Definizione, classificazione e diagnosi di infarto miocardico in assenza di coronaropatia ostruttiva:
a che punto siamo?

Angelo Silverio1, Filippo Zilio2, Giuseppe Ciliberti3, Pasquale Paolisso4, Emanuele Barbato5

1Dipartimento di Medicina, Chirurgia ed Odontoiatria, Università degli Studi di Salerno, Baronissi (SA)

2U.O. Cardiologia, Ospedale Santa Chiara, APSS Trento

3Clinica di Cardiologia e Aritmologia, AOU Ospedali Riuniti Umberto I-Lancisi-Salesi, Ancona

4Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli

5Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Sapienza Università di Roma, Roma

The systematic use of coronary angiography and the availability of increasingly sensitive biomarkers of myocardial cytolysis have determined an increase in the diagnosis of myocardial infarction with non-obstructed coronary arteries (MINOCA), which is currently reported in 5-20% of patients with acute myocardial infarction. The first diagnostic criteria of MINOCA were reported by a position paper of the European Society of Cardiology in 2017; since then, these criteria have been revised several times until the current version. The diagnosis of MINOCA requires not only the presence of myocardial damage, indicated by the detection of a rise or fall in cardiac troponin with at least one value above the 99th percentile upper reference limit, but also the clinical evidence of acute myocardial infarction as shown by symptoms, ECG, or imaging. This definition resulted in the exclusion from the umbrella group of MINOCA of certain conditions, such as takotsubo syndrome and myocarditis, that do not have a clear ischemic etiology. The term MINOCA encompasses heterogeneous conditions from a pathophysiological, clinical and therapeutic perspective. For this reason, MINOCA should be used to identify a “working diagnosis”, which is the first step of a diagnostic work-up aimed at clarifying the mechanisms and identifying the most appropriate therapy for the individual patient. The aim of this review is to describe the state of the art regarding the definition, classification, and diagnosis of MINOCA, providing an excursus on the principal documents proposed by scientific societies or experts in the field in recent years.

Key words. Cardiac magnetic resonance; Coronary angiography; Intravascular imaging; MINOCA; Myocardial infarction; Myocarditis; Takotsubo syndrome.

INTRODUZIONE

Nel 2021, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha individuato nella cardiopatia ischemica la prima causa di morte nel mondo, essendo responsabile del 16% del totale dei decessi1.

L’osservazione che l’occlusione coronarica abbia un ruolo fondamentale nella fisiopatologia dell’infarto miocardico acuto (IMA) è stata già ipotizzata agli inizi del secolo scorso2. Negli anni ’80 è stata dimostrata un’elevata prevalenza di ostruzione vasale con significativa riduzione del flusso coronarico nei pazienti con IMA sottoposti a coronarografia entro le prime ore dall’insorgenza dei sintomi3. Tuttavia, già in questi studi pioneristici emergeva che in corso di IMA era possibile riscontrare vasi coronarici con un flusso preservato e/o assenza di ostruzioni significative, al punto tale che spesso questi pazienti con un’iniziale diagnosi di IMA venivano successivamente considerati come dei “falsi positivi”2-4.

In un editoriale del 2013 il cardiologo australiano John Beltrame utilizzò per la prima volta il termine “MINOCA” (myocardial infarction with non-obstructed coronary arteries) per indicare questa condizione particolare ed apparentemente poco frequente5. Nell’ultimo decennio, tuttavia, l’utilizzo sistematico della coronarografia e la disponibilità di biomarcatori di necrosi miocardica sempre più sensibili (troponine cardiache ad alta sensibilità) hanno consentito di riconoscere la diagnosi di MINOCA in una percentuale assolutamente non trascurabile di pazienti con IMA, variabile nei vari studi dal 5% al 20% dei casi6.

La comunità scientifica internazionale ha compreso con un certo ritardo la necessità di riconoscere e definire questa entità nosologica. Infatti, bisogna aspettare il 2017 per la pubblicazione della prima definizione internazionale di MINOCA proposta attraverso un position paper della Società Europea di Cardiologia (ESC)7. Tale definizione è stata successivamente rivista per arrivare a quella attuale e più ampiamente condivisa.

Lo scopo di questa rassegna è quello di descrivere lo stato dell’arte in tema di definizione, classificazione e diagnosi di MINOCA fornendo un excursus sui principali documenti proposti dalle società scientifiche o dagli esperti del settore negli ultimi anni. La definizione attuale di MINOCA include condizioni molto eterogenee sul piano fisiopatologico e riconosce la natura “dinamica” del percorso diagnostico. Saranno quindi descritti i principali meccanismi alla base dei MINOCA e sarà proposto un algoritmo operativo per guidare il cardiologo, sia clinico che interventista, fino alla diagnosi definitiva.

CENNI DI EPIDEMIOLOGIA E PROGNOSI

Nonostante inizialmente il MINOCA fosse considerato una condizione rara e “benigna” rispetto all’IMA di tipo ostruttivo, negli ultimi anni diversi gruppi di ricerca hanno rivalutato il reale impatto epidemiologico e prognostico di questa condizione.

Una metanalisi che ha incluso 28 studi, pubblicati dal 1995 al 2013, ha riportato una prevalenza complessiva del 6%8. Tale risultato, però, era gravato da un elevato grado di eterogeneità come conseguenza delle diverse caratteristiche degli studi inclusi in termini di: a) percentuale di pazienti sottoposti a studio coronarografico, b) test utilizzato per la misurazione della troponina cardiaca e, soprattutto, c) applicazione più o meno stringente del terzo criterio diagnostico di MINOCA che riguarda l’esclusione di altre cause non ischemiche responsabili dell’aumento della troponina cardiaca8-10.

In un recente studio multicentrico condotto in pazienti giovani (di età compresa tra 18 e 55 anni), i MINOCA hanno mostrato una prevalenza dell’11%11. Rispetto all’IMA ostruttivo, i MINOCA presentano alcune caratteristiche epidemiologiche peculiari. I soggetti sono di solito più giovani, più frequentemente di sesso femminile, con minor numero di fattori di rischio cardiovascolare e di malattie concomitanti, ad eccezione dell’ipertensione arteriosa che sembra essere ugualmente presente nei pazienti con MINOCA ed IMA ostruttivo6. Deve essere tuttavia notato come le caratteristiche complessive dei pazienti affetti da MINOCA risentano delle diverse distribuzioni di genere, età e prognosi delle possibili eziologie specifiche12.

Nonostante lo scetticismo e l’indifferenza iniziali, studi dedicati a questa specifica popolazione di pazienti e con follow-up a lungo termine hanno dimostrato che la prognosi dei pazienti con MINOCA non è affatto “benigna”, essendo associata ad un elevato rischio di morte e di eventi cardiovascolari maggiori10,13,14. Nel registro SWEDHEART l’incidenza di un nuovo infarto, di un nuovo ictus o di nuove ospedalizzazioni per scompenso cardiaco è stata rispettivamente del 7.1%, 4.3% e 6.4% ad un follow-up medio di 4 anni; la mortalità è risultata pari al 13.4%15. I fattori predittivi di mortalità sono risultati simili a quelli tradizionali (età, diabete mellito, insufficienza renale, valori della troponina, vasculopatia periferica), la presentazione ECG con sopraslivellamento del tratto ST e l’esordio clinico con scompenso cardiaco o shock cardiogeno16,17. Inoltre, anche la qualità di vita e la capacità di esercizio sembrerebbero essere ridotte nei pazienti con MINOCA rispetto alla popolazione generale18.

PERCHÉ UTILIZZARE IL TERMINE MINOCA NELLA PRATICA CLINICA

L’IMA presenta un percorso diagnostico e terapeutico ben codificato dalle attuali linee guida che si fonda su due capisaldi: a) l’esecuzione della coronarografia e l’eventuale rivascolarizzazione coronarica; b) la terapia farmacologica, che comprende farmaci antiaggreganti, inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone, beta-bloccanti ed ipolipidemizzanti19,20.

A differenza dell’IMA ostruttivo, il MINOCA è causato da meccanismi molto eterogenei, il cui riconoscimento potrebbe modificare la gestione clinica ed il trattamento di questi pazienti. Per tale motivo, appare fondamentale non solo fare diagnosi di MINOCA ma anche chiarire lo specifico meccanismo fisiopatologico alla base dell’evento ischemico nel singolo paziente21. Come vedremo nei prossimi paragrafi, il termine MINOCA deve essere utilizzato per identificare una diagnosi provvisoria (“working diagnosis”), non come diagnosi definitiva di dimissione, come l’inizio di un percorso diagnostico volto a chiarirne i meccanismi ed identificare la terapia più appropriata al singolo paziente.

È altresì vero che non sempre è possibile giungere all’identificazione di una causa eziologica certa. Questo è in parte legato alla non uniforme disponibilità di alcuni strumenti fondamentali per l’iter diagnostico quali indagini invasive da eseguire in sala di emodinamica (imaging intravascolare, test all’acetilcolina, ecc.) e la risonanza magnetica (RM) cardiaca.

Tutto questo si traduce in un trattamento intraospedaliero spesso “empirico” ed in strategie di prevenzione secondaria non sempre ottimali. Solo arrivando ad un corretto inquadramento diagnostico, con il chiarimento dello specifico meccanismo fisiopatologico sottostante, si può impostare una gestione clinica e terapeutica razionale che mira a migliorare la prognosi del paziente.

DEFINIZIONE DI MINOCA

Negli ultimi anni, il termine MINOCA è entrato di diritto nelle linee guida periodicamente redatte dalle principali società scientifiche cardiologiche internazionali, fornendo ulteriore impeto alla ricerca clinica e di base nel campo della cardiopatia ischemica (Figura 1).




Nel 2017, un position paper dell’ESC identificava per la prima volta dei criteri standardizzati per la diagnosi di MINOCA7:

1) IMA definito secondo la terza definizione universale;

2) arterie coronarie epicardiche esenti da lesioni angiografiche >50% del diametro del vaso;

3) assenza di altre cause specifiche clinicamente evidenti che possano giustificare il quadro clinico.

Tuttavia, tali criteri diagnostici ammettevano la presenza di miocardite e sindrome takotsubo (TTS) come delle possibili cause di MINOCA, pur essendo queste ultime delle condizioni differenti sotto il profilo clinico, terapeutico e prognostico22.

Nel 2018, con la quarta definizione universale di infarto miocardico, si è sottolineato il concetto che l’IMA, e quindi anche il MINOCA, può essere diagnosticato solo in presenza di evidenza clinica, ECG e/o imaging di ischemia miocardica, al fine di distinguere tali condizioni da altre cause di danno miocardico non ischemico, come la miocardite o la TTS23.

La Tabella 1 riassume i criteri diagnostici di MINOCA secondo la quarta definizione universale di infarto miocardico, successivamente confermati dall’ultima edizione delle linee guida ESC sulle sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento persistente del tratto ST19.




Danno miocardico acuto e infarto miocardico

La diagnosi di MINOCA presuppone la valutazione dell’anatomia coronarica e l’esclusione di coronaropatia ostruttiva23. Tuttavia nelle prime fasi della gestione di tali pazienti, ovvero prima della coronarografia, è necessario escludere la presenza di danno miocardico acuto non ischemico tramite l’anamnesi, l’esame clinico, l’ECG, l’ecocardiogramma ed eventualmente altri esami come l’angio-tomografia computerizzata.

Nella quarta definizione universale di infarto miocardico si è standardizzato ulteriormente tale concetto, definendo il danno miocardico acuto non ischemico come un aumento o diminuzione della troponina cardiaca con almeno un valore superiore al 99° percentile del valore limite di riferimento, in assenza di segni clinici, ECG o morfologici indicativi di ischemia miocardica23.

In assenza di coronaropatia ostruttiva, la differenza fondamentale tra MINOCA e danno miocardico acuto non ischemico è data dunque dall’assenza di ischemia miocardica. Infatti tra le cause più comuni di danno miocardico acuto vanno considerate condizioni cardiovascolari quali lo scompenso cardiaco acuto, le tachi- o bradiaritmie, l’embolia polmonare così come condizioni extracardiache quali insufficienza renale, insufficienza respiratoria, anemia, ipotensione e/o shock. Nei pazienti con chiara evidenza di tali quadri clinici e con bassa probabilità di coronaropatia aterosclerotica ostruttiva e/o instabile, la gestione clinica si basa innanzitutto sul trattamento della patologia di base, evitando o rimandando ad un momento successivo l’eventuale valutazione dell’anatomia coronarica secondo il giudizio clinico24.

Malattia coronarica ostruttiva e non ostruttiva

Sebbene l’aterosclerosi rappresenti la prima causa di IMA con coronaropatia ostruttiva (infarto di tipo 1), non è ben chiaro se questo valga anche per il MINOCA23. Tra le principali cause non aterosclerotiche di IMA vanno sicuramente annoverate il vasospasmo coronarico, la dissezione spontanea e l’ischemia secondaria a discrepanza tra richiesta e apporto di ossigeno (IMA di tipo 2).

Come per l’IMA ostruttivo, anche per il MINOCA è fondamentale differenziare le forme di tipo 1 da quelle di tipo 2, in quanto caratterizzate da meccanismi fisiopatologici e conseguente trattamento molto diversi tra loro24. Tuttavia, nella pratica clinica non è sempre possibile giungere ad una diagnosi di certezza, sia per motivi legati alla disponibilità di esami di secondo livello (es. RM cardiaca, imaging intracoronarico e test provocativi per il vasospasmo) sia perché nel 10-20% dei casi non si riesce comunque a ottenere una diagnosi definita. Secondo le più recenti linee guida ESC questi pazienti con una diagnosi finale di MINOCA “idiopatico” potrebbero essere comunque trattati con misure di prevenzione secondaria allo stesso modo dei pazienti con coronaropatia aterosclerotica ostruttiva (classe IIb, livello di evidenza C), secondo il giudizio clinico del bilancio rischio/beneficio che questo tipo di terapie comporta.19

DISTINGUERE I MINOCA DA FORME DI DANNO MIOCARDICO ACUTO AD EZIOLOGIA NON ISCHEMICA

Come già anticipato, a volte può essere difficile escludere condizioni con presentazione clinica simile a quella dei MINOCA (cosiddetti “mimickers”). Questo è particolarmente vero per la TTS e la miocardite. Anche se livelli elevati di troponina sono indicativi di un danno miocardico con conseguente rilascio di questa proteina intracellulare nel circolo sistemico, tale fenomeno non è specifico dell’IMA e può essere ricondotto a fenomeni sia di natura ischemica che non ischemica. Infatti, in un recente documento dell’American Heart Association, Tamis-Holland et al.21 hanno confermato la posizione della quarta definizione universale di infarto miocardico che riservava l’utilizzo del termine MINOCA per i pazienti nei quali è possibile riconoscere un’eziologia ischemica. Questa definizione esclude chiaramente la miocardite e, per consenso, esclude anche la TTS, condizioni incluse invece tra i MINOCA nel position paper ESC del 20177.

