come un incremento dei livelli di C-LDL14. In Italia, secondo i risultati di una survey condotta tra il 2008 e il 2012 su quasi 8000 soggetti adulti di età compresa tra 35 e 74 anni (oltre a 800 soggetti di età compresa tra 75 e 79 anni e 400 di età compresa tra 25 e 35 anni), la prevalenza dell’ipercolesterolemia (definita da livelli ≥240 mg/dl in assenza di terapia) è risultata pari al 34% negli uomini e al 36% nelle donne, con un aumento del 39% per gli uomini e del 33% per le donne rispetto ai risultati relativi al periodo 1998-200215. Numerosi studi epidemiologici, studi di randomizzazione mendeliana e trial randomizzati controllati hanno dimostrato in maniera consistente una relazione lineare tra le variazioni assolute dei livelli plasmatici di C-LDL e il rischio di ASCVD, confermando il ruolo dei livelli di C-LDL nel determinare il rischio di ASCVD16-18. Analogamente, numerose evidenze supportano il ruolo della riduzione dei livelli di C-LDL nel ridurre il rischio di ASCVD, in misura proporzionale alla riduzione del C-LDL5,10.

Nonostante ciò, le strategie di controllo della dislipidemia sono lontane dall’aver raggiunto l’obiettivo: in base ai risultati dell’EUROASPIRE V, sebbene l’80% dei pazienti esaminati fossero in terapia ipolipemizzante (con approccio intensivo nel 50% dei casi), i valori di C-LDL risultavano entro i range raccomandati solo nel 32% dei casi, sottolineando la necessità di un approccio più aggressivo al trattamento delle dislipidemie19.

PATOGENESI DELLA MALATTIA CARDIOVASCOLARE ATEROSCLEROTICA

L’evento iniziale del processo aterogenico è la ritenzione subendoteliale delle lipoproteine contenenti apoB; le risposte biologiche a tale evento (comprendenti una risposta infiammatoria cronica sostenuta da macrofagi e cellule T) promuovono lo sviluppo della lesione aterosclerotica e la sua progressione11,20. Sebbene l’aterogenicità delle lipoproteine contenenti apoB dipenda da diversi fattori (Tabella 1)11, le strategie ipolipemizzanti attualmente in uso si basano sul principio che riducendo la concentrazione plasmatica delle lipoproteine contenenti apoB, si riduce anche la probabilità che esse penetrino e rimangano intrappolate a livello subendoteliale11.




Poiché la dimensione della placca aterosclerotica dipende sia dalla concentrazione di C-LDL e di altre lipoproteine contenenti apoB, sia dalla durata dell’esposizione, l’entità delle placche aterosclerotiche e il rischio di ASCVD ad esse associato è proporzionale all’esposizione cumulativa a tali lipoproteine21. Ciò fornisce il razionale per raccomandare uno stile di vita sano, al fine di mantenere bassi livelli di C-LDL e rallentare la progressione dell’aterosclerosi, con vantaggi in termini sia di prevenzione primaria della ASCVD, sia di prevenzione secondaria degli eventi CV ricorrenti21.

STRATEGIE TERAPEUTICHE PER IL CONTROLLO DELLA MALATTIA CARDIOVASCOLARE ATEROSCLEROTICA

Come ampiamente riportato in letteratura, la riduzione dei livelli di C-LDL determina una riduzione proporzionale del rischio di eventi legati alla ASCVD18,22,23. Tale riduzione risulta inoltre correlata ai livelli basali di C-LDL: una metanalisi di 34 trial clinici randomizzati comprendenti complessivamente 270 288 pazienti ha dimostrato che una terapia ipolipemizzante più intensiva si associa a una riduzione della mortalità complessiva e della mortalità CV progressivamente crescente all’aumentare dei livelli basali di C-LDL24. La strategia ottimale per la riduzione del rischio CV complessivo dovrebbe prevedere quindi interventi e target terapeutici specifici per ogni categoria di rischio CV e per ogni livello di C-LDL basale. Esistono diversi sistemi per la quantificazione del rischio CV complessivo: quello più recente è il sistema SCORE2, sviluppato al fine di migliorare l’identificazione dei soggetti a maggior rischio di sviluppare una malattia CV nelle diverse aree geografiche europee. Tale sistema fornisce una stima a 10 anni della probabilità di esordio di malattia CV, prendendo in considerazione gli eventi fatali e non fatali (ictus e infarto miocardico)25. A differenza del sistema SCORE2, il cui utilizzo è raccomandato dalle linee guida ESC per la prevenzione CV26, il sistema SCORE, adottato dalle attuali linee guida ESC/EAS per la gestione delle dislipidemie6, fornisce una stima della probabilità di eventi CV fatali a 10 anni in base a età, genere, valori pressori e livelli di colesterolo totale. Prendendo in considerazione il punteggio SCORE e gli altri fattori di rischio rilevanti (ASCVD nota, diabete mellito, nefropatia), le linee guida definiscono diversi livelli di rischio CV (molto alto, alto, moderato e basso), e per ciascuna categoria di rischio CV propongono una specifica strategia di intervento (basata sulla modifica dello stile di vita associata o meno a terapia farmacologica) in base ai livelli basali di C-LDL6. La strategia per la riduzione del rischio CV complessivo prevede inoltre la definizione di target terapeutici specifici per ogni livello di rischio CV (Figura 1, Tabella 2)6.







Sebbene infatti la riduzione dei livelli di C-LDL raggiungibile con la terapia ipolipemizzante sia molto variabile da soggetto a soggetto, richiedendo quindi un approccio personalizzato, la riduzione del rischio CV è proporzionale all’obiettivo raggiunto: in sintesi, i pazienti che raggiungono livelli di C-LDL molto bassi presentano un rischio inferiore di eventi CV maggiori rispetto a quelli che raggiungono livelli moderatamente bassi27. Diversi studi hanno rilevato che la riduzione dei livelli di C-LDL anche al di sotto dei target raccomandati dalle linee guida ESC/EAS è associata a un numero inferiore di eventi CV16,28,29. È quindi opportuno ridurre i livelli di C-LDL il più possibile, soprattutto nei pazienti a rischio CV molto elevato: infatti le attuali linee guida ESC/EAS prevedono, oltre al raggiungimento del target di C-LDL raccomandato, anche una riduzione di almeno il 50% dal valore basale (in assenza di terapie ipolipemizzanti) nei pazienti con rischio CV elevato e molto elevato (per esempio dopo un recente episodio di sindrome coronarica acuta [SCA])6.

Pertanto, la corretta gestione della dislipidemia ha come scopo il raggiungimento di livelli di C-LDL distinti in base al livello di rischio CV del paziente (Tabella 2)6,30,31. Ciò si può ottenere utilizzando diverse classi di farmaci ipolipemizzanti: un trattamento intensivo a base di statine, somministrate fino alla massima dose tollerata, è raccomandato dalle linee guida per raggiungere i valori target di C-LDL previsti per ogni livello di rischio. Nel caso in cui i goal terapeutici non siano raggiunti tramite la massima dose tollerata di statine, le linee guida raccomandano l’utilizzo della terapia di associazione, realizzata con l’aggiunta di ezetimibe6. Nei pazienti a rischio molto elevato che non raggiungono il goal terapeutico con il dosaggio massimo tollerato di statine ed ezetimibe, l’aggiunta di farmaci con un’azione specifica sulla PCSK9 può essere presa in considerazione per la prevenzione primaria, ed è raccomandata per la prevenzione secondaria6. L’aggiunta di un inibitore della PCSK9 è raccomandata anche per i pazienti a rischio molto elevato con ipercolesterolemia familiare, che non raggiungono il goal terapeutico nonostante il trattamento con la massima dose tollerata di statine associate a ezetimibe (Figura 2)6.




Il beneficio clinico atteso del trattamento ipolipemizzante può essere stimato in ogni singolo paziente e dipende dall’intensità della terapia, dai livelli basali di C-LDL e dal rischio basale stimato di ASCVD6. Le linee guida ESC/EAS 2019 forniscono a questo proposito le riduzioni assolute dei livelli di C-LDL che possono essere raggiunte con diversi approcci terapeutici: in particolare, si passa da una riduzione media stimata dei livelli di C-LDL del 30% con una terapia con statine di intensità moderata al 50% con una terapia con statine ad elevata intensità, fino al 65% con l’aggiunta di ezetimibe6. L’aggiunta di un inibitore della PCSK9 alla terapia con statine ad alta intensità da sola o associata a ezetimibe può portare la riduzione dei livelli di C-LDL rispettivamente al 75% e 85% (Tabella 3)6.




L’impiego esteso della terapia con statine ad elevata intensità raccomandato dalle attuali linee guida deriva dalla dimostrazione di un rapporto rischio/beneficio favorevole di questa classe di farmaci, già noto da tempo in prevenzione secondaria e recentemente confermato anche in prevenzione primaria32. Tuttavia, nei pazienti ad alto rischio di eventi avversi potenzialmente associati alla terapia con statine ad alta intensità, recenti evidenze suggeriscono la possibilità di ricorrere all’associazione di statine a moderata intensità ed ezetimibe, con risultati sovrapponibili in termini di efficacia e una migliore tollerabilità rispetto alla monoterapia con statine ad alta intensità (frequenza di mialgie 7% vs 22%)33.

La riduzione del rischio CV associata alla riduzione dei livelli di C-LDL è comunque indipendente dall’opzione terapeutica utilizzata, ma deriva piuttosto dall’entità della riduzione e dalla sua durata, quindi dall’esposizione cumulativa a livelli elevati di C-LDL, che a sua volta è determinata dall’aderenza del paziente al trattamento e dall’intensità del trattamento prescritto. È ormai dimostrato che una riduzione assoluta di 1 mmol/l di C-LDL garantisce una riduzione di un quinto del rischio CV e che la metà di tale beneficio si ottiene durante il primo anno di trattamento, indipendentemente dall’approccio terapeutico utilizzato4. Le linee guida ESC/EAS 2019, pur riconoscendo i benefici di un trattamento intensivo, non forniscono indicazioni sui tempi entro cui tale trattamento debba essere messo in atto34, sebbene sia stato dimostrato da vari studi che l’adozione di una terapia ipolipemizzante intensiva entro 10 giorni da un episodio di SCA riduce il rischio in misura maggiore rispetto a regimi non intensivi35,36, e che l’aggiunta di inibitori della PCSK9 alle statine ad alto dosaggio entro 2-3 mesi dall’episodio acuto è superiore rispetto all’utilizzo di un regime intensivo a base di sole statine31. Le nuove strategie di intervento si dovrebbero basare quindi non soltanto sul raggiungimento del livello più basso di C-LDL, ma anche sulla precocità del trattamento, soprattutto in presenza di specifiche condizioni e fenotipi clinici34. In particolare, nei pazienti a rischio molto elevato, potrebbe essere vantaggioso iniziare la terapia ipolipemizzante direttamente con la combinazione statine + ezetimibe, così come nei pazienti con rischio estremamente elevato (come quelli con un evento ricorrente entro 2 anni), l’impiego della tripla terapia (statine + ezetimibe + inibitori della PCSK9) prima della dimissione potrebbe consentire di sfruttare al massimo i benefici derivanti dalla riduzione precoce dei livelli di C-LDL, che si concentrano nel primo anno di trattamento, ottimizzando l’efficacia del trattamento (Figura 3)37.




ADERENZA ALLA TERAPIA IPOLIPEMIZZANTE

Il trattamento delle dislipidemie si può definire adeguato se consente di ottenere riduzioni dei livelli della concentrazione delle lipoproteine circolanti (in particolare delle LDL) finalizzate al raggiungimento dei target terapeutici raccomandati per ogni classe di rischio CV. Nello specifico, il raggiungimento dei livelli target di C-LDL previsti per i pazienti con rischio CV elevato e molto elevato rappresenta un obiettivo raggiungibile ma sfidante.

I risultati dello studio EUROASPIRE IV relativi alla terapia ipolipemizzante nei pazienti con coronaropatia hanno dimostrato che, nonostante le evidenze dei benefici della terapia ipolipemizzante intensiva, molti pazienti con coronaropatia e dislipidemia non vengono adeguatamente trattati (solo un terzo dei pazienti viene dimesso con una terapia intensiva con statine). Il fatto che un’adeguata terapia ipolipemizzante intensiva non venga prescritta quando indicata può dipendere dal timore degli eventi avversi da parte dei clinici, che preferiscono utilizzare dosaggi bassi, così come dei pazienti, che non assumono le dosi prescritte o interrompono il trattamento7. La scarsa aderenza alla terapia ipolipemizzante a base di statine è un problema con un importante impatto clinico, in quanto è stato dimostrato che alti livelli di aderenza si associano ad una riduzione degli eventi CV, mentre al contrario bassi livelli di aderenza portano a un aumento del rischio CV38,39. È stato riportato che nei pazienti con coronaropatia, l’aderenza alla terapia con statine scende al 71% dopo 6 mesi dall’inizio del trattamento e al 45% dopo 3 anni, probabilmente a causa anche dell’elevato carico farmacologico a cui questi pazienti sono sottoposti40. Il problema della scarsa aderenza si accentua infatti in maniera evidente quando le dislipidemie coesistono con altri fattori di rischio, aumentando il numero di farmaci prescritti9. Il peso della polifarmacologia sull’aderenza terapeutica è confermato anche dalla dimostrazione che i pazienti in terapia ipolipemizzante che ricevono l’associazione statina + ezetimibe in un’unica pillola presentano una probabilità dell’87% più elevata di essere altamente aderenti al trattamento rispetto a quelli che assumono i due farmaci separatamente, indipendentemente da età, genere o profilo clinico, e con una riduzione degli outcome CV del 55% rispetto ai pazienti con bassa aderenza41.

La scarsa persistenza alla terapia ipolipemizzante è stata confermata anche dal rapporto OsMed 2021, che ha evidenziato come la persistenza al trattamento con farmaci ipolipemizzanti nei pazienti di età ≥45 anni passi dal 45.4% a 12 mesi al 39.5% a 18 mesi e al 36.4% a 24 mesi dalla prima prescrizione42.

I fattori determinanti la scarsa aderenza al trattamento sono molteplici e comprendono un atteggiamento negativo nei confronti della terapia, frustrazione per gli esiti del trattamento, una scarsa consapevolezza dei benefici del farmaco rispetto al timore degli effetti collaterali. Anche la mancanza di una linea di intervento efficace e le conseguenti numerose interruzioni e modifiche della terapia hanno un impatto negativo sull’aderenza e sulla prognosi dei pazienti8. A tale riguardo, l’aderenza terapeutica è risultata migliore nel caso in cui i farmaci vengano prescritti nella fase precoce di un evento acuto43.

Partendo dalle evidenze che sia un trattamento ipolipemizzante intensivo, sia un più alto livello di aderenza al trattamento si associano ad una maggiore protezione dagli eventi CV, uno studio recente ha valutato il contributo congiunto dell’intensità del trattamento e dell’aderenza alla terapia prescritta sugli eventi CV in pazienti con dislipidemia e fattori di rischio CV o patologie CV conclamate, confermando l’associazione di entrambi i fattori con la riduzione del rischio CV, mediata dalla riduzione dei livelli di C-LDL. Il rischio CV più basso è stato infatti osservato nei pazienti con elevata aderenza a un trattamento ipolipemizzante intensivo, mentre il rischio più elevato è stato osservato nei pazienti scarsamente aderenti a una terapia di bassa intensità, suggerendo la necessità di implementare nuove strategie che ottimizzino la riduzione dei livelli di C-LDL migliorando l’impiego della terapia intensiva e l’aderenza dei pazienti44. I risultati dello studio DA VINCI, che ha coinvolto pazienti dislipidemici in prevenzione primaria (n = 3000) e secondaria (n = 2888), hanno evidenziato un utilizzo di trattamenti di intensità moderata o alta a base di statine + ezetimibe nel 9% dei pazienti, e un utilizzo di farmaci che agiscono sulla PCSK9 limitato all’1% dei pazienti, con raggiungimento dei goal terapeutici stabiliti dalle linee guida 2019 rispettivamente nel 20% e 58% dei pazienti. Tali risultati evidenziano la necessità di incrementare l’utilizzo di trattamenti diversi dalle statine soprattutto nei pazienti a rischio più elevato45.

LE NECESSITÀ INSODDISFATTE

Allo stato attuale, i centri di riferimento per il trattamento dei pazienti dislipidemici presenti sul territorio italiano sono insufficienti a soddisfare la richiesta di cura a livello nazionale: tale carenza impedisce ai pazienti di essere adeguatamente seguiti dal Sistema Sanitario Nazionale e soprattutto di seguire un percorso definito dopo la dimissione. La stratificazione del rischio complessivo del paziente affetto da patologia CV è essenziale per definire le caratteristiche e la frequenza del follow-up e dovrebbe quindi rappresentare il punto di partenza di tale percorso. La gestione a lungo termine dei pazienti dislipidemici dovrebbe inoltre basarsi su una stretta collaborazione tra centri specialistici e medico di medicina generale (MMG): per esempio, i pazienti da sottoporre ad un controllo annuale dovrebbero essere gestititi in condivisione con i medici del territorio e non necessariamente confluire negli ambulatori specialistici. Oltre al follow-up effettuato in presenza presso gli ambulatori, è possibile ricorrere ad altre modalità di monitoraggio a distanza, come il controllo telefonico e il teleconsulto, che possono migliorare l’aderenza in modo particolare nei pazienti giovani. Un “referral” strutturato dovrebbe prevedere anche il coinvolgimento degli infermieri, che potrebbero essere impegnati nel counseling e fare da tramite nella comunicazione tra i medici ospedalieri e il MMG. È necessario inoltre modificare e uniformare la strategia comunicazionale indirizzata al paziente, al fine di aumentare la percezione del rischio associato alla dislipidemia.

Nella pratica clinica alcune barriere rendono difficile l’implementazione delle linee guida. Per esempio, secondo la Nota 13 non è possibile prescrivere sin da subito l’associazione di statine ed ezetimibe, raccomandata nei pazienti ad alto rischio, sebbene il costo dell’associazione sia attualmente inferiore a quello dei singoli farmaci in monoterapia e comporti quindi anche un vantaggio economico. Pertanto, la Nota 13 risulta obsoleta e andrebbe adeguata agli standard di cura raccomandati, anche sulla base del costo attuale delle nuove formulazioni, al fine di favorire un inizio tempestivo della terapia ipolipemizzante adeguata nei pazienti ad alto rischio CV46.

Inoltre, a fronte del numero crescente dei pazienti, il fatto che in diverse realtà italiane la prescrizione sia riservata a un numero molto limitato di centri rappresenta un’oggettiva barriera all’implementazione delle strategie terapeutiche. Anche l’attuale modalità di prescrizione degli inibitori della PCSK9 (con rinnovo ogni 6 mesi) potrebbe costituire una difficoltà organizzativa e burocratica per il centro, pur rappresentando un momento importante di follow-up del paziente.

STRATEGIE PER L’OTTIMIZZAZIONE DELLA TERAPIA IPOLIPEMIZZANTE

Sia le linee guida ESC/EAS 2019 per la gestione delle dislipidemie6, sia le linee guida ESC 2021 sulla prevenzione delle malattie CV26, suggeriscono una gestione del paziente basata su un approccio “stepwise” (passo dopo passo), basato sulla valutazione iniziale del profilo di rischio individuale, delle comorbilità e delle preferenze del paziente, sulla verifica successiva dei benefici dei trattamenti a disposizione (inclusi gli interventi di tipo non farmacologico in grado di modificare il rischio), e sulla progressiva intensificazione dell’intervento farmacologico per raggiungere il target raccomandato. Come tuttavia recentemente evidenziato da Zuin et al.47, tale strategia risulta poco applicabile alla pratica clinica reale, richiedendo un follow-up articolato e dispendioso in termini di tempi e di utilizzo delle risorse sanitarie, e rischia inoltre di ritardare il raggiungimento precoce del target, che potrebbe essere un elemento essenziale di riduzione del rischio residuo soprattutto nei pazienti ad altissimo rischio CV, come i pazienti post-SCA. È quindi auspicabile un cambio di strategia, che consenta il raggiungimento rapido dei livelli target previsti dalle linee guida soprattutto nei pazienti a rischio più elevato attraverso una duplice (statina ad alta intensità + ezetimibe) o addirittura una triplice (statina ad alta intensità + ezetimibe + inibitore della PCSK9) terapia ipolipemizzante (Figura 4)47.




Più in generale, le linee guida ESC 2021 sulla prevenzione delle malattie CV auspicano la realizzazione di un percorso gestionale integrato e sottolineano l’importanza di una buona aderenza alle indicazioni terapeutiche per ridurre la probabilità di eventi CV maggiori, proponendo nuove modalità di gestione delle visite, tramite il coinvolgimento del personale infermieristico e dei vari operatori sanitari, nonché il ricorso alla telemedicina26. A questo proposito, il gruppo ospedaliero di Newcastle della NHS Foundation Trust ha suggerito alcune modalità per identificare gli individui che presentano livelli di C-LDL particolarmente elevati e una storia familiare precoce di malattia CV, fornendo indicazioni semplici per il MMG per l’individuazione dei pazienti con sospetto clinico di ipercolesterolemia familiare, da riferire all’ospedale per la presa in carico da parte di uno specialista48. Sullo stesso tema, un gruppo di lavoro multidisciplinare composto da esperti italiani nella gestione delle dislipidemie ha ritenuto opportuno definire consensualmente alcune indicazioni pratiche che possano guidare il medico a sospettare la presenza di ipercolesterolemia familiare, elaborando alcuni semplici algoritmi che possono facilitare il clinico nella richiesta di accertamenti specifici in presenza di un sospetto diagnostico di ipercolesterolemia familiare (Figura 5)49.




Se un “referral” adeguato è essenziale per la gestione del paziente dislipidemico, ciò presuppone un buon livello di collaborazione tra strutture ospedaliere e territoriali, che in Italia purtroppo non è ottimale. Uno studio giapponese ha dimostrato come un modello di gestione del follow-up dei pazienti con un precedente evento CV basato sulla collaborazione strutturata tra MMG e specialisti consenta di ottenere una significativa riduzione degli eventi CV, dei sanguinamenti e della mortalità50. Anche il coinvolgimento del personale infermieristico può essere vantaggioso per ottimizzare la gestione a lungo termine del paziente dislipidemico: un modello basato sul coinvolgimento degli infermieri nel follow-up dei pazienti in prevenzione secondaria, comprendente attività educative sulla coronaropatia, una rivalutazione nutrizionale e un piano di attività fisica, è risultato associato a un miglioramento dell’aderenza dei pazienti al trattamento farmacologico prescritto e alle modifiche dello stile di vita raccomandate, così come a un elevato grado di soddisfazione sia dei clinici, sia dei pazienti51. Uno studio recente ha analizzato i fattori che possono ostacolare l’assunzione della terapia ipolipemizzante da parte del paziente: la mancata percezione della propria malattia, la paura di una dipendenza farmacologica a vita, le campagne di stampa sugli effetti indesiderati della terapia hanno effetto negativo, mentre hanno un impatto favorevole le iniziative in grado di rendere routinaria l’assunzione dei farmaci, associandola a “reminder” o ad altre attività della vita quotidiana52. Una rassegna delle possibili strategie disponibili per migliorare l’aderenza del paziente al trattamento ha identificato sei categorie di interventi (Tabella 4)53.




Tra questi, un maggior grado di fattibilità clinica è stato registrato per l’utilizzo di associazioni fisse per ridurre il burden farmacologico, il coinvolgimento del farmacista nella gestione dei pazienti con patologie croniche e l’utilizzo di “reminder” per l’assunzione dei farmaci, associati a un aumento dell’aderenza rispettivamente del 10%, 15% e 33%53.

In definitiva, è importante che gli operatori sanitari mettano in atto una serie di misure per aumentare la capacità del paziente di percepire l’importanza del proprio ruolo nella gestione della patologia e agire sugli aspetti psicologici che lo condizionano (patient empowerment). La consapevolezza è un aspetto particolarmente importante nelle patologie croniche asintomatiche come la dislipidemia e, quindi, l’empowerment del paziente è essenziale per garantire la continuità della terapia. È necessario che i pazienti ricevano un messaggio univoco dagli specialisti e dai MMG riguardo alla propria patologia e un’educazione adeguata in merito alla necessità di un controllo periodico dei fattori di rischio modificabili, agli stili di vita, e soprattutto all’importanza dell’aderenza alle terapie prescritte. Anche il documento sulla prevenzione delle malattie CV lungo il corso della vita, prodotto dai lavori dell’Alleanza Italiana per le Malattie Cardio-Cerebrovascolari, sottolinea l’importanza del coinvolgimento attivo del paziente in tutto ciò che riguarda il suo percorso di cura, in modo da favorire una maggiore autonomia e proattività della persona nella gestione della propria salute anche in relazione con il sistema sanitario54.

È opportuno considerare che, poiché l’efficacia della terapia ipolipemizzante si osserva a lungo termine, l’aderenza alla terapia è fondamentale e richiede un intervento di tipo multidisciplinare. Le attività educazionali dedicate ai medici del territorio sono importanti in tal senso. In aggiunta, i centri specialistici dovrebbero farsi promotori di percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali per la gestione dei pazienti, al fine di migliorare la comunicazione tra specialisti e medici del territorio, anche avvalendosi delle nuove tecnologie (ad esempio strumenti quali la telemedicina, WhatsApp, sms ed e-mail). Al fine di diminuire il rischio di inerzia terapeutica e migliorare l’aderenza del paziente al trattamento sarebbe opportuno che i MMG venissero incentivati, anche grazie all’intervento delle aziende sanitarie, all’impiego dei programmi informatici in loro dotazione, che consentono di verificare periodicamente quanti pazienti sono in trattamento e quali hanno raggiunto i livelli target di C-LDL, e identificare indirettamente coloro che sono aderenti alla terapia e coloro che non lo sono.

OPPORTUNITÀ OFFERTE DAI NUOVI FARMACI PER OTTIMIZZARE IL TRATTAMENTO DELL’IPERLIPIDEMIA

Se è universalmente accettato e condiviso che statine ed ezetimibe rappresentano la prima linea di trattamento raccomandata in ogni strategia ipolipemizzante, i farmaci attivi sulla PCSK9 sono una valida opzione per ottimizzare la gestione farmacologica e clinica dei pazienti a rischio CV elevato e molto elevato55. Le più recenti evidenze dimostrano che l’inibizione della PCSK9, in aggiunta alla terapia con statina ed ezetimibe, associata ad una sostenuta riduzione dei livelli di C-LDL, induce una significativa regressione della placca coronarica in pazienti ad elevato rischio CV56. Risulta quindi preferibile, nei pazienti a rischio CV molto alto che non raggiungono i goal terapeutici raccomandati dalle linee guida ESC/EAS 2019 con l’associazione statina + ezetimibe, l’aggiunta tempestiva di una terapia mirata alla riduzione della PCSK9. Anche nei pazienti che sono intolleranti alle statine, il primo passo del regime terapeutico dovrebbe essere sempre una terapia di combinazione, ad esempio l’associazione di ezetimibe con un farmaco in grado di inibire la PCSK96. Per i pazienti a rischio estremamente elevato, in caso di evento acuto ricorrente (ad esempio entro 2 anni), l’inizio diretto della triplice terapia (statina + ezetimibe + inibitore della PCSK9) dovrebbe essere considerato prima della dimissione dall’ospedale34,37,47, come recentemente ribadito anche dal position paper ANMCO sulla gestione dell’ipercolesterolemia nei pazienti con SCA57.

Tra gli inibitori della PCSK9, inclisiran rappresenta una nuova opzione terapeutica in grado di rispondere efficacemente a molti degli “unmet needs” esistenti. Grazie al suo particolare meccanismo d’azione (small interfering RNA), inclisiran richiede solo due somministrazioni l’anno; ciò, unitamente alla dimostrata efficacia nella riduzione dei livelli di C-LDL in pazienti ad elevato rischio CV58, potrebbe farne uno strumento importante per il miglioramento dell’aderenza, la riduzione della variabilità dei livelli di C-LDL e l’aumento del grado di consapevolezza del paziente. I fenotipi clinici che potrebbero beneficiare della terapia con inclisiran comprendono, oltre a pazienti giovani affetti da patologia genetica che richiedono un carico più basso possibile di farmaci, anche pazienti con un importante carico terapeutico, come ad esempio i pazienti con comorbilità, per i quali due somministrazioni di farmaco all’anno possono rappresentare un notevole vantaggio, in termini di miglioramento dell’aderenza e ottimizzazione dell’efficacia del trattamento.

Tra le opzioni aggiuntive che si stanno affacciando sul mercato, l’acido bempedoico, un inibitore dell’adenosintrifosfato citrato liasi (ACL) che abbassa il C-LDL mediante l’inibizione della sintesi del colesterolo nel fegato, potrebbe svolgere un ruolo in associazione con statine ed ezetimibe, in casi selezionati in base ai livelli di C-LDL raggiunti59.

CONCLUSIONI

L’ottimizzazione del trattamento ipolipemizzante nel paziente a rischio primario o secondario di disordini CV aterosclerotici richiederà in futuro un approccio integrato su più livelli di intervento. Sul versante organizzativo e gestionale, è necessario uno “shift” nei paradigmi di intervento sanitario attuali per il controllo del rischio CV aterosclerotico, con l’utilizzo di counseling telematici programmati, il coinvolgimento di nuove figure professionali (come l’infermiere di famiglia) e strutture sanitarie dedicate (quali case di comunità o ambulatori di prevenzione), secondo un modello di “welfare” e di intervento sanitario territoriale che coinvolgerà anche MMG e farmacie. Sul versante terapeutico, la disponibilità di nuove molecole che sfruttano meccanismi ipolipemizzanti differenti rispetto a quelli delle statine, che prevedono la somministrazione effettuata da un operatore sanitario e garantiscono una riduzione efficace e sostenuta nel tempo, consentirà di migliorare al contempo sia il raggiungimento dei target raccomandati di C-LDL, sia la ridotta aderenza alla polifarmacoterapia.

RIASSUNTO

A causa dello scarso controllo dei fattori di rischio modificabili per l’aterosclerosi, le patologie cardiovascolari su base aterosclerotica si mantengono al primo posto tra le cause di morte. Il ruolo cardine nella genesi della patologia cardiovascolare aterosclerotica è svolto dai livelli elevati di colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità, che costituisce anche il principale obiettivo delle strategie di prevenzione. Il trattamento ipolipemizzante si è dimostrato efficace nella prevenzione cardiovascolare, ma la scarsa propensione dei medici a prescrivere un regime intensivo, la ridotta aderenza dei pazienti alla terapia, il carico polifarmacologico tipico del paziente a rischio elevato e il timore per gli effetti avversi delle statine costituiscono ancora forti barriere all’ottimizzazione terapeutica. In questa rassegna approfondiremo tali problematiche alla luce delle nuove possibili strategie per la loro risoluzione, ipotizzando un approccio integrato che dovrebbe comprendere da una parte interventi organizzativi e gestionali, dall’altra un maggior utilizzo delle nuove opzioni farmacologiche disponibili.

Parole chiave. Aderenza; Colesterolo LDL; Ezetimibe; Inclisiran; Inibitori di PCSK9; Malattia cardiovascolare aterosclerotica; Persistenza; Statine; Terapia ipolipemizzante.

RINGRAZIAMENTI

Si ringrazia Elena Sarugeri in qualità di medical writer incaricato da Springer Healthcare.

Conflitti di interesse

Marcello Arca ha ricevuto compensi da Alfasigma, Akcea/Ionis, Amryt, Amgen, Daiichi-Sankyo, Novartis, Pfizer, Sanofi, Sobi, Viatris. Maurizio Averna ha avuto rapporti di consulenza con Akcea, Amgen, Amrith, Aurora Biofarma, Daiichi-Sankyo, Novartis, Piam, Sanofi/Genzyme, Takeda/Shire, Sandoz , Sobi. Claudio Borghi ha ricevuto compensi come relatore a convegni da Servier, Menarini Corporate, AstraZeneca, Novo Nordisk, Novartis, Alfasigma, Almarin, Boehringer Ingelheim. Maddalena Lettino ha ricevuto compensi per letture o Advisory Board da parte di BMS, Pfizer, Boehringer Ingelheim, Sanofi Aventis, Edwards Lifesciences. Pasquale Perrone Filardi ha ricevuto onorari per letture e consulenze da Novartis, Amgen, Viatris. Antonia Alberti ha ricevuto compensi da Novartis. Claudio Bilato ha ricevuto compensi per Advisory Board, letture, travel support da Amgen, Sanofi, Novartis, Daiichi, Amarin, Amryt, DOC Generici, Servier, PIAM, Neopharmed, AstraZeneca. Andrea Giaccari ha ricevuto onorari per letture e consulenze da Abbott, AstraZeneca, Boehringer Ingelheim, Eli Lilly, MSD, Novo Nordisk, Sanofi. Gabriella Iannuzzo ha ricevuto compensi per relazioni, partecipazioni a congressi, Advisor Board da Sanofi, Amyrt, Pfizer, Novartis, Lusofarmaco, Regeneron, Sobi. Rossella Marcucci ha ricevuto compensi per letture da Amgen, Sanofi, Novartis, Daiichi-Sankyo. Livia Pisciotta ha ricevuto onorari da Amgen, Sanofi, Daiichi-Sankyo, ESI, Pharmaextracta. Angela Sciacqua ha ricevuto compensi per relazioni, partecipazioni a congressi, Advisor Board da Novartis, Bruno Farmaceutici, Novo Nordisk, AstraZeneca, Mundipharma, Lilly, Boehringer Ingelheim, Bayer, Munidipharma. Ferdinando Varbella ha ricevuto compensi per advisory board e/o letture da Amgen, Amarin, Sanofi, Daiichi-Sankyo, Pfizer, Bayer, AstraZeneca. José Pablo Werba ha ricevuto compensi per letture da Sanofi, Amgen, Daiichi-Sankyo, Servier, Novartis. Alberto Zambon ha ricevuto onorari per relazioni scientifiche a congressi nazionali ed internazionali da Amgen, Amarin, Amryt, Mylan, Abbott, Servier, Alfasigma, Sanofi, Sobi, Fidia, Novartis, Daiichi-Sankyo. Gli altri autori dichiarano nessun conflitto di interessi.

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