L’ischemia miocardica in assenza di coronaropatia ostruttiva: stato dell’arte

Giulia Ghizzoni1,2, Luigi Di Serafino3, Giulia Botti1,2, Domenico Galante4,5, Domenico D’Amario6, Stefano Benenati7,8, Filippo Luca Gurgoglione9, Renzo Laborante10, Graziella Pompei11, Italo Porto7,12, Gianluca Calogero Campo11, Giampaolo Niccoli9, Giovanni Esposito3, Antonio Maria Leone4,5, Alaide Chieffo1,2

1Università Vita-Salute San Raffaele, Milano

2IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano

3Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi “Federico II”, Napoli

4Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina-Gemelli Isola, Roma

5Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma

6Dipartimento di Cardiologia Traslazionale, Università del Piemonte Orientale, Novara

7Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi, Genova

8Oxford Heart Centre, Oxford University Hospitals, NHS Trust, Oxford, UK

9Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Parma

10Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Polmonari, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

11U.O. Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, Cona (FE)

12U.O. Cardiologia, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare (DICATOV), Ospedale Policlinico San Martino IRCCS – IRCCS Cardiovascular Network, Genova

Chest pain affects more than 100 million people globally, however up to 70% of patients undergoing invasive angiography do not have obstructive coronary artery disease and ischemia with non-obstructive coronary artery disease (INOCA) is often a cause of the clinical picture. The symptoms reported by INOCA patients are very heterogeneous and often misdiagnosed as non-cardiac leading to under-diagnosis/investigation and under-treatment. The underlying pathophysiological mechanisms of INOCA are multiple and include coronary vasospasm and microvascular dysfunction. Most importantly, this condition must not be considered benign: compared to asymptomatic individuals, INOCA patients present an increased incidence of cardiovascular events, rehospitalizations, as well as impaired quality of life, with increasing costs for healthcare systems. The aims of this review are to describe the pathophysiological and clinical characteristics of INOCA and to provide guidance to the medical community on the diagnostic approaches and management of INOCA, also via a series of clinical case reports.

Key words. Acetylcholine; Coronary artery disease; Coronary flow reserve; Coronary microvascular dysfunction; Coronary physiology; Index of microvascular resistance; INOCA; Invasive functional test; Vasospastic angina.

INTRODUZIONE

Negli ultimi anni è emersa l’esigenza di meglio definire un gruppo eterogeneo di manifestazioni cliniche legate all’ischemia miocardica in pazienti che non presentano malattia coronarica ostruttiva. È stato così formulato l’acronimo INOCA, dall’inglese “ischemia with non-obstructive coronary artery disease”. Dal momento che INOCA può essere associata ad un’ampia gamma di sintomi che possono variare nel tempo, questa patologia richiede un’attenta valutazione diagnostica ed un trattamento scrupoloso e mirato. Per alcune delle condizioni che causano ischemia miocardica nelle persone affette da INOCA, la diagnosi può essere complessa: non sempre gli esami di routine tradizionali, come la sola coronarografia, riescono a identificare l’eziologia dell’ischemia miocardica e ad escludere altre patologie con simile presentazione clinica. Secondo alcuni studi, per esempio, più della metà dei pazienti sottoposti a coronarografia per dolore toracico presentano coronarie normali, o quasi. La difficile diagnosi è anche uno dei motivi per cui la qualità di vita di chi soffre di INOCA può essere peggiore rispetto ai pazienti con malattia ostruttiva coronarica. Può accadere, infatti, che i pazienti con disfunzione microvascolare e/o vasospasmo coronarico non ricevano tempestivamente una diagnosi accurata e quindi una terapia medica efficace e ricorrano ripetutamente ad accessi ospedalieri. Quello che ne consegue è un peggioramento nel benessere e nella qualità di vita e negli outcome cardiovascolari (mortalità, infarto miocardico e scompenso cardiaco) nel medio e lungo termine per tali pazienti, per lo più donne in età lavorativa.

INOCA presenta ad oggi alcune incertezze conoscitive dal punto di vista fisiopatologico e sono dunque necessari ulteriori studi per caratterizzare in maniera più accurata questa condizione, in modo da indirizzare più precocemente il paziente verso un percorso diagnostico e terapeutico mirato ed appropriato.

Allo stato attuale, la gestione terapeutica dei pazienti affetti da INOCA è controversa, tuttavia da studi recenti emerge che un trattamento specifico, guidato da test funzionali invasivi e studio della fisiologia coronarica completo, può ridurre i sintomi, migliorare la qualità di vita e, verosimilmente, la prognosi di questi pazienti.

DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA

L’angina pectoris è il più comune sintomo di cardiopatia ischemica e colpisce circa 112 milioni di persone nel mondo1. Tuttavia, quasi il 70% dei pazienti che vengono sottoposti a studio coronarografico per sintomatologia anginosa e/o evidenza di ischemia miocardica presentano un albero coronarico indenne da stenosi significative2. Tra le cause di ischemia miocardica in assenza di coronaropatia ostruttiva (coronary artery disease, CAD) si annoverano la disfunzione del microcircolo (coronary microvascular dysfunction, CMD) e lo spasmo epicardico, che rappresentano due meccanismi patogenetici distinti ma che possono essere presenti simultaneamente e in combinazione con la CAD3. Complessivamente i suddetti quadri clinici sono classificati come INOCA, ad indicare un meccanismo patogenetico addizionale di cardiopatia ischemica3 riconducibile ad una condizione di disfunzione vascolare per disturbi strutturali o vasomotori del circolo coronarico epicardico e/o del microcircolo.

