STEP-RCV Project: ScienTific Expert Panel per i pazienti a rischio cardiovascolare alto e molto alto: come ottimizzare la terapia ipolipemizzante

Furio Colivicchi1, Marcello Arca2, Stefania Angela Di Fusco1, Angela Pirillo3, Alberico L. Catapano4,5

1U.O.C. Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri - ASL Roma 1, Roma

2Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione, Sapienza Università di Roma, Roma

3Centro per lo Studio dell’Aterosclerosi, Ospedale E. Bassini, Cinisello Balsamo (MI)

4IRCCS Multimedica, Milano

5Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università degli Studi, Milano

Over the last decade, several innovative therapeutic options have been developed and marketed for the management of hypercholesterolemia. However, the impossibility of a contextual update of international guidelines and the limits imposed by national regulatory authorities do not allow the use of these treatments in many patients, in particular in those at higher cardiovascular risk. Real-world studies show that the use of lipid-lowering therapies is inadequate even among patients at higher cardiovascular risk, with only 20% achieving recommended low-density lipoprotein cholesterol (LDL-C) levels and the use of combination therapies implemented in only 24% of patients. This review aims to highlight the benefits of an approach based on combination therapy and to propose a therapeutic algorithm that includes oral combination therapy, where necessary also in triple association (statin, ezetimibe and bempedoic acid), as an initial approach based on the most favorable cost-effectiveness ratio for patients at higher cardiovascular risk and the use of injectable anti-proprotein convertase subtilisin/kexin 9 therapies if the recommended LDL-C goal is not achieved.

Key words. Bempedoic acid; Combination therapy; Ezetimibe; PCSK9 inhibitors; Statins.

INTRODUZIONE

Nel corso degli ultimi 50 anni il trattamento delle dislipidemie è profondamente cambiato grazie ai significativi progressi nell’ambito delle conoscenze dei meccanismi fisiopatologici che regolano il metabolismo lipidico e al progressivo ampliarsi dell’armamentario terapeutico con farmaci in grado di ridurre efficacemente il colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (C-LDL). La disponibilità di diversi approcci ha evidenziato che il beneficio aumenta con la progressiva riduzione del C-LDL ed è tanto maggiore quanto più precoce e persistente nel tempo è la riduzione dei livelli di C-LDL1. Dopo un lungo periodo in cui statine ed ezetimibe erano gli unici farmaci disponibili in grado di ridurre in maniera significativa i livelli di C-LDL, l’ultima decade ha visto lo sviluppo e l’approvazione di nuove classi di farmaci. Questi includono tre farmaci con somministrazione sottocutanea in grado di inibire la proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9 (PCSK9), tra cui due anticorpi monoclonali (evolocumab e alirocumab) e un siRNA (small interfering RNA, inclisiran), ed un farmaco a somministrazione orale, l’acido bempedoico, che interferisce con la sintesi del colesterolo. Essendo stati immessi in commercio dopo la pubblicazione delle ultime linee guida per la gestione delle dislipidemie2, acido bempedoico e inclisiran sono solo menzionati come nuovi approcci per ridurre il C-LDL ma non sono stati inclusi nell’algoritmo proposto. Infatti, sebbene nel tempo le linee guida abbiano progressivamente ridotto i goal di C-LDL soprattutto per i pazienti a rischio più alto (Figura 1), le indicazioni contenute nelle linee guida hanno il limite di non poter essere aggiornate contestualmente alla disponibilità di nuovi farmaci. Inoltre, esse si basano su un approccio relativamente conservativo, raccomandando l’impiego dei vari agenti terapeutici in maniera sequenziale seguendo l’ordine temporale con cui sono state prodotte le evidenze a supporto, senza considerare la necessità/opportunità di utilizzare precocemente le terapie di combinazione.




Nella pratica clinica, un’ulteriore importante limitazione all’implementazione della medicina basata sull’evidenza è rappresentata dai criteri di rimborsabilità dei farmaci stabiliti dalle autorità regolatorie locali. In Italia i criteri per la prescrizione dei farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) prevedono goal di C-LDL non concordanti con le raccomandazioni delle linee guida. Sulla base degli stessi criteri di rimborsabilità, per alcuni gruppi di pazienti non è possibile il ricorso a tutte le opzioni terapeutiche attualmente disponibili. Ad esempio, i pazienti in prevenzione primaria senza ipercolesterolemia familiare o con ipercolesterolemia familiare e C-LDL <130 mg/dl non possono essere trattati con inibitori di PCSK9. Inoltre, vi sono differenze nei criteri utilizzati per definire la rimborsabilità delle varie classi di farmaci; ad esempio, solo per alcune classi si fa riferimento alla distanza dall’obiettivo terapeutico (acido bempedoico).

Scopo di questa rassegna è quello di tradurre le evidenze scientifiche più recenti in raccomandazioni pratiche e fornire indicazioni sul migliore approccio possibile, tenendo conto di efficacia e costi dei farmaci. Sebbene l’acido bempedoico abbia un’efficacia inferiore rispetto agli inibitori di PCSK9, l’efficacia in duplice o triplice combinazione orale con statine ed ezetimibe consente di ottenere una significativa riduzione dei livelli di C-LDL. Viene proposta, dunque, una revisione dell’algoritmo per il trattamento dei pazienti dislipidemici a più alto rischio cardiovascolare. L’algoritmo qui proposto prevede l’impiego della combinazione di diversi agenti terapeutici orali come approccio di prima linea, con il ricorso a farmaci iniettabili più costosi solo nei casi in cui le terapie orali a più basso costo non siano sufficienti per il raggiungimento dell’obiettivo terapeutico.

TERAPIE DI COMBINAZIONE: RAZIONALE ED EFFICACIA ATTESA

Già le prime linee guida europee sulla prevenzione della malattia coronarica3, che risalgono al 1994, contemplavano la possibilità di un impiego degli agenti ipolipemizzanti in combinazione tra loro per ottenere una soddisfacente riduzione del C-LDL, ma solo in pazienti con livelli di C-LDL particolarmente elevati, come in alcuni casi di ipercolesterolemia familiare. Le successive linee guida, comprese le più recenti2,4, hanno sempre raccomandato l’impiego delle statine alla massima dose tollerata come approccio di prima linea. In caso di mancato raggiungimento degli obiettivi terapeutici previsti, raccomandano il ricorso alla combinazione statina-ezetimibe (classe I, livello di evidenza A) e come terza opzione, nei pazienti a rischio molto alto, la combinazione statina-ezetimibe-anticorpi monoclonali anti-PCSK9 (classe I, livello di evidenza A).

Alla base della raccomandazione di classe I all’uso della combinazione statina-ezetimibe vi sono i risultati dello studio IMPROVE-IT5. Questo studio ha dimostrato che l’aggiunta di ezetimibe 10 mg al trattamento con simvastatina permette di ottenere una riduzione incrementale dei livelli di C-LDL pari al 24% rispetto al trattamento con sola simvastatina, che si traduce in una riduzione del 2% dell’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori. Questo dato è in linea con quanto atteso sulla base delle stime della metanalisi condotta dalla Cholesterol Treatment Trialists’ Collaboration6. Con l’impiego di farmaci che hanno meccanismi d’azione differenti è possibile sfruttare l’effetto sinergico e complementare, ottenendo una maggiore riduzione del C-LDL. La terapia di combinazione consente di ottenere gli stessi benefici con statine a più bassa intensità, esponendo i pazienti a un minor rischio di effetti indesiderati7 e, quindi, migliora la tollerabilità del trattamento e aumenta l’aderenza e la persistenza terapeutica. Lo studio RACING ha dimostrato che la terapia di combinazione con statina a moderata intensità ed ezetimibe non è inferiore alla terapia con statina ad alta intensità in termini di riduzione dell’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori ed è associata ad una maggiore proporzione di pazienti che raggiungono livelli di C-LDL <70 mg/dl8. Analisi post-hoc dello stesso studio7,9 hanno valutato l’impatto della terapia di combinazione con statina a moderata intensità ed ezetimibe nei pazienti diabetici e nei pazienti anziani (≥75 anni). Rispetto al trattamento con statina ad alta intensità, la terapia di combinazione è risultata associata ad un minor rischio di interruzione del trattamento/riduzione della dose per eventi avversi ed a un simile beneficio clinico in entrambi i sottogruppi.

Sia evolocumab che alirocumab aggiunti al trattamento con statina ad alta intensità sono in grado di ridurre i livelli di C-LDL di circa il 60% e gli eventi cardiovascolari maggiori di circa il 15% in pazienti con malattia aterosclerotica e livelli di C-LDL >70 mg/dl10,11 . Gli studi clinici che hanno valutato un uso precoce della combinazione di statina ad alta intensità con evolocumab o alirocumab post-infarto acuto del miocardio hanno evidenziato una più efficace riduzione dei livelli di C-LDL12,13 e una maggiore regressione della placca aterosclerotica dopo 52 settimane di trattamento14 rispetto alla monoterapia con statina ad alta intensità.

L’acido bempedoico inibisce in maniera selettiva la sintesi epatica di colesterolo e ha il vantaggio di non esser associato ad un aumentato rischio di effetti indesiderati a livello muscolare, oltre a non interferire sfavorevolmente con il metabolismo glucidico. Gli studi clinici hanno dimostrato che l’acido bempedoico è in grado di ridurre significativamente i livelli di C-LDL, con riduzione maggiore nei pazienti che non assumono statine rispetto ai pazienti trattati con la massima dose tollerata di statina (-24.5% e -17.8%, rispettivamente)15. Lo studio CLEAR Outcomes, che ha valutato l’effetto dell’acido bempedoico sull’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori, ha incluso solo pazienti intolleranti alle statine (al basale il 23% dei pazienti era in trattamento con una statina e il 12% con ezetimibe). Il trattamento con acido bempedoico dopo 6 mesi ha ridotto i livelli di C-LDL del 21.1% e, dopo un follow-up mediano di 40.6 mesi, ha ridotto l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori del 13% rispetto al placebo16. Per predire l’effetto dell’acido bempedoico in combinazione con diverse dosi di statina è stato utilizzato un modello dose-risposta; tale modello ha evidenziato che la combinazione di acido bempedoico con la più bassa dose di statina (es. atorvastatina 20 mg) determina una riduzione del C-LDL simile a quella ottenibile con la statina in monoterapia ad un dosaggio 4 volte superiore (es. atorvastatina 80 mg)17. Quando l’acido bempedoico è stato testato in combinazione a dose fissa con ezetimibe, la riduzione del C-LDL rispetto al placebo è stata pari al 38%18. In uno studio clinico di fase 2 è stata valutata l’efficacia della combinazione tripla atorvastatina 20 mg con la formulazione in combinazione fissa di acido bempedoico + ezetimibe. Il risultato è stato una riduzione dei livelli di C-LDL di oltre il 63% rispetto ai valori basali, con più del 95% dei pazienti che ha ottenuto una riduzione dei valori di C-LDL ≥50%19.

Inclisiran è un siRNA che inibisce la sintesi di PCSK9 selettivamente a livello epatico. Negli studi clinici, l’efficacia di inclisiran è stata valutata in aggiunta alla terapia ipolipemizzante con statina alla massima dose tollerata con o senza ezetimibe. Nello studio ORION-3, la riduzione media del C-LDL nel corso del follow-up di 4 anni è stata pari al 44%20. È da sottolineare che, ad oggi, un’eventuale associazione delle due classi di farmaci inibitori di PCSK9 (anticorpi monoclonali e siRNA), al fine di ottenere una riduzione incrementale del C-LDL, non è supportata né da evidenze scientifiche né da un razionale meccanicistico21.

Sebbene nei trial registrativi che hanno valutato i tre inibitori di PCSK9 il numero totale di pazienti studiati sia più ampio del numero complessivo dei pazienti inclusi negli studi che hanno valutato l’acido bempedoico, quest’ultimo è stato studiato in aggiunta a diverse terapie ipolipemizzanti (statine ad alta, moderata o bassa intensità, con e senza ezetimibe ed altre terapie ipolipemizzