L’infarto miocardico in assenza di coronaropatia ostruttiva: work-up diagnostico nel laboratorio di Emodinamica

Edoardo Petrolati1, Rocco Antonio Montone2, Antonio Maria Leone3, Alfredo Ricchiuto1, Giulia La Vecchia1, Riccardo Rinaldi1, Francesco Fracassi2, Enrico Romagnoli2, Lazzaro Paraggio2, Francesco Burzotta1,2, Filippo Crea1,2, Carlo Trani1,2, Cristina Aurigemma2

1Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

2Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Roma

3Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina - Gemelli Isola, Roma

Myocardial infarction with non-obstructive coronary artery disease (MINOCA) is a heterogeneous clinical condition affecting 5% to 8% of patients presenting with acute myocardial infarction. Initially it was considered a favorable clinical diagnosis, nowadays it is known that MINOCA can significantly affect patient quality of life and portends a guarded prognosis. Therefore, it is of utmost importance to identify the specific pathophysiological mechanism underlying this clinical condition in order to set up a targeted pharmacological and non-pharmacological therapy. Coronary angiography is still a mandatory diagnostic test to rule out obstructive coronary artery disease but has limited capability to identify other potential functional and structural etiologies of MINOCA. The purpose of this review is to provide an overview of the invasive diagnostic work-up of patients with MINOCA, highlighting the diagnostic tools warranted beyond coronary angiography inside the cath lab (intracoronary provocation tests, intracoronary imaging and indexes for the assessment of coronary microvascular dysfunction), and the remaining essential knowledge gaps in this field.

Key words. Coronary vasospasm; MINOCA; Optical coherence tomography.

INTRODUZIONE

L’infarto miocardico in assenza di coronaropatia ostruttiva (MINOCA) rappresenta circa il 5-8% dei pazienti con infarto del miocardio1. Inizialmente era ritenuta una condizione clinica benigna2, ma le evidenze provenienti dall’emergente letteratura scientifica suggeriscono che il MINOCA sia associato ad un rischio significativo di mortalità, nuovi ricoveri ospedalieri, disabilità e recidiva di angina, con elevati costi socio-economici3,4. Tuttavia, ad oggi non esistono trial clinici randomizzati in questa popolazione ed il trattamento di questi pazienti non è ancora definito, anche in relazione ai molteplici meccanismi patogenetici alla base dei MINOCA.

Secondo la definizione della Società Europea di Cardiologia (ESC), il MINOCA è un infarto miocardico acuto in assenza di coronaropatia ostruttiva alla coronarografia diagnostica (stenosi coronariche ≥50%), senza che vi sia una causa non coronarica per la presentazione clinica (es. sepsi, anemia grave, tachiaritmia, embolia polmonare)4. La definizione proposta introduce criteri stringenti, che escludono patologie inizialmente considerate come potenziali cause di MINOCA, e sottolinea il meccanismo ischemico alla base. In particolare, vi è una varietà di cause alla base del MINOCA, tra cui la rottura o erosione di una placca aterosclerotica coronarica, lo spasmo epicardico o microvascolare, l’embolia coronarica e la dissezione coronarica spontanea5,6. Pertanto, il MINOCA non dovrebbe essere considerato come una singola entità clinica ma come una patologia eterogenea che richiede un iter diagnostico completo al fine di chiarire la potenziale causa alla base dell’evento coronarico acuto. Gran parte di questo lavoro diagnostico viene effettuato proprio all’interno del laboratorio di Emodinamica, dove grazie all’attuale strumentazione disponibile, nella maggior parte dei casi è possibile eseguire una diagnosi eziologica precisa, essenziale anche per le successive scelte terapeutiche nella prospettiva di una terapia personalizzata basata sul meccanismo fisiopatologico alla base di tale condizione clinica.

ANGIOGRAFIA CORONARICA, VENTRICOLOGRAFIA E TEST FUNZIONALI

La coronarografia è l’esame di riferimento che consente di iniziare il work-up diagnostico nei pazienti con sospetto infarto miocardico acuto. Secondo i criteri diagnostici proposti dall’ESC5, per la diagnosi di MINOCA occorre che l’esame angiografico documenti l’assenza di lesioni causanti una riduzione del calibro del vaso >50% a livello di ciascuna coronaria epicardica. Quest’ultimo valore cut-off fa riferimento alle linee guida americane sulla valutazione angiografica1 ed è stato definito arbitrariamente e soggetto a variabilità inter- ed intraoperatore. Inoltre la severità di una lesione può variare anche tra le varie acquisizioni angiografiche a causa dei cambiamenti del tono vasomotorio e della dissoluzione di eventuali formazioni trombotiche durante l’esame angiografico. È stato quindi proposto di categorizzare ulteriormente i pazienti MINOCA in soggetti con coronarie angiograficamente normali (stenosi epicardica <10%), con minime irregolarità luminali (stenosi <30%) e pazienti con malattia coronarica aterosclerotica da lieve a moderata (stenosi tra il 30% e il 50%)5. In questi ultimi potrebbe risultare utile eseguire una valutazione funzionale mediante guida di pressione, sebbene i dati presenti in letteratura riguardo l’utilizzo della riserva frazionale di flusso (FFR) in pazienti con MINOCA siano attualmente molto limitati. La valutazione della FFR può essere presa in considerazione in quei pazienti con malattia coronarica moderata, basandosi sui dati estrapolati da pazienti stabili che hanno mostrato valori di FFR positivi in un quarto dei pazienti con stenosi tra il 30% e il 50%7,8.

Utile è anche l’esecuzione della ventricolografia per definire la presenza di sindrome Takotsubo e verificare la distribuzione delle anomalie della cinetica regionale (se a pattern epicardico o microvascolare)6.

VALUTAZIONE DEL VASOSPASMO CORONARICO

Una volta esclusa la presenza di malattia coronarica ostruttiva, è possibile effettuare test provocativi per individuare eventuali disturbi della vasomotilità coronarica9. Il vasospasmo coronarico è riconosciuto come uno dei principali meccanismi alla base del MINOCA, in particolare lo spasmo epicardico piuttosto che lo spasmo microvascolare9,10. La sua prevalenza oscilla dal 3% al 95% con notevoli variazioni anche a seconda dell’etnia, risultando più frequente nella popolazione asiatica11. Da recenti studi emerge come nel 46% dei pazienti con MINOCA sia possibile riscontrare la presenza di vasospasmo epicardico in seguito ad esecuzione di test provocativo intracoronarico e come la presenza di un test provocativo positivo abbia importanti risvolti da un punto di vista prognostico12,13. Inoltre, un recente studio ha dimostrato come la presenza di un bridge miocardico possa predisporre all’insorgenza di spasmo epicardico con una presentazione clinica di MINOCA14.

Numerosi stimoli farmacologici sono stati testati per evidenziare lo spasmo coronarico. Tuttavia, ad oggi gli agenti maggiormente utilizzati nella pratica clinica sono l’acetilcolina (ACh) e l’ergonovina (ER)9. L’Ach è un neurotrasmettitore del sistema nervoso parasimpatico e agisce attraverso i recettori muscarinici e nicotinici. In particolare, legandosi ai recettori muscarinici 3 (M3) sulla superficie delle cellule muscolari lisce, stimola il rilascio intracellulare degli ioni calcio, determinando una vasocostrizione endotelio-indipendente9. L’interazione dell’Ach con i recettori M3 sulla superficie delle cellule endoteliali stimola il rilascio di ossido nitrico con conseguente vasodilatazione endotelio-dipendente. In realtà l’Ach non è un agonista endotelio-dipendente puro ma piusstosto è in grado di indurre una vasocostrizione dipendente dalle cellule muscolari lisce della parete vasale nei pazienti che hanno un’iper-reattività della muscolatura liscia15,16. L’ER invece agisce prevalentemente mediante l’attivazione dei recettori serotoninergici sulla superfice delle cellule muscolari lisce, inducendo una vasocostrizione endotelio-indipendente9,12.

I dati clinici in letteratura suggeriscono che i test provocativi intracoronarici siano relativamente sicuri. Le tachiaritmie ventricolari e le bradiaritmie sono le complicanze maggiormente descritte con una incidenza del 6.8% (3.2% di tachicardie ventricolari/fibrillazione ventricolare e 2.7% di bradiaritmie) nei pazienti con angina vasospastica sottoposti a test provocativi12,17. Da notare che è stato osservato un significativo maggior tasso di complicanze aritmiche con la somministrazione di ER rispetto all’Ach18. Va sottolineato inoltre che il tratto QT basale è significativamente maggiore nei pazienti che sviluppavano complicanze aritmiche durante il test con l’Ach, suggerendo quindi che la dispersione del QT basale possa essere un potenziale substrato aritmico durante vasospasmo indotto da Ach19. Anche l’insorgenza di fibrillazione atriale parossistica è stata descritta come possibile complicanza durante l’esecuzione di test provocativi intracoronarici (soprattutto se somministrati nella coronaria destra) ma comunque nella maggior parte dei casi è stata osservata una rapida cardioversione spontanea a ritmo sinusale20.

Le linee guida e i documenti di consenso forniscono differenti raccomandazioni riguardo alle indicazioni e ai protocolli di utilizzo dei test provocativi. Sia le linee guida della Japanese Circulation Society (JCS)21 che il consenso di esperti COVADIS (Coronary Vasomotor Disorders International Study Group)22,23 suggeriscono l’esecuzione di test provocativi con una classe di raccomandazione I in pazienti con sospetto clinico di angina vasospastica; diversamente le linee guida ESC raccomandano l’esecuzione di test provocativi con una classe di raccomandazione IIa per i pazienti con sindrome coronarica cronica in cui sia stata esclusa una coronaropatia e la storia clinica possa suggerire la presenza di angina vasospastica24.

Dal punto di vista pratico il protocollo maggiormente utilizzato nei laboratori di Emodinamica è quello proposto da Ong et al.25 nello studio CASPAR, che prevede la somministrazione di Ach all’interno della coronaria sinistra a dosi crescenti (20 µg, 50 µg, 100 µg ed infine 200 µg) (Figura 1) seguita dall’iniezione all’interno della coronaria destra di Ach alle dosi di 20, 50 e 80 µg. Le linee guida JCS suggeriscono di posizionare preventivamente un catetere elettrodo quando si effettua il test nella coronaria destra, visto il rischio maggiore di blocchi atrioventricolari21.




Il controllo angiografico viene effettuato in caso di alterazioni elettrocardiografiche del tratto ST e/o di dolore toracico, oppure da 1.5 min a 3 min dopo ogni dose somministrata.

Secondo i criteri COVADIS e le linee guida JCS un test provocativo viene considerato positivo per spasmo epicardico quando sono soddisfatti tutti i seguenti criteri: 1) dolore toracico tipico, 2) alterazioni elettrocardiografiche di tipo ischemico, 3) evidenza angiografica di spasmo di una coronaria epicardica che determini una riduzione del calibro del vaso >90%21,22 (Tabella 1, Figura 2).







Il test è considerato equivoco se lo stimolo provocativo elicita solo due dei precedenti criteri. Secondo i criteri COVADIS il test provocativo è diagnostico per spasmo microvascolare quando si sviluppa il dolore toracico tipico insieme ai cambiamenti ischemici elettrocardiografici in assenza di spasmo epicardico22. La soglia angiografica del 90% è stata suggerita sulla base dell’evidenza che il flusso coronarico a riposo risulta significativamente ridotto solo in presenza di una riduzione del calibro del vaso ≥90%.

L’identificazione di disturbi della vasomotilità coronarica nei MINOCA consente l’impostazione di una terapia farmacologica mirata, permettendo di migliorare la sintomatologia anginosa e la qualità di vita dei pazienti affetti. Per i pazienti con angina vasospastica il documento di consenso della Società Europea di Cardiologia Interventistica26 raccomanda la terapia con calcio-antagonisti come prima linea, essendosi dimostrata capace di migliorare i sintomi e ridurre gli eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE)27. I calcio-antagonisti non diidropiridinici sono da considerarsi la prima scelta, seguiti da quelli diidropiridinici28. I nitrati possono essere utilizzati per ridurre la frequenza di angina ma la loro efficacia sui MACE non è stata dimostrata29. Il nicorandil, un agente vasodilatatore che agisce sui canali del potassio, può essere utilizzato come un’alternativa efficace, ma il suo utilizzo è gravato da numerosi effetti collaterali come cefalea, palpitazioni, vertigini e disturbi gastrointestinali30. Un nuovo farmaco inibitore delle proteine Rho-chinasi, il fasudil, viene utilizzato efficacemente per il trattamento dell’angina vasospastica attualmente solo in Giappone e Cina31. I beta-bloccanti invece dovrebbero essere evitati in pazienti con spasmo epicardico documentato poiché potrebbero peggiorare lo spasmo attraverso il potenziamento dello stimolo alfa-adrenergico sulla circolazione coronarica.

LA DISFUNZIONE MICROVASCOLARE

All’interno del laboratorio di Emodinamica è possibile eseguire una valutazione completa della funzione del microcircolo coronarico, andando ad identificare alterazioni funzionali e strutturali capaci di determinare un danno ischemico in assenza di malattia coronarica epicardica significativa32. Il microcircolo coronarico è costituito dall’insieme delle pre-arteriole, arteriole e capillari; ha prevalentemente una funzione di regolazione delle resistenze vascolari, a differenza delle arterie epicardiche, che invece hanno una prevalente funzione di conduttanza33. Essendo l’estrazione miocardica di ossigeno a riposo già massimale, una conservata funzione di regolazione delle resistenze vascolari da parte del microcircolo coronarico svolge un ruolo fondamentale.

Dal punto di vista fisiopatologico, la disfunzione del microcircolo (CMD) è riconducibile a due meccanismi principali: un meccanismo funzionale e uno strutturale33. Quello funzionale è caratterizzato da una ridotta risposta vasodilatatoria o un’eccessiva vasocostrizione del microcircolo, e a sua volta può essere ricondotto ad un meccanismo endotetelio-dipendente (con alterazione del pathway dell’ossido nitrico) e uno endotelio-indipendente (alla cui base vi è un’eccessiva sensibilità delle cellule muscolari lisce vascolari a sostanze come l’endotelina e all’iperreattività del sistema nervoso simpatico). Il meccanismo strutturale è caratterizzato da alterazioni istopatologiche come il rimodellamento della parete vascolare con fenomeni di fibrosi perivascolare, rarefazione dei capillari e fenomeni di compressione ab estrinseco generati ad esempio da malattie da accumulo e ipertrofia miocardica34.

I due parametri maggiormente utilizzati e validati all’interno del laboratorio di emodinamica per la valutazione della disfunzione del microcircolo sono la riserva di flusso coronarico (CFR) e l’indice di resistenza microvascolare (IMR)35. La CFR è il rapporto tra il flusso coronarico durante iperemia massimale e in condizioni di riposo. Può essere calcolata con il metodo della termodiluizione o il metodo Doppler. In entrambi i casi si ottiene un’iperemia massimale mediante la somministrazione di adenosina per via endovenosa al dosaggio di 140 µg/kg/min o in alternativa con un bolo intracoronarico di 200 µg36. Il metodo della termodiluizione prevede l’utilizzo di una guida con un sensore di pressione e temperatura posizionata distalmente lungo di solito l’arteria coronarica discendente anteriore. Dopo aver eseguito l’iniezione intracoronarica di almeno tre boli consecutivi di soluzione salina a temperatura ambiente, si calcola il tempo necessario alla soluzione di andare dal catetere al sensore distale di temperatura posto sulla punta della guida, che viene chiamato tempo di transito medio (Tmn). La CFR è calcolata dividendo il Tmn a riposo con il Tmn durante iperemia. Valori <2 sono indice di disfunzione microvascolare.

Il metodo Doppler invece prevede l’utilizzo di una guida con una punta capace di misurare la velocità di flusso coronarico (CFV). Il rapporto tra CFV in iperemia e quella a riposo ci consente di calcolare la CFR; in questo caso il cut-off utilizzato è <2.5. Il metodo della termodiluizione è tecinicamente più semplice nella sua esecuzione ma possiede una maggiore variabilità interoperatore26 (Tabella 1).

L’IMR invece è misurato mediante il metodo della termodiluizione con bolo salino, ed è calcolato come il tempo di transito medio moltiplicato per la pressione coronarica distale26. Un valore >25 indica un aumento delle resistenze vascolari con CMD (Tabella 1). Quando comparato con la CFR, è meno dipendente dalle condizioni emodinamiche e può fornire quindi una valutazione più riproducibile della disfunzione microvascolare (Figura 3).




Lo studio della funzione del microcircolo è stato ben validato soprattutto nell’ambito dei pazienti con angina e/o ischemia senza malattia coronarica epicardica significativa33. Gli studi nei pazienti acuti con MINOCA sono più limitati. Un recente studio ha valutato l’impatto prognostico dell’IMR angiografico (Ca-IMR, parametro derivato dall’analisi angiografica senza l’utilizzo di una guida di pressione) nei pazienti con MINOCA: un valore elevato di Ca-IMR (>43 U) è risultato essere un forte predittivo indipendente di eventi avversi e un importante strumento per la stratificazione del rischio nei pazienti con MINOCA37.

IMAGING INTRACORONARICO (ECOGRAFIA INTRAVASCOLARE E TOMOGRAFIA A COERENZA OTTICA)

L’utilizzo dell’imaging intracoronarico consente di identificare quelle alterazioni patologiche causanti MINOCA non visibili alla sola angiografia come la rottura e l’erosione di placca, la dissezione coronarica e il tromboembolismo coronarico38. L’angiografia coronarica consente spesso di sospettare questo tipo di eventi, ad esempio il riscontro di un’area di “haziness”, ossia una zona di sfumata radiopacità, o di piccoli difetti di riempimento intracoronarici. Le metodiche di diagnostica di imaging come l’ecografia intravascolare (IVUS) e la tomografia a coerenza ottica (OCT) consentono di caratterizzare questo tipo di lesioni39. L’OCT ha un più alto potere di risoluzione e maggiore capacità di discernere in maniera più precisa la composizione della placca coronarica40. Consente infatti di individuare alcuni meccanismi di instabilità di placca coronarica come la rottura di placca, l’erosione e i noduli calcifici. Questi tre processi possono innescare la formazione di un trombo portando ad infarto miocardico acuto attraverso l’embolizzazione distale, inducendo uno spasmo coronarico o in alcuni casi con una trombosi transitoria e successiva fibrinolisi spontanea40.

All’OCT la rottura di placca è definita dalla presenza di una discontinuità del cappuccio fibroso associata alla presenza di una cavità all’interno di una placca generalmente ricca di lipidi, spesso visibile nel lume del vaso materiale trombotico (Figura 4).




 Essa è responsabile di circa il 60% dei casi di sindrome coronarica acuta41 ed in due studi ne è stata documentata una prevalenza di circa il 40% nell’infarto miocardico a coronarie indenni42,43. Spesso nei pazienti con MINOCA è stata riscontrata la presenza di una cavità intraplacca (ulcerazione) senza evidenza di trombosi (Figura 4); probabilmente questi sono i casi in cui vi è stata una fibrinolisi efficace o vi è stata un’embolizzazione distale nel microcircolo44.

L’erosione di placca invece viene diagnosticata all’OCT attraverso dei criteri di esclusione rispetto alla rottura; spesso si osserva la presenza di “trombo bianco” (caratterizzato da materiale trombotico con bassa attenuazione ai raggi infrarossi dell’OCT) in assenza di discontinuità o rotture visibili del capuccio fibroso, ma con a volte visibili delle irregolarità della superfice luminale della placca44,45 (Figura 4). In pazienti con MINOCA la presenza di trombosi senza ulcerazione di placca è stata riscontrata nel 30% dei casi nello studio di Gerbaud et al.46 e nel 50% dei casi nello studio di Opolski et al.47.

I noduli calcifici sono una causa infrequente di sindrome coronarica acuta (circa il 6%) e anche di MINOCA. Infatti un solo studio ha osservato essi siano una potenziale causa di MINOCA48.

Le linee guida sulla gestione terapeutica di questo tipo di eventi acuti di placca ci raccomandano di trattarli al pari delle sindromi coronariche acute, mediante una duplice antiaggreggazione piastrinica per 1 anno e l’utilizzo delle statine. Non è noto in questi casi il beneficio dell’impianto di stent coronarici49.

Un’altra causa di MINOCA che è possibile identificare mediante le metodiche di imaging intracoronarico è la dissezione coronarica spontanea (SCAD)50. È caratterizzata dalla presenza di un falso lume all’interno della parete coronarica che può restringere il vero lume e causare ischemia. Due meccanismi sono stati proposti per la sua formazione: un flap intimale che permette la successiva formazione di un ematoma intramurale oppure un’iniziale emorragia dei vasa vasorum che provoca la formazione di un ematoma di parete senza discontinuità endoteliale. Angiograficamente le SCAD vengono classificate in quattro categorie: Tipo 1 con la tipica immagine a doppio binario; Tipo 2 con un lungo restringimento del lume vasale <20 mm ed è il pattern maggiormente riscontrato; Tipo 3 caratterizzato da un restringimento focale del lume; e Tipo 4 in cui vi è un’occlusione totale del vaso. I tipi 2 e 3 sono quelli più difficili da differenziare con lesioni aterosclerotiche alla sola angiografia, dove invece l’utilizzo dell’IVUS o dell’OCT permettono di fare diagnosi differenziale50,51. L’OCT permette di visualizzare l’eventuale sito di rottura endoteliale (il cosiddetto “intimal tear”) e il conseguente flap intimale, e la precisa distribuzione ed estensione del vero e del falso lume (l’ematoma intramurale)46,52. La visualizzazione del flap intimale permette di confermare la diagnosi di SCAD ma non sempre è presente. In questi pazienti rispetto all’OCT, l’IVUS ha due vantaggi principali: ha maggior potere di penetrazione, mostrando quindi l’interezza dell’ematoma intramurale, e l’assenza di necessità di utilizzo di mezzo di contrasto. Quest’ultimo infatti può propagare la dissezione con il rischio di chiusura del lume vasale53,54. Nonostante ciò con l’IVUS si perde potere di risoluzione con quindi minore risoluzione anatomica. Infatti permette di visualizzare il falso lume ma è possibile distinguere il flap intimale.

Le evidenze attuali sul trattamento della SCAD indicano che la migliore strategia è quella conservativa, riservando gli interventi di rivascolarizzazione in caso principalmente di instabilità emodinamica o elettrica e di angor persistente54,55.

CONCLUSIONI

Come abbiamo osservato, un work-up diagnostico invasivo approfondito è essenziale per ricercare le cause e i meccanismi ischemici sottostanti nei pazienti con infarto miocardico a coronarie normali, consentendo l’impostazione della terapia più idonea (Figura 5).




Ulteriori informazioni arriveranno dallo studio PROMISE (PROgnostic value of precision medicine in patients with Myocardial Infarction and non-obStructive coronary artEries, NCT05122780)56. L’obiettivo di questo trial clinico è infatti quello di definire l’algoritmo terapeutico dei pazienti con MINOCA e di testare il valore prognostico di una terapia di precisione basata sui precisi meccanismi patogenetici. I pazienti vengono randomizzati 1:1 ad un approccio “precision medicine” (che comprende un work-up diagnostico invasivo e non invasivo completo e una conseguente terapia target in base al meccanismo sottostante) oppure ad un approccio standard (che consiste nella terapia standard per l’infarto miocardico senza un completo approfondimento diagnostico).

Diventa necessario quindi sensibilizzare i cardiologi interventisti ad eseguire sempre questo tipo di percorso diagnostico all’interno del proprio laboratorio di Emodinamica. Comprendere i meccanismi eziopatogenetici ci consentirà di sviluppare farmaci specifici che agiscono sulle vie molecolari coinvolte nella genesi della malattia.

RIASSUNTO

L’infarto miocardico in assenza di coronaropatia ostruttiva (MINOCA) rappresenta circa il 5-8% dei pazienti con infarto del miocardio. Inizialmente era ritenuta una condizione clinica benigna, ma le evidenze provenienti dall’emergente letteratura scientifica suggeriscono che il MINOCA possa impattare negativamente sulla qualità di vita e la prognosi del paziente. Pertanto, è di fondamentale importanza identificare lo specifico meccanismo fisiopatologico alla base di questa condizione clinica al fine di impostare una terapia mirata. L’angiografia coronarica è il test diagnostico obbligatorio per escludere una malattia coronarica ostruttiva, ma ha una capacità limitata nell’identificare altre potenziali eziologie funzionali e strutturali del MINOCA. Lo scopo di questa rassegna è quello di fornire una panoramica del percorso diagnostico invasivo dei pazienti con MINOCA, evidenziando gli strumenti diagnostici, oltre all’angiografia coronarica, disponibili all’interno del laboratorio di emodinamica (test di provocazione intracoronarica, imaging intracoronarico e indici per la valutazione della disfunzione microvascolare coronarica) e le lacune ancora rimaste in questo campo.

Parole chiave. MINOCA; Spasmo coronarico; Tomografia a coerenza ottica.

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