Si stima che la prevalenza di INOCA nel mondo possa raggiungere i 3-4 milioni di pazienti affetti4 ed essere maggiore nella popolazione femminile, nella quale il 30-50% degli studi angiografici evidenzia un albero coronarico esente da CAD ostruttiva5,6. Inoltre, l’incidenza di INOCA è aumentata significativamente negli ultimi anni; tale fenomeno può ricondursi ad un approccio diagnostico più sensibile e specifico per l’individuazione degli endotipi patologici, che si avvale di imaging avanzato e di test invasivi specifici da condursi nel contesto dello studio coronarografico.

Sebbene l’associazione con i fattori di rischio tradizionali della malattia aterosclerotica non sia ben definita, i pazienti affetti da INOCA sono più frequentemente ipertesi e dislipidemici. La correlazione con il diabete mellito, invece, non risulta altrettanto consolidata7,8. Inoltre, l’endotipo caratterizzato da disfunzione del microcircolo correla con l’abitudine tabagica9.

Ad oggi INOCA rimane una patologia sotto-diagnosticata e sotto-trattata, con impatto significativo sulla qualità di vita dei pazienti affetti, nonché sul tasso di riospedalizzazioni e di esami diagnostici invasivi non necessari e sugli outcome cardiovascolari a breve e lungo termine3.

PATOGENESI

Due sono i meccanismi eziopatologici responsabili dell’INOCA3: la CMD ed il vasospasmo coronarico epicardico.

Una classificazione proposta dai Professori Camici e Crea suddivide la CMD in quattro categorie: 1) CMD in assenza di cardiopatia strutturale e coronaropatia, 2) secondaria a patologie strutturali, 3) nel contesto di CAD, e 4) iatrogena (post-angioplastica coronarica percutanea)10. Più recentemente, la CMD è stata anche classificata in modo dicotomico come strutturale o funzionale3. La forma strutturale risulta da un processo di rimodellamento arteriolare comune sia alle forme primitive che a numerose cardiopatie strutturali (es. cardiomiopatia dilatativa o ipertrofica o stenosi aortica) ed associato alla coesistenza di fattori di rischio quali insufficienza renale e diabete10,11. I cambiamenti strutturali a carico delle arteriole includono l’incremento dello spessore parietale e/o della massa di parete, nonché la rarefazione del microcircolo12 e sono dovuti a fenomeni quali la proliferazione delle cellule muscolari lisce parietali, la fibrosi perivascolare e l’ispessimento dell’intima11. La CMD strutturale comporta pertanto un deficit di tipo non endotelio-dipendente.

La forma funzionale deriva invece da una inappropriata risposta vasodilatatoria arteriolare, che viene mediata dalla disfunzione endoteliale. L’aumentato fabbisogno di ossigeno (es. in caso di esercizio fisico) induce, in condizioni fisiologiche, una risposta vasodilatatoria a carico sia delle arterie epicardiche sia del microcircolo, attraverso il rilascio di mediatori biochimici quali ossido nitrico e prostacicline da parte dell’endotelio. In caso di disfunzione endoteliale, tuttavia, tale risposta risulta ridotta o addirittura sostituita da vasocostrizione11. Anche le cellule muscolari lisce vascolari possono presentare alterazioni funzionali e contribuire direttamente alla patogenesi11.

Infine, il vasospasmo coronarico epicardico risulta dall’inappropriata vasocostrizione delle cellule muscolari lisce del vaso in risposta all’esposizione ad un’ampia gamma di stimoli, tra cui fumo, farmaci, stress, iperventilazione ed esposizione al freddo3. Anche l’ipertono vagale sembrerebbe predisponente, spiegando il pattern circadiano di incidenza13. Precedenti studi hanno inoltre supportato un’associazione con l’aterosclerosi, anche non ostruttiva14,15. In particolare, uno studio di Shin et al.15 ha evidenziato una significativa prevalenza di placche erose, spesso associate alla presenza di trombo, in segmenti con spasmo documentato. A seconda che la durata sia transitoria o prolungata, lo spasmo può esitare in angina vasospastica o infarto miocardico3.

DIAGNOSI

Diagnostica non invasiva

I pazienti con angina vasospastica presentano prevalentemente angina a riposo e la loro diagnosi si basa principalmente sull’utilizzo di test provocativi invasivi, trattati altrove nel documento. Al contrario, i pazienti con angina microvascolare (microvascular angina, MVA) manifestano tipicamente angina da sforzo, clinicamente indistinguibile da quella derivante da malattia ostruttiva epicardica3. Le linee guida 2019 della Società Europea di Cardiologia (ESC) raccomandano nei pazienti con angina stabile l’uso di test non invasivi come prima indagine diagnostica2. In caso di bassa probabilità pre-test di malattia coronarica, è consigliato l’uso dell’angio-tomografia computerizzata (TC) coronarica, viceversa, se alta, è raccomandato l’utilizzo di test funzionali di ischemia (ecocardiogramma, tomografia a emissione di positroni [PET], tomografia ad emissione di fotone singolo [SPECT], risonanza magnetica cardiaca [RMC] sotto stress fisico o farmacologico)2. Questi ultimi, tuttavia, sono spesso negativi nei pazienti con MVA, in quanto le anomalie regionali di movimento o perfusione della parete ventricolare si riscontrano raramente, probabilmente per una distribuzione diffusa e “patchy” dell’ischemia, non limitata ad un circoscritto territorio di vascolarizzazione16,17. Pertanto, è necessario mantenere un elevato grado di sospetto per la MVA verso tali pazienti con sintomatologia anginosa tipica da sforzo, nonostante la negatività dei suddetti test non invasivi (anatomici e/o funzionali). Mentre la CMD endotelio-dipendente può essere valutata soltanto in maniera invasiva tramite somministrazione di acetilcolina (Ach), la CMD endotelio-indipendente può essere indagata anche tramite metodiche non invasive, come la misurazione della riserva di flusso coronarico (coronary flow reserve, CFR) dopo somministrazione endovenosa di vasodilatatori endotelio-indipendenti quali adenosina, regadenoson o dipiridamolo (Tabella 1).




L’ecocardiografia transtoracica (ETT) consente, tramite Doppler spettrale pulsato, di misurare il flusso basale e in condizioni di iperemia, a livello del tratto medio-distale dell’arteria discendente anteriore mostrando un’ottima riproducibilità e concordanza con la misurazione della CFR effettuata in maniera invasiva18. L’ETT permette, inoltre, di valutare la perfusione regionale miocardica tramite l’iniezione di micro-bolle ecogeniche con proprietà reologiche simili a quelle dei globuli rossi, con una discreta concordanza rispetto alla valutazione del flusso tramite PET19. Parimenti, la PET e la RMC consentono di misurare il flusso miocardico regionale tramite l’uso di traccianti radioattivi (es. H215O, 13NH3, 82Rb, F18-Flurpiridaz) e gadolinio, rispettivamente20,21. Le linee guida ESC 2019 consigliano con una classe di raccomandazione IIb l’uso delle metodiche non invasive sopramenzionate nella valutazione della CMD endotelio-indipendente per il limite intrinseco di non poter escludere un’ostruzione coronarica epicardica2. La CFR è, infatti, un indice di flusso integrato di tutto l’albero coronarico, sia epicardico che microvascolare, e le metodiche non invasive non sono in grado di discernere, a differenza di quelle invasive, il contributo delle componenti macro- e microvascolare. Recentemente, alcuni studi hanno testato la realizzabilità della misurazione della CFR tramite angio-TC coronarica, con il vantaggio teorico di combinare la valutazione anatomica dell’albero vascolare epicardico con quella funzionale in un unico esame diagnostico non invasivo3,22. Sono, tuttavia, necessari ulteriori studi di validazione al fine di introdurre tale metodica nella pratica clinica quotidiana.

Diagnostica funzionale invasiva

Sebbene la diagnostica non invasiva possa dare una stima piuttosto affidabile della riduzione della CFR, una definitiva diagnosi di CMD3 può essere ottenuta solo con una valutazione invasiva. Questa viene effettuata a completamento dell’angiografia coronarica, generalmente a livello dell’arteria discendente anteriore (vaso con il maggior territorio di distribuzione) e consiste nella combinazione di tecniche che, tramite specifiche guide diagnostiche e la somministrazione di agenti farmacologici, vanno a testare la funzione vasomotoria dell’albero coronarico.

La CFR rappresenta il parametro più utilizzato per definire la CMD. È data dal rapporto tra il flusso coronarico in iperemia e a riposo e rappresenta la capacità dell’albero coronarico di aumentare il flusso miocardico in risposta ad un aumento della domanda di ossigeno23. Data la non specificità compartimentale, la CFR diviene un indice relativamente accurato del solo microcircolo esclusivamente in assenza di una malattia coronarica epicardica funzionalmente significativa, valutata mediante l’utilizzo di indici funzionali non iperemici (non-hyperemic pressure ratio, NHPR; cut-off 0.89) o iperemici (riserva frazionale di flusso, fractional flow reserve, FFR; cut-off 0.80)24.

Stime indirette del flusso coronarico possono essere ottenute con l’ausilio di guide diagnostiche dedicate che utilizzano sensori Doppler25 o secondo il principio della termodiluizione26. La metodica Doppler si avvale di una guida diagnostica intracoronarica dotata alla sua estremità di un singolo sensore Doppler (Flowire, Philips Volcano Corporation, San Diego, CA, USA) o eventualmente accoppiato ad un sensore pressorio (ComboWire XT, Philips Volcano Corporation). Una volta avanzata nella coronaria da studiare si può campionare il flusso ottenendo la velocità media di picco (average peak flow velocity, APV). Il rapporto tra APV in iperemia e APV in condizioni di riposo definisce la Doppler CFR25. Diversamente, la termodiluizione utilizza una guida munita di un sensore di temperatura in aggiunta a quello di pressione (PressureWire X, Abbott Vascular, Santa Clara, CA, USA). In questo caso, come misura della velocità del flusso ematico si utilizza l’inverso del tempo di transito calcolato dopo iniezione di un bolo di soluzione fisiologica a temperatura ambiente26. Si calcolerà, quindi, la media del Tmn (mean transit time) di tre iniezioni di fisiologica a riposo ed in corso di iperemia massimale. Il calcolo della CFR sarà quindi dato dal rapporto tra l’inverso del Tmn in iperemia e l’inverso del Tmn in iperemia, che algebricamente equivale al rapporto tra il Tmn a riposo ed il Tmn in iperemia26. Tale iperemia (di tipo endotelio-indipendente) viene generalmente ottenuta mediante la somministrazione endovenosa di adenosina (al dosaggio di 140 µg/kg/min). Ai fini della diagnosi, un valore di CFR <2.0 è ritenuto patologico sia per la metodica di termodiluizione sia per la metodica Doppler27, valori di CFR <2.5 sono ritenuti prognosticamente sfavorevoli per la metodica Doppler ma borderline per quella di termodiluizione28.

Poiché la CFR è un indice globale della funzione coronarica comprensivo di compartimento epicardico e microvascolare è nata la necessità di identificare indici di funzione selettivi per il microcircolo. Dall’applicazione della legge di Ohm ai fluidi e combinando parametri di flusso e pressione si ottengono con entrambe le metodiche indici di resistenza microvascolare: in caso di utilizzo della termodiluizione si determina l’indice di resistenza microcircolatoria (index of microvascular resistance, IMR) che deriva dal prodotto tra il Tmn e la “distal pressure” (Pd) in iperemia29; se invece la valutazione viene eseguita mediante tecnica Doppler, moltiplicando l’APV e la Pd in iperemia si ricava l’indice di resistenza microvascolare iperemica (hyperaemic microvascular resistance, HMR)30. Valori di IMR >25 U o di HMR >2.5 mmHg/cm/s definiscono la presenza di CMD29,31.

Una valutazione combinata di CFR e IMR/HMR consente una migliore caratterizzazione dei meccanismi fisiopatologici alla base della CMD. Recenti studi di Rahman et al.32 hanno evidenziato la presenza di due differenti endotipi di CMD: strutturale (CFR <2 e IMR >25/HMR >2.5) e funzionale (CFR <2 e IMR <25/HMR <2.5). La presenza di normali resistenze microcircolatorie evidenzia un consumo patologico della riserva coronarica già a riposo che impedisce un’ulteriore significativa vasodilatazione in iperemia, viceversa elevati valori di resistenze microcircolatorie documentano un’incapacità strutturale dovuta ad un rimodellamento microcircolatorio negativo (es. fibrosi o ipertrofia miocardica)32.

Entrambe le metodiche presentano vantaggi e svantaggi. Sebbene concettualmente più accurata e vicina al modello sperimentale, la metodica Doppler nella realtà, per suoi limiti tecnici, è associata ad un tasso prossimo al 30% di tracciati subottimali25. D’altra parte, la termodiluizione presenta una discreta variabilità interoperatore e la tendenza alla sovrastima della CFR. Proprio allo scopo quindi di incrementarne l’accuratezza, di recente è stata introdotta la termodiluizione continua che consente di quantificare il flusso e le resistenze coronariche in maniera assoluta, oltre naturalmente al loro rapporto tra condizioni basali ed iperemiche. Questa metodica utilizza un catetere monorail dedicato (RayFlow, Hexacath) che viene avanzato su una guida di pressione e temperatura (Pressure Wire X) e che consente l’infusione da una pompa siringa dedicata di soluzione fisiologica in continuo alla velocità di 10 ml/min per misurare il flusso coronarico basale e a 20 ml/min per misurare il flusso assoluto iperemico. I potenziali vantaggi di una tale complessa metodica sono: essere indipendente dall’operatore, essere altamente riproducibile, non richiedere la somministrazione di un agente iperemico come l’adenosina33-35. Tuttavia, la complessità ed il costo dei dispositivi richiesti relegano, per il momento, tale metodica a contesti di ricerca specifici. Al contrario, allo scopo di rendere lo studio del microcircolo fattibile anche nella realtà quotidiana si è giunti negli ultimi 2 anni alla definizione di nuovi indici funzionali derivati dalla sola angiografia attraverso l’applicazione di principi di fluidodinamica computazionale e di ricostruzione tridimensionale del vaso. Diversi gruppi36-38 hanno testato analoghi dell’IMR derivati dall’angiografia documentando una buona correlazione con l’IMR ottenuta invasivamente con la guida di pressione/termodiluizione39. La conferma su larghi numeri e soprattutto la comprovata correlazione con gli outcome clinici di tali indici potrebbero implementare significativamente la diagnosi di CMD, con un significativo risparmio di costi e tempo, limitando l’utilizzo di strumentazione intracoronarica e la somministrazione di farmaci iperemici ai casi dubbi. La flow-chart diagnostica per la caratterizzazione della disfunzione del microcircolo è descritta nella Figura 1.




TEST PROVOCATIVI

Il test provocativo di vasomotilità eseguito nel laboratorio di emodinamica rappresenta il “gold standard” per la diagnosi delle alterazioni vasomotorie coronariche40 e riveste un ruolo centrale nell’algoritmo diagnostico dei pazienti affetti da INOCA e infarto miocardico in assenza di coronaropatia ostruttiva (myocardial infarction with non-obstructive coronary arteries, MINOCA), come ribadito da recenti linee guida internazionali e documenti di consenso2,3,41-43.

Sebbene numerose sostanze vasoattive siano state testate44, l’Ach è l’agente farmacologico di prima scelta45: si tratta di un agonista del sistema nervoso parasimpatico che, mediante legame con i recettori muscarinici colinergici situati a livello dell’endotelio e delle fibrocellule muscolari lisce, promuove una vasodilatazione endotelio-mediata nei soggetti sani ed elicita una vasocostrizione nelle arterie coronarie suscettibili allo spasmo o in presenza di disfunzione endoteliale46.

Il test provocativo si esegue a completamento dell’angiografia coronarica mediante somministrazione di Ach intracoronarica a dosaggi crescenti (che differiscono nei molteplici protocolli di utilizzo proposti)46,47-49 e si avvale di monitoraggio con ECG continuo a 12 derivazioni e acquisizione dell’immagine angiografica dopo ogni iniezione di farmaco o in caso di comparsa di sintomatologia anginosa o modificazioni ECG.

L’interpretazione di tale esame si avvale dei criteri diagnostici redatti dal Gruppo Internazionale di Studio dei Disturbi della Vasomotilità Coronarica (COVADIS): si definisce spasmo epicardico42 una vasocostrizione >90% all’angiografia coronarica associata a riproduzione della sintomatologia anginosa e alterazioni ischemiche all’ECG, mentre lo spasmo microvascolare50 si delinea in caso di coesistenza della sintomatologia anginosa e di modificazioni ischemiche all’ECG in assenza di significative alterazioni angiografiche. Tale caratterizzazione diagnostica consente di implementare una terapia medica personalizzata48 e ha una valenza prognostica, associandosi ad un aumentato rischio di eventi avversi cardiovascolari insieme ad un impatto negativo in termini di qualità di vita49,51-53. La diffusione nella pratica clinica è stata ostacolata da dubbi inerenti la sicurezza di tale test: tuttavia recenti evidenze hanno rivelato come gli eventi avversi durante test provocativo siano poco frequenti, spesso di natura aritmica e transitori, incoraggiandone un utilizzo sempre più crescente46,54,55. La Figura 2 propone una sintesi grafica del protocollo di utilizzo del test provocativo di vasomotilità.

TRATTAMENTO

Le attuali raccomandazioni sulle strategie terapeutiche da adottare nei pazienti con diagnosi di INOCA2,3 si basano su evidenze limitate. Nonostante la necessità di trial su larga scala56, l’efficacia di un trattamento personalizzato e adattato al meccanismo fisiopatologico responsabile dell’ischemia è confermata dai risultati del recente trial CorMicA48. La corretta interpretazione dei test di fisiologia e vasomotilità coronarici è alla base della stratificazione terapeutica volta al miglioramento della sintomatologia e della qualità di vita del paziente. I tre cardini della terapia dell’INOCA, tuttora in evoluzione, sono rappresentati dal controllo dei fattori di rischio cardiovascolare, dalle modifiche allo stile di vita e dalla terapia farmacologica57 (Figura 3).




Considerato il ruolo dei classici fattori di rischio cardiovascolare sia nella disfunzione del microcircolo che nel vasospasmo coronarico, spesso coesistenti con la CAD, è raccomandato uno stretto controllo degli stessi mediante statine, antipertensivi, antidiabetici, calo ponderale e cessazione dell’abitudine al fumo. In particolare, è stato dimostrato un beneficio delle statine sulla funzione endoteliale e sulla prevenzione dello spasmo epicardico58, così come per gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-inibitori) o degli antagonisti recettoriali dell’angiotensina (angiotensin II receptor blockers, ARB) e calcio-antagonisti59,60. Tra gli ACE-inibitori, il quinapril è risultato efficace nel miglioramento della CFR e della frequenza dell’angina61. La tradizionale terapia antianginosa con beta-bloccanti e calcio-antagonisti costituisce il trattamento di prima linea nell’INOCA. In particolare, carvedilolo e nebivololo (beta-bloccanti di terza generazione) migliorerebbero la resistenza vascolare, così come la CFR62. Il carvedilolo ha proprietà antiossidanti e promuove la vasodilatazione tramite il rilascio di monossido di azoto (NO) e il miglioramento della funzione endoteliale63. Esso, inoltre, riduce i livelli di catecolammine circolanti64. Nel vasospasmo coronarico, invece, il trattamento di prima linea consiste in calcio-antagonisti non diidropiridinici e/o nitrati a breve durata d’azione3. In tale contesto, talvolta il dosaggio di verapamil e diltiazem eccede la posologia comunemente raccomandata ed è imperativo evitare l’utilizzo di beta-bloccanti non selettivi65. In caso di mancata o inadeguata risposta, l’aggiunta di nitrati a lunga durata d’azione e/o la combinazione di calcio-antagonisti (diidropiridinici e non) offre un beneficio ulteriore. Le terapie di seconda linea includono inoltre il nicorandil che, agendo sul rilasciamento delle cellule muscolari lisce e sulla sintesi di NO, ha effetto sia vasodilatatore che benefico sul microcircolo, e la ranolazina, un bloccante dei canali del sodio che riduce i livelli di calcio intracellulare determinando rilasciamento muscolare e miglioramento della funzione microvascolare, con aumento della perfusione miocardica66. Alcuni pazienti con sintomatologia persistente potrebbero beneficiare del trattamento con ivabradina, la quale riduce la frequenza cardiaca inibendo la corrente If del nodo senoatriale senza alcun effetto inotropo, migliorando la velocità di flusso coronarico in corso di iperemia e la CFR. Tuttavia, i risultati sulla sua efficacia sono ancora controversi67. Il trattamento di seconda linea include anche la trimetazidina, agente in grado di ridurre l’ischemia favorendo l’utilizzo del glucosio tramite inibizione del metabolismo degli acidi grassi68. Purtroppo in circa il 25% dei pazienti, la sintomatologia rimane refrattaria alle suddette strategie terapeutiche. Il razionale dell’utilizzo di antidepressivi triciclici (imipramina, amitriptilina), il cui effetto analgesico si basa sulla modulazione dell’uptake della norepinefrina e sugli effetti anticolinergici, troverebbe spiegazione nella riduzione dell’intensità dei sintomi in pazienti con alterata nocicezione cardiaca3. Oggigiorno, promettenti terapie sono ancora in fase di studio, tra cui gli antagonisti del recettore dell’endotelina, gli inibitori della Rho-chinasi e i derivati della xantina. Questi ultimi incrementano la capacità all’esercizio attraverso la riduzione del consumo miocardico di ossigeno e la redistribuzione del flusso coronarico. Molsidomina, cilostazolo e dipiridamolo sono ulteriori molecole in grado di antagonizzare lo spasmo coronarico, il cui impiego nella pratica clinica è ancora limitato dalle scarse evidenze69. Dato il ruolo dei pathway infiammatori nella fisiopatologia dell’INOCA, inibitori degli stessi rappresentano oggetto di interesse, così come l’iniezione di cellule CD34+ autologhe coinvolte nella riparazione del microcircolo attraverso la differenziazione in cellule endoteliali e promozione dell’angiogenesi70. Infine, è ancora da dimostrare il ruolo nel trattamento della disfunzione microvascolare mediante impianto di dispositivo di riduzione del seno coronarico (Neovasc ReducerTM)71.

