In questo numero

articolo speciale




Il cibo sano e gustoso fa bene al cuore

La strenna di Natale del 2023 è dedicata alle relazioni tra cibo e cuore a cura di Niko Romito, chef pluristellato, impegnato anche in importanti progetti ministeriali di ristorazione negli ospedali e nelle scuole, e Leonardo Paloscia e Massimo Di Marco, cardiologi colti amanti della buona tavola della cucina abruzzese. Il legame tra cibo e cuore è in relazione al potere di suscitare emozioni da parte di un piatto cucinato con amore. Relazione altrettanto importante è il legame della sana alimentazione con la salute cardiovascolare. L’alta ristorazione non deve necessariamente prevedere l’utilizzo di ingredienti costosi e sofisticati ma può essere realizzata anche con la rielaborazione fantasiosa di una semplice verdura povera come la scarola. La ristorazione collettiva nelle mense scolastiche e negli ospedali può diventare laboratorio di ricerca per formare i ragazzi all’educazione alimentare e migliorare il benessere psicofisico dei pazienti ricoverati. •

editoriali




Le nuove linee guida sull’endocardite

Dopo circa 8 anni sono state pubblicate le nuove linee guida ESC sulla diagnosi e cura delle endocarditi, un corposo documento di 98 pagine che Massimo Imazio e Massimo Milli hanno sintetizzato e commentato in maniera molto efficace, sottolineando soprattutto le principali novità, utili al cardiologo clinico. Il riscontro di endocardite nei reparti di Cardiologia negli ultimi anni è diventato più frequente rispetto al passato e rappresenta per la sua complessità gestionale un evento serio, caratterizzato da un elevato rischio di mortalità. Oltre all’aggiornamento sulla profilassi, sulle nuove modalità diagnostiche, sul razionale utilizzo della terapia antibiotica e sul ruolo più precoce rispetto al passato della chirurgia, gli autori sottolineano l’importanza della particolare enfasi che viene trasmessa dalle nuove linee guida sull’importanza di strutturare un team multidisciplinare (Endocarditis Team) coinvolto nella gestione dei pazienti nella sua globalità e nella definizione dei percorsi decisionali più appropriati, variabili in funzione delle caratteristiche dei Centri coinvolti. •




Il contributo della cardiologia italiana al trattamento dei pazienti anziani con infarto miocardico e malattia multivasale

I congressi nazionali e internazionali e i vari documenti di consenso segnalano in continuazione la necessità di studi indirizzati a sottogruppi di pazienti normalmente sottorappresentati nei trial clinici randomizzati. Donne, dialisi, over 75 anni sono solo alcuni degli esempi delle principali categorie di pazienti su cui applichiamo sistematicamente trattamenti che sono stati validati in pazienti di sesso maschile, senza comorbilità e intorno ai 60 anni. Non faceva eccezione il tema della rivascolarizzazione delle lesioni non culprit nei pazienti con infarto miocardico acuto. Non erano disponibili evidenze nei pazienti NSTEMI e le evidenze sui pazienti STEMI erano tutte generate da trial che avevano arruolato principalmente maschi di 60 anni con una complessità anatomica bassa. Lo studio FIRE, uno studio ideato in Italia e condotto principalmente in centri italiani, ha per la prima volta scardinato questa consuetudine, focalizzandosi su pazienti over 75 sia STEMI che NSTEMI. In questo numero del Giornale, Leonardo Bolognese analizza in modo critico la letteratura e i dati dello studio FIRE presentato come “late breaking trial” all’ESC 2023 e simultaneamente pubblicato sul New England Journal of Medicine. •




All’orizzonte un vaccino contro l’ipertensione?

Lo zilebesiran agisce sul nostro corredo genetico bloccando (“silenziando”) nel fegato il gene che porta alla sintesi dell’angiotensinogeno che a sua volta inizia, come è noto, la cascata enzimatica del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Lo zilebesiran fa quindi parte di un corredo terapeutico definito come “terapia genica”. Uno studio recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine ha dimostrato che lo zilebesiran, somministrato per via sottocutanea, riduce i livelli circolanti di angiotensinogeno e i valori di pressione arteriosa per un intervallo di tempo che può arrivare fino a 6 mesi dopo la sua prima somministrazione. Le diminuzioni pressorie sono risultate significative anche da un punto di vista clinico (intorno ai 10/5 mmHg) e si sono mantenute per tutta la durata dello studio. Lo zilebesiran ha anche dimostrato ottimi risultati in termini di sicurezza. Fabio Angeli et al. discutono i dettagli di questo studio innovativo e le sue possibili implicazioni cliniche. •

questioni aperte




Il rischio clinico in sanità

La gestione del rischio clinico in sanità rappresenta l’insieme di varie azioni messe in atto per migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie e garantire la sicurezza dei pazienti, sicurezza, tra l’altro, basata sull’apprendere dall’errore. Solo una gestione integrata del rischio può portare a cambiamenti nella pratica clinica, promuovere la crescita di una cultura della salute più attenta e vicina al paziente e agli operatori, contribuire indirettamente a una diminuzione dei costi delle prestazioni e, infine, favorire la destinazione di risorse su interventi tesi a sviluppare organizzazioni e strutture sanitarie sicure ed efficienti. In questo articolo Giovanni Falsini et al. fanno una bella disamina dei concetti di risk management che inducono il passaggio da un approccio alla sicurezza basato sulla medicina difensiva ad uno scientifico e danno i principali strumenti per l’applicazione pratica. La lettura scorre fluida ed i concetti sono espressi in modo molto comprensibile esponendo un argomento che tutti noi sia con incarichi gestionali che professionali dovremo iniziare a considerare ed applicare nelle nostre realtà. •

rassegne




L’intervento di Ross, “questa valvola qui devi metterla lì!”

Nel 1967, Donald Ross descrisse una nuova strategia di sostituzione valvolare aortica, utilizzando la valvola polmonare del paziente per sostituire la valvola aortica malata e poi ricostruire il tratto di efflusso del ventricolo destro utilizzando un homograft. Il sostituto ideale della valvola aortica per pazienti pediatrici e giovani adulti è ancora oggetto di dibattito. La procedura di Ross è l’unico intervento che consente la sostituzione della valvola aortica malata con un tessuto biologico autologo. Ovviamente questa procedura è tecnicamente complessa e richiede una capacità chirurgica non indifferente. Questo dato ha fatto sì che la procedura non decollasse tra i cardiochirurghi, anche a causa dell’aumentato rischio intraoperatorio e soprattutto per il potenziale insuccesso a lungo termine dell’intervento. Oggi, però, c’è una rinascita della procedura di Ross grazie alla presenza di Centri specializzati che tutorano i chirurghi, rendendo questo intervento maggiormente riproducibile. In questa rassegna, Gianluigi Perri e Lorenzo Galletti riassumono luci e ombre di una procedura interessante che merita un maggior spazio in cardiochirurgia, sia pediatrica che dell’adulto. •




Per sempre insieme: cuore e cervello

Da tempo è stato introdotto in letteratura il concetto di ESUS, ictus embolico di origine indeterminata, per il quale i neurologi interpellano i cardiologi. In particolare viene fatta diagnosi di ESUS in presenza di ictus ischemico non lacunare senza stenosi ≥50% dei vasi extracranici e intracranici afferenti l’area ischemica cerebrale, senza evidenti fonti cardioemboliche maggiori e in assenza di arterite, dissezione, vasospasmo come meccanismo ischemico. Tra le cause potenziali di ESUS sono state riconosciute la fibrillazione atriale occulta, la cardiomiopatia atriale, la disfunzione ventricolare sinistra e lo scompenso cardiaco, le placche aortiche e la pervietà del forame ovale. I cardiologi si mettono quindi al lavoro con l’ecocardiogramma transtoracico e transesofageo, l’ECG delle 24 h secondo Holter, il loop recorder per ricercare fonti emboliche, che spesso vengono alla luce nel tempo. Rimane sempre difficile stabilire il nesso di causalità delle fonti emboliche con l’ESUS. In questa rassegna Letizia Riva e Giuseppe Di Pasquale illustrano una sfida aperta e la necessità di una stretta collaborazione tra neurologi vascolari e cardiologi referenti delle Stroke Unit, perché i trial clinici randomizzati finora eseguiti non sono riusciti a dimostrare una superiorità della terapia anticoagulante rispetto alla terapia antiaggregante in questi pazienti. •




Un antipatico duetto

L’associazione tra fibrillazione atriale e demenza è da tempo oggetto di studio, in quanto sia la demenza vascolare, sia la forma degenerativa (Alzheimer) sembrano avere un’incidenza più elevata nei pazienti con fibrillazione atriale. Oltre che con gli infarti cerebrali, sintomatici o silenti, l’insorgenza di demenza nei pazienti con fibrillazione atriale può essere dovuta a microembolie, microsanguinamenti ed ipoperfusione cerebrale. Anche la cardiomiopatia atriale è risultata significativamente associata a sviluppo di demenza, indipendentemente dalla presenza di fibrillazione atriale o di precedenti ictus. In letteratura sono state già pubblicate revisioni sistematiche e metanalisi sull’associazione fibrillazione atriale-demenza e, in questa rassegna, Tatiana Mazzoli e Stefano Ricci ne illustrano e commentano i risultati. La terapia anticoagulante, in particolare gli anticoagulanti orali diretti, comporta una riduzione del rischio di demenza di circa un terzo e anche la strategia di controllo del ritmo, ottenuto farmacologicamente o mediante ablazione transcatetere, sembra ridurne l’incidenza nei pazienti con fibrillazione atriale. •




Quando il sonno non è ristoratore come dovrebbe

Il sonno e il riposo hanno un ruolo cruciale nel mantenimento dell’omeostasi del nostro organismo. Un’alterazione del corretto ritmo sonno-veglia o in generale un riposo non adeguato comporta una serie di alterazioni metaboliche, ormonali e cognitive che possono agevolare l’insorgenza di malattie, anche cardiovascolari. Nei paesi occidentali uno dei disturbi del sonno più frequente è rappresentato dalle apnee ostruttive (OSA). Sono un disturbo respiratorio che può portare a gravi complicanze e allo sviluppo di ipertensione arteriosa, infarto miocardico e scompenso cardiaco. In questo numero del Giornale, Vincenzo Castiglione et al. ci aggiornano con una completa rassegna che analizza la problematica OSA dall’eziologia e dalla fisiopatologia fino ai possibili trattamenti. Il cardiologo nella sua raccolta anamnestica non deve sottovalutare questo importante dato e comorbilità, perché un suo corretto inquadramento e diagnosi può impattare positivamente sulla patologia cardiovascolare. •

studio osservazionale




Analisi e sensibilizzazione: come ridurre visite superflue in un ambulatorio per la patologia aortica toracica

La patologia acquisita dell’aorta toracica, sia essa acuta o cronica, colpisce circa 10 pazienti su 100 000 con un carico di lavoro per una divisione di Cardiochirurgia pari a circa il 15%. Come già accaduto per altri campi d’azione della Cardiochirurgia, vedasi scompenso cardiaco e valvulopatie, anche nel caso dell’aorta toracica è giusto avere un ambulatorio dedicato sia al primo approccio del paziente con patologia aortica (elettiva) sia per il controllo postoperatorio al follow-up. Lo studio di Pasquale Totaro et al., derivato dai primi anni di osservazione del fenomeno attraverso questo ambulatorio, ha evidenziato un dato importante che va discusso con tutti gli attori in campo al fine di ottimizzare le risorse ed evitare visite cardiochirurgiche, magari anche urgenti, in pazienti che non hanno assolutamente nessuna indicazione ad essere sottoposti a tali visite (solo il 7% aveva indicazione). Dall’analisi dei “mittenti” si evidenzia come ben il 60% sono medici di base, ma è allarmante anche il 15% dei cardiologi che inviano il paziente a visita urgente dal cardiochirurgo. Difatti si avverte una mancata percezione della gravità della patologia aortica cronica pur avendo a disposizione linee guida molto chiare sull’argomento. A questo punto, come suggerito dagli autori, c’è la necessità di una campagna di sensibilizzazione volta a migliorare la percezione del fenomeno. •

caso clinico




Un caso eccezionale

È un caso unico di ablazione transcatetere di fascio accessorio tipo Kent laterale sinistro in un neonato prematuro di 7 mesi a seguito di tachicardia incessante a frequenza cardiaca 250 b/min con idrope fetale. Data l’inefficacia della terapia antiaritmica a 3 settimane dalla nascita, il piccolo è stato sottoposto ad ablazione transcatetere con somministrazione di una piccola quantità di energia a radiofrequenza e con un tempo di scopia di circa 30 min. Non si sono verificate complicanze significative. A distanza di 28 anni dalla procedura si è assistito ad uno sviluppo psicosomatico del giovane perfettamente normale con imaging cardiologico nella norma. •

position paper




DOAC: cosa sapere dopo 10 anni di esperienza

Negli ultimi 10 anni, con l’introduzione degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) nell’armamentario terapeutico la gestione del tromboembolismo è profondamente cambiata. In considerazione dei numerosi vantaggi associati all’impiego dei DOAC, questi hanno progressivamente sostituito gli antagonisti della vitamina K nella prevenzione e terapia sia del tromboembolismo venoso che di quello associato alla fibrillazione atriale. In questo statement ANMCO, Stefania Angela Di Fusco et al. riportano le evidenze che descrivono il cambiamento che ha segnato la pratica clinica nell’ultima decade. Con l’avvento dei DOAC si è osservata sia una maggiore consapevolezza del rischio tromboembolico associato alla fibrillazione atriale che una maggiore persistenza ai trattamenti anticoagulanti. D’altro canto, l’impiego di questi farmaci nel mondo reale ha fornito ulteriori evidenze sulle differenze esistenti tra le varie molecole in termini di farmacocinetica e farmacodinamica, presupposto fondamentale per un appropriato utilizzo specie in contesti clinici complessi che vengono analizzati nel documento, come nei pazienti politrattati, con neoplasia, anziani o con insufficienza renale. •

imaging integrato
online only




Imaging multimodale nella recidiva di NSTEMI: ruolo della tomografia a coerenza ottica

Partendo dal sospetto clinico e dall’ECG, vengono utilizzate in modo sequenziale diverse metodiche di imaging cardiovascolare, evidenziando per ciascuna di esse i pro, i contro e il valore aggiunto nello specifico caso clinico, fino a giungere alla diagnosi corretta e al trattamento più appropriato. •