Sebbene la TTS abbia una presentazione clinica simile ad un IMA, presenta caratteristiche peculiari sotto il profilo sia fisiopatologico che clinico e non può essere assimilata alle altre patologie ad eziologia ischemica incluse nella definizione di MINOCA23,25,26. I criteri diagnostici per la TTS includono la presenza di anomalie transitorie della cinetica segmentaria del ventricolo sinistro per cui, nelle fasi iniziali, la “working diagnosis” della TTS potrebbe essere quella di MINOCA. I casi tipici di TTS possono essere identificati integrando la valutazione clinica (trigger fisico/emotivo, presentazione clinica), ECG e coronarografica, con la ventricolografia, un’indagine fortemente suggerita in pazienti con “working diagnosis” di MINOCA. Tuttavia, per la diagnosi di casi meno chiari, come forme atipiche di TTS o miocardite, la RM cardiaca rappresenta un’indagine fondamentale che andrebbe effettuata di routine21. La prevalenza di TTS e miocardite nei pazienti con una “working diagnosis” di MINOCA sottoposti a RM cardiaca varia ampiamente in letteratura, tra il 2-27% ed il 7-63%, rispettivamente8,27-32. Tale variabilità è condizionata dalle caratteristiche della popolazione presa in esame, dalla tempistica dell’esame RM, dalla tecnica RM e dai criteri diagnostici utilizzati.

La valutazione del late gadolinium enhancement (LGE) alla RM cardiaca permette di valutare la localizzazione e le dimensioni dell’area dell’infarto nei pazienti con MINOCA. Tuttavia, in una quota sostanziale di pazienti che soddisfano i criteri diagnostici per MINOCA, ed in cui sono state escluse diagnosi alternative, non è possibile dimostrare un’area di infarto localizzato mediante LGE27-32. Infatti, le sequenze RM attualmente in uso nella gran parte dei laboratori consentono di rilevare il LGE solo in presenza di almeno 0.2 g di miocardio infartuato33. Tuttavia, la quantità di miocardio infartuato necessaria a determinare incrementi piccoli ma significativi della concentrazione di troponina ad alta sensibilità è di molto inferiore a 0.2 g34, il che potrebbe spiegare perché molti pazienti con MINOCA non mostrano aree di infarto alla RM cardiaca.

Pertanto, l’assenza di necrosi miocardica indicata della presenza del LGE non esclude necessariamente la diagnosi di MINOCA a favore di diagnosi alternative quali la TTS. D’altra parte, la possibilità che vi siano meccanismi alternativi per spiegare l’elevazione della troponina diversi dalla necrosi ischemica in questi pazienti non può essere esclusa.

IDENTIFICARE IL MECCANISMO FISIOPATOLOGICO

Sebbene le cause di IMA possono essere molteplici, il meccanismo fisiopatologico più comune è rappresentato da una complicanza (erosione, rottura, fissurazione) della placca aterosclerotica con conseguente formazione di un trombo intracoronarico (aterotrombosi)23. Nel caso dei MINOCA, è possibile riconoscere diversi meccanismi che possono essere ricondotti all’IMA di tipo 1 o di tipo 2 (Tabella 2).




Nell’IMA di tipo 1 rientra il meccanismo aterotrombotico che, nel caso dei MINOCA, è per definizione non ostruttivo23. In questo gruppo vengono considerati: la rottura di placca, l’erosione di placca e, più raramente, i noduli calcifici. Queste condizioni, che complessivamente potrebbero rappresentare fino ai due terzi dei casi, possono sfuggire alla valutazione mediante sola angiografia35. Ciò avviene, in particolare, quando ad una placca aterosclerotica di entità lieve-moderata si associa una trombosi fugace, che si risolve spontaneamente oppure embolizza distalmente interferendo con la perfusione miocardica a livello dei vasi di minor calibro. In questi casi può essere necessario l’impiego dell’imaging intracoronarico (possibilmente con tomografia a coerenza ottica [OCT]) per comprendere la dinamica dell’evento21,36.

Ancor più complesso può essere il riconoscimento dei meccanismi che determinano un IMA di tipo 223. Questo può avvenire in presenza di aterosclerosi oppure per ridotto apporto di ossigeno in conseguenza di meccanismi differenti di alterazioni della parete del vaso coronarico quali il vasospasmo (su vaso sano o su placca) e la dissezione coronarica spontanea. Queste condizioni possono presentarsi con diversi aspetti ed in forma dinamica e facilmente sfuggire all’angiografia, soprattutto quando sono coinvolti vasi di minor calibro37,38.

Un ridotto apporto di ossigeno può essere conseguente ad una trombosi (in condizioni protrombotiche quali neoplasie o sindrome da anticorpi antifosfolipidi) o un’embolia (in corso di fibrillazione atriale, in presenza di trombosi ventricolare, o paradossa in presenza di pervietà del forame ovale) che si sviluppano anche in assenza di placca8,39,40.

Uno spazio a sé stante merita la patologia del microcircolo, la cui inclusione nel gruppo dei MINOCA è dibattuta dal momento che la grande maggioranza della letteratura è derivata da pazienti stabili con ischemia inducibile41. Un piccolo studio, tuttavia, raccogliendo dati di RM cardiaca e di imaging intravascolare, ha individuato nella disfunzione del microcircolo una possibile causa anche di MINOCA42.

Infine, rientrano tra i casi di IMA di tipo 2 tutte quelle condizioni che determinano uno squilibrio acuto tra disponibilità e richiesta di ossigeno in assenza di alcun tipo di ostacolo al flusso coronarico: è il caso, ad esempio, delle bradi- o tachiaritmie. Queste condizioni rientrano nella definizione di MINOCA solo se rispettano i dettami della quarta definizione universale di infarto miocardico: il mancato riconoscimento della condizione sottostante, infatti, può innescare la confusione con quello che è il danno miocardico in assenza di infarto23.

In conclusione, non esiste un unico meccanismo fisiopatologico alla base dei MINOCA ed in alcuni casi esso non viene comunque identificato. Le diverse condizioni che esitano in questo quadro clinico sono accumunate dalla dinamicità dei processi con una conseguente difficoltà diagnostica che può essere superata solamente integrando i riscontri ottenuti tra diverse metodiche, invasive e non invasive7.

ALGORITMO DIAGNOSTICO DEI MINOCA:
DALLA “WORKING DIAGNOSIS” ALLA MEDICINA DI PRECISIONE

Anche in considerazione della difficoltà definitoria, il percorso diagnostico del MINOCA non è attualmente standardizzato. Tamis-Holland et al.21 propongono un approccio diagnostico tipo “traffic-light” in cui il primo step prevede che vengano soddisfatti i criteri dell’IMA e che vengano escluse condizioni cardiache e non cardiache in cui l’incremento della troponina non rientra tra i meccanismi ischemici: solo dopo questo primo step, inizia la “working diagnosis” di MINOCA19. Se da una parte la necessità dell’integrazione di differenti metodiche è un concetto ormai solido, l’ottimizzazione del percorso al fine di conseguire una diagnosi quanto più precisa e tempestiva è ancora oggetto di discussione, anche in considerazione del fatto che non tutti i centri hanno a disposizione tutti gli strumenti diagnostici raccomandati e l’esperienza nel loro utilizzo21,43,44.

Lo scopo di un algoritmo unificante, basato su due (o eventualmente tre) tempi diagnostici (il primo nel laboratorio di Emodinamica, il secondo legato alla RM cardiaca, il terzo nuovamente invasivo solo nei pazienti “sfuggiti” al primo passaggio e previa rivalutazione di rischi e benefici), è quello di rendere più fluido il percorso del paziente, consentendo di arrivare alla diagnosi e, conseguentemente, alla terapia adeguata, ottimizzando le risorse e limitando i rischi e i disagi per il paziente (Figura 2).




La coronarografia è ovviamente il primo esame cardine (step 1). Questo esame viene naturalmente eseguito in pazienti con IMA, ovvero dolore toracico ed elevazione degli indici di miocardiocitolisi (in primis, la troponina ad alta sensibilità), in presenza o meno di alterazioni ECG. Queste ultime dettano la tempistica di questo esame e la correlazione temporale con altri accertamenti routinariamente eseguiti in questo tipo di paziente, ovvero gli esami di laboratorio, la radiografia del torace, l’ecocardiogramma. Il paziente con sopraslivellamento del tratto ST deve essere condotto prioritariamente in sala di emodinamica, anche in assenza degli altri esami citati; nel paziente senza sopraslivellamento del tratto ST, invece, generalmente gli altri dati sono già disponibili al momento dell’esecuzione della coronarografia. Questo è determinante nel caso in cui l’esame angiografico evidenzi l’assenza di stenosi coronariche ≥50%. Infatti, avere a disposizione il maggior numero di informazioni possibile può consentire di integrare gli elementi ed identificare eventuali patologie concomitanti che possono aiutare a spiegare il quadro clinico (es. sepsi, embolia polmonare, anemizzazione, ecc.). Bisogna però sottolineare che la presenza di stenosi ≥50% non esclude la coesistenza di un quadro di MINOCA: la discordanza tra sede della lesione e le aree di asinergia segmentaria all’ecocardiogramma può suggerire una coronaropatia “bystander” o un quadro clinico di differente natura (es. TTS o miocardite).

L’assenza di stenosi coronariche ≥50% in un contesto clinico pertinente con l’IMA, previa esclusione di diagnosi alternative evidenti, conduce alla diagnosi provvisoria (“working diagnosis”) di MINOCA.

La contestuale esecuzione della ventricolografia (step 2) consente di identificare i casi tipici di TTS, caratterizzati da un’estesa area di acinesia che coinvolge i segmenti medi ed apicali del ventricolo sinistro associata ad ipercontrattilità dei segmenti basali45-47. Nei casi dubbi, la RM cardiaca può essere utile nella diagnosi differenziale tra MINOCA, TTS e miocardite.

Prima della conclusione dello studio emodinamico, il terzo step diagnostico prevede la rivalutazione critica delle immagini ottenute. L’assenza di almeno una lesione coerente per sede con ECG ed ecocardiogramma può sancire la conclusione dell’esame, con uscita del paziente dal laboratorio di Emodinamica e suo avvio all’esecuzione di RM cardiaca (possibilmente entro il ricovero o comunque entro 2-3 settimane, al fine di riconoscere la presenza di edema miocardico). La presenza di una lesione coerente con la sede dell’infarto, sia pure di piccole dimensioni, conduce allo step 4 dell’algoritmo diagnostico, ovvero l’imaging intracoronarico mirato, preferibilmente con OCT (in considerazione della maggiore risoluzione e capacità di caratterizzazione tissutale) o con ecografia intravascolare (IVUS)48. Questo passaggio potrebbe essere evitato nel caso in cui l’aspetto della lesione (presenza di rima radiotrasparente al contrasto, lesione “liscia” e isolata, o lesione “a coda di topo” di un vaso distale), o anche le sole caratteristiche del paziente (sesso femminile in età pre- o perimenopausale, assenza di fattori di rischio cardiovascolare, gravidanza o puerperio), orientino verso una diagnosi di dissezione coronarica spontanea. Nel caso specifico di sospetta dissezione coronarica spontanea, la tomografia computerizzata coronarica può confermare la diagnosi in modo efficace e non invasivo, soprattutto quando sono coinvolti i segmenti coronarici prossimali.

Mentre l’IVUS consente di evidenziare la presenza e l’entità di una placca aterosclerotica, fornendo poche informazioni sulla sua composizione, l’OCT permette di identificare alcuni elementi tipici delle placche “instabili”, ovvero segni di rottura o erosione o presenza di noduli calcifici superficiali48. L’imaging intravascolare consente anche di evidenziare dissezioni coronariche misconosciute all’angiografia o immagini di trombosi in assenza di placca, quadro quest’ultimo che condurrebbe alla necessità di esclusione di condizioni protrombotiche mediante screening coagulativo o di fonti emboligene.

Nel caso in cui l’imaging intracoronarico riveli la presenza di una placca aterosclerotica senza criteri di instabilità, lo step 5 dovrebbe essere un test di vasoreattività con acetilcolina o ergotamina; la genesi ischemica dell’evento acuto potrebbe poi essere confermata dalla RM cardiaca.

La RM cardiaca, in questo algoritmo, è il secondo esame chiave: ad essa andrebbero indirizzati tutti i pazienti con solidi elementi a favore di un’eziologia ischemica (basati su imaging intracoronarico o test di vasoreattività), quelli con sospetta TTS e tutti coloro in cui gli altri esami non sono risultati dirimenti (compresi coloro in cui non sono state effettuate valutazioni di imaging o test provocativi per assenza di lesioni sospette all’angiografia). La RM, se eseguita nei tempi opportuni, dovrebbe risultare conclusiva nella gran parte di questi pazienti, evidenziando sulla base della presenza e distribuzione del LGE quadri diagnostici per TTS, miocardite, cardiomiopatie o altre diagnosi alternative. La presenza di un pattern ischemico dovrebbe condurre ad una nuova rivalutazione critica della coronarografia ed eventualmente all’esecuzione di imaging intravascolare o test provocativo di vasospasmo, previa accurata valutazione del rapporto rischio/beneficio e con particolare attenzione alle eventuali implicazioni terapeutiche.

Infine, una RM cardiaca con esito non conclusivo (assenza di edema e/o LGE) conduce alla diagnosi di MINOCA “idiopatico”, previa esclusione di condizioni attribuibili all’IMA di tipo 2 da discrepanza.

CONCLUSIONI

La definizione, la classificazione e l’algoritmo diagnostico dei MINOCA sono stati oggetto di numerose rivisitazioni negli ultimi anni al fine di identificare un’entità nosologica coerente sotto il profilo fisiopatologico, e venire incontro alle esigenze di trattamento e gestione clinica del paziente.

Il termine MINOCA identifica un gruppo eterogeneo di condizioni ed andrebbe considerato come una diagnosi “dinamica”, per la quale i biomarcatori di danno miocardico e la coronarografia rappresentano solamente l’inizio del percorso diagnostico. Sono generalmente necessari esami aggiuntivi, quali imaging intracoronarico, test provocativi di vasospasmo ed RM cardiaca, per chiarirne i meccanismi fisiopatologici e definire la strategia terapeutica più adatta al singolo paziente, secondo un approccio che è quello della medicina di precisione.

RIASSUNTO

L’utilizzo sistematico della coronarografia e la disponibilità di biomarcatori di necrosi miocardica sempre più sensibili (troponine cardiache ad alta sensibilità) hanno determinato un aumento della diagnosi di infarto miocardico in assenza di coronaropatia ostruttiva (MINOCA), che viene oggi riportata in una percentuale variabile dal 5% al 20% dei pazienti con infarto miocardico acuto. La prima definizione dei criteri diagnostici di MINOCA è stata presentata in un position paper della Società Europea di Cardiologia del 2017. Da allora, tali criteri sono stati rivisiti più volte fino ad arrivare alla versione attuale e più ampiamente condivisa dalla comunità scientifica. La diagnosi di MINOCA richiede non solo la presenza di un danno miocardico, indicato da un aumento o diminuzione della troponina cardiaca con almeno un valore superiore al 99° percentile del valore limite di riferimento, ma anche la presenza di segni clinici, ECG o morfologici indicativi di ischemia miocardica. Tale definizione ha determinato l’esclusione dal gruppo dei MINOCA di alcune condizioni, quali la sindrome takotsubo e la miocardite, che non hanno una chiara eziologia ischemica. Il termine MINOCA abbraccia condizioni eterogenee sotto il profilo fisiopatologico, clinico e terapeutico. Per tale motivo, dovrebbe essere utilizzato per identificare una diagnosi provvisoria (“working diagnosis”), come l’inizio di un percorso diagnostico volto a chiarirne i meccanismi ed identificare la terapia più appropriata per il singolo paziente. Scopo di questa rassegna è quello di descrivere lo stato dell’arte in tema di definizione, classificazione e diagnosi di MINOCA, fornendo un excursus sui principali documenti proposti dalle società scientifiche o dagli esperti del settore negli ultimi anni.

Parole chiave. Coronarografia; Imaging intravascolare; Infarto miocardico; MINOCA; Miocardite; Risonanza magnetica cardiaca; Sindrome takotsubo.

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