STUDI IN CORSO

I pazienti sintomatici, con evidenza di ischemia inducibile, ma in assenza di significativa ostruzione dell’albero coronarico epicardico, costituiscono un problema clinico-diagnostico rilevante, poiché spesso erroneamente identificati come “sani”. La mancanza di una chiara diagnosi, e quindi la persistenza della sintomatologia anginosa, spinge i pazienti a ricorrere alle cure ospedaliere e ad avere accesso a innumerevoli, e spesso inutili, esami diagnostici. Per questi motivi, è indispensabile una migliore diffusione della conoscenza della malattia, attraverso studi clinici volti non solo a valutarne la prevalenza ed il valore prognostico, ma anche a migliorarne l’approccio diagnostico e soprattutto terapeutico, al fine di garantire ai pazienti giusta diagnosi e specifica cura3. Molti sono gli studi attualmente in corso che rispondono a questi obiettivi (Tabella 2)56,72-74.
















Dal successo ottenuto dallo studio CorMicA48,75 che ha per primo introdotto e valutato clinicamente il concetto di “terapia stratificata” per i pazienti INOCA, è sorto il più ampio e multicentrico studio randomizzato iCorMicA (NCT04674449), attualmente in corso, con lo scopo di arruolare 1500 pazienti, raggruppati nei diversi endotipi attraverso l’esecuzione di una coronarografia funzionale, e valutando gli effetti di una terapia medica stratificata sulla sintomatologia anginosa e qualità di vita dei pazienti, rispetto alla comune pratica clinica.

Lo studio WARRIOR (NCT03417388), multicentrico e randomizzato, incentrato esclusivamente sul genere femminile, è volto alla valutazione degli effetti di una terapia “intensiva” con ACE-inibitori/ARB, statine ad alto dosaggio e cardioaspirina sull’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori al follow-up56. Lo studio è in corso di arruolamento, ma la diagnosi di INOCA non è posta sulla base di test invasivi funzionali, ma in base a dati di angiografia e angio-TC coronarica convenzionali. A questo proposito, gli studi CorCTCA (NCT03477890) e CorCMR (NCT04805814), tuttora in corso, saranno utili a chiarire la prevalenza e il significato clinico della patologia INOCA quando diagnosticata sulla base dell’angio-TC coronarica e della RMC72,73.

Lo studio INOCA-IT (NCT05164640), finanziato dal Ministero della Salute nell’ambito della “Ricerca Finalizzata 2019”, è a carattere nazionale e vede coinvolti tre Centri italiani nel Nord, Centro e Sud Italia. Gli obiettivi di tale ricerca sono i seguenti: 1) valutare la prevalenza di INOCA in pazienti di sesso femminile vs maschile sottoposti a coronarografia clinicamente indicata; 2) stratificare i pazienti nei diversi endotipi di INOCA in base alla presenza/assenza di cause alternative di ischemia miocardica con studio funzionale e della fisiologia coronarica; 3) implementare una terapia medica stratificata di questi pazienti in base alla diagnosi di differente endotipo di INOCA e valutare l’efficacia di una “tailored therapy” sulla classe di angina, la qualità di vita, le rivascolarizzazioni ed ospedalizzazioni ad 1 anno di follow-up.

Un altro registro italiano multicentrico, simile a quello tedesco tuttora in corso (MICRO, NCT04612322), volto specificamente alla comprensione della prevalenza della patologia microvascolare e alla valutazione degli effetti di una terapia stratificata sulla gravità dei sintomi anginosi, è lo studio MiVa (NCT05686707), in cui saranno inclusi 400 pazienti affetti da angina microvascolare, associata o meno alla presenza di stenosi coronariche ostruttive.

Lo studio PRIZE (NCT04097314), invece, attraverso un disegno randomizzato e in doppio cieco, propone lo zibotentan, un potente inibitore del recettore dell’endotelina A, come strategia terapeutica per i pazienti affetti da angina microvascolare, correttamente identificati attraverso un’angiografia funzionale74.

Oltre alle strategie farmacologiche, l’impianto del “Coronary Sinus Reducer” (Neovasc) potrebbe rappresentare una nuova strategia terapeutica per il trattamento dei pazienti con angina microvascolare. Gli effetti di questo dispositivo saranno valutati nello studio COSIMA (NCT04606459) e REMEDY-Pilot (NCT05492110), ma solo nel primo i pazienti saranno sottoposti ad un’angiografia funzionale, sebbene non vengano sistematicamente identificati con test all’acetilcolina, e quindi esclusi, i pazienti con angina vasospastica o con forme miste, che potrebbero non trarre pieno vantaggio dall’impianto di questo dispositivo. In maniera similare, lo studio INROAD (NCT05174572) contribuirà a chiarire se l’impianto di Reducer è in grado di rimodulare positivamente i valori di IMR e CFR.

Infine, sono stati recentemente pubblicati i risultati preliminari del registro RIALTO (NCT05111418), iniziativa multicentrica italiana che ha arruolato pazienti con riscontro angiografico di ponte miocardico e volta a comprendere l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori in questa popolazione. I dati pubblicati suggeriscono che lo studio della fisiologia coronarica che slatentizza l’ischemia miocardica possa guidare il trattamento personalizzato e migliorare significativamente la qualità di vita di questi pazienti76.

CASI CLINICI

Di seguito tre casi clinici rispettivamente di angina vasospastica (Caso 1), angina microvascolare (Caso 2), forma mista (Caso 3) arruolati nel protocollo di studio INOCA-IT.

Caso 1: diagnosi e trattamento di angina vasospastica

Paziente di anni 38, affetto da diabete mellito di tipo 1 e dislipidemia, riferiva la persistenza da alcuni mesi di episodi di dolore toracico non sforzo-correlato (Canadian Cardiovascular Society [CCS] IV). Tre anni prima, in occasione di analogo episodio di angor insorto a riposo e riscontro agli esami ematochimici dell’aumento degli enzimi di miocardiocitolisi, era stata posta diagnosi di sindrome coronarica acuta/infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST, condizionante intervento di rivascolarizzazione miocardica percutanea con impianto di stent al tratto medio dell’arteria coronaria destra. In considerazione della tipicità della sintomatologia anginosa e della positività alla SPECT stress/rest eseguita dal paziente ambulatoriamente, si ricoverava. All’ecocardiogramma i reperti morfo-funzionali erano nei limiti della norma. Il paziente veniva pertanto sottoposto a studio coronarografico, che documentava il mantenimento del buon risultato angiografico a distanza della pregressa angioplastica con impianto di stent sull’arteria coronaria destra, in assenza di significativa progressione di malattia sui restanti vasi epicardici, con stenosi angiograficamente “intermedia” sull’arteria discendente anteriore (Figura 4A).

Lo studio della fisiologia coronarica dopo induzione di iperemia sistemica con adenosina ha mostrato normali valori di FFR (0.92), CFR (3.3) e IMR (4.0) (Figura 4B).




Il test provocativo all’Ach ha mostrato significativo spasmo epicardico al tratto medio-distale dell’arteria interventricolare anteriore, con comparsa di sintomatologia tipica anginosa e alterazioni ECG a carattere ischemico (Figura 4C). Veniva quindi posta diagnosi di angina vasospastica ed il paziente veniva dimesso con indicazione a terapia farmacologica con calcio-antagonista (diltiazem) al massimo dosaggio tollerato.

Caso 2: diagnosi e trattamento di angina microvascolare (Figura 5)




Paziente di 48 anni, iperteso, affetto da ernia iatale lamentava episodi di angor tipico da sforzo (CCS II-III) da circa 1 anno (Seattle Angina Questionnaire Summary Score 53). Gli accertamenti eseguiti hanno documentato la presenza di ischemia miocardica inducibile al test da sforzo; tuttavia, l’assenza di stenosi epicardiche all’angio-TC coronarica ha suggerito un’origine non cardiaca della toracoalgia portando al potenziamento della terapia con inibitori di pompa protonica (presunta origine gastrica del dolore). La persistenza della sintomatologia ha portato all’esecuzione di esame coronarografico che ha confermato l’assenza di stenosi angiograficamente significative (Figura 5A). La valutazione funzionale invasiva mediante guida di pressione ed infusione sistemica di adenosina, oltre a confermare l’assenza di malattia epicardica emodinamicamente significativa (Pd/Pa 0.92, FFR 0.90), ha evidenziato una ridotta riserva coronarica associata ad un aumento delle resistenze microcircolatorie (CFR 1.7 e IMR 35) definendo un quadro di alterazione microvascolare strutturale (Figura 5B). La negatività al test di vasoreattività eseguito successivamente mediante iniezione di dosi crescenti di Ach intracoronarica (assenza di spasmo epicardico, sintomi, alterazioni ECG) ha confermato la presenza di disfunzione microvascolare strutturale isolata (Figura 5C). La terapia medica è stata ottimizzata mediante l’introduzione di nebivololo e atorvastatina, raccomandando inoltre al paziente una maggiore attività fisica aerobica e riduzione del peso corporeo (Figura 5D). Al follow-up a 3 mesi si è documentata la risoluzione degli episodi di angor con un aumento del punteggio del Seattle Angina Questionnaire Summary Score fino ad un valore di 81.

Caso 3: diagnosi e trattamento di forma mista (disfunzione del microcircolo + angina vasospastica)

Nella Figura 6A è raffigurato il percorso diagnostico convenzionale di una paziente (A1) in sovrappeso, ipertesa, fumatrice e con intolleranza glucidica, con sintomatologia anginosa esacerbata dallo sforzo fisico e stress emotivi.




Dopo essere stata sottoposta ad un test di imaging non invasivo (A2), con riscontro di lieve ischemia inducibile a carico della parete antero-laterale, la paziente ha successivamente eseguito un esame coronarografico (A3, A4) con riscontro di vasi epicardici esenti da stenosi angiograficamente significative. Al fine di indagare un eventuale interessamento del compartimento microvascolare, come mostrato nella Figura 6B, è stato eseguito un test invasivo completo per la valutazione funzionale del compartimento epicardico (FFR 0.92, a valle dell’arteria interventricolare anteriore) e del microcircolo ad esso sotteso (B1), dimostrando la presenza di elevati valori di IMR (39) e valori borderline della CFR (2.0), suggerendo una diagnosi di CMD. Infine, il test provocativo mediante somministrazione di Ach in boli ripetuti per via intracoronarica (fino a 100 µg) ha rivelato un significativo vasospasmo a carico del tratto medio dell’arteria interventricolare anteriore e del tratto ostio-prossimale del primo ramo diagonale (B2 – freccia bianca), associata a una significativa riduzione del flusso coronarico (TIMI 2), modifiche del tracciato ECG (B3) e comparsa della sintomatologia anginosa, suggerendo quindi una componente vasospastica epicardica. La diagnosi conclusiva è stata quella di forma mista (CMD + angina vasospastica). Con questo tipo di approccio diagnostico mirato e stratificato è stato quindi possibile fornire alla paziente una giusta diagnosi e la corretta terapia farmacologica.

PROGNOSI

Nonostante l’assenza di ateromasia ostruttiva, i pazienti con INOCA hanno un rischio di eventi avversi aumentato rispetto alla popolazione generale. In una metanalisi di Radico et al.77 che ha sintetizzato 54 studi e 35 039 pazienti, l’incidenza dell’endpoint composito di mortalità per tutte le cause ed infarto miocardico non fatale era di 0.98/100 persone-anno.

Alcuni fattori modificano più o meno sensibilmente tale rischio. Una significativa eterogeneità esiste tra coloro che presentano coronarie completamente indenni (in cui gli stessi eventi si verificano con incidenza di circa 0.52/100 persone-anno) e coloro che manifestano coronaropatia, seppur non ostruttiva (incidenza pari a 1.32/100 persone-anno, p<0.01 per differenza tra sottogruppi)76. Il rischio di eventi avversi varia anche con l’espressione di fattori di rischio, inclusi diabete mellito, ipertensione e dislipidemia76,77. Inoltre, lo studio WISE ha mostrato come la persistenza di sintomi (dolore toracico) sia indipendentemente associata a peggiore prognosi78. Recentemente, un’analisi del registro ILIAS ha dimostrato che una CFR anomala predice l’incidenza di eventi avversi cardiovascolari maggiori e il fallimento del vaso target a 5 anni. È interessante notare come, secondo lo stesso studio, la resistenza microvascolare iperemica non predica tuttavia l’incidenza dei medesimi eventi, né sia utile a stratificarne il rischio nel gruppo di pazienti con CFR non alterata79. Di conseguenza, i due endotipi strutturale e funzionale avrebbero il medesimo impatto prognostico. Infine, studi dedicati hanno esaminato la prognosi dei pazienti con angina vasospastica, dimostrando un’incidenza elevata di eventi avversi, inclusi morte, arresto cardiaco e infarto miocardico, soprattutto nel primo mese dopo l’insorgenza dei sintomi80.

CONCLUSIONI

INOCA è una patologia la cui prevalenza è tutt’altro che trascurabile e la cui evoluzione è tutt’altro che benigna. Spesso però INOCA si associa ad una mancata o ritardata diagnosi e trattamenti non appropriati, che esitano in scarsa qualità di vita, frequenti riospedalizzazioni per cause cardiovascolari e costi non indifferenti per il Sistema Sanitario Nazionale. Un’appropriata e tempestiva diagnosi basata sulla stratificazione dei diversi endotipi di INOCA è di fondamentale importanza al fine di avviare strategie terapeutiche mirate e migliorare la sintomatologia, la qualità di vita e, potenzialmente, gli outcome cardiovascolari di tali pazienti. In questo contesto si inseriscono i nuovi studi, che avranno un importante ruolo nel definire un percorso ottimale per tali pazienti dallo screening, alla diagnosi, al trattamento, al follow-up generando così nuova consapevolezza nei confronti di una patologia ancora relativamente poco conosciuta, ma di forte impatto socio-sanitario.

RIASSUNTO

Si stima che oltre 100 milioni di persone a livello mondiale soffrano di dolore toracico. Tuttavia, fino al 70% dei pazienti sottoposti a coronarografia non riceve diagnosi di coronaropatia ostruttiva: in tale contesto si inserisce la patologia identificata con l’acronimo INOCA, dall’inglese “ischemia with non-obstructive coronary artery disease”. I sintomi riferiti dai pazienti INOCA sono molto eterogenei e sovente indicati come di origine non cardiaca, con conseguente sotto-diagnosi o diagnosi errata e trattamento inadeguato. I meccanismi fisiopatologici di INOCA sono multipli e includono lo spasmo epicardico e la disfunzione microvascolare. È importante considerare che la patologia non è innocua: rispetto alla popolazione generale, l’INOCA è associata ad un’aumentata incidenza di eventi avversi cardiovascolari, riospedalizzazioni, calo della qualità di vita e ingenti costi per i servizi sanitari. Questa rassegna ha l’obiettivo di descrivere le caratteristiche fisiopatologiche e cliniche di INOCA e di fornire una precisa guida diagnostica e terapeutica, mediante un’attenta disamina della letteratura scientifica e l’ausilio di casi clinici provenienti dalla pratica clinica quotidiana.

Parole chiave. Acetilcolina; Angina vasospastica; Coronaropatia; Disfunzione microvascolare; Fisiologia coronarica; Indice di resistenza microcircolatoria; INOCA; Riserva di flusso coronarico; Test funzionali invasivi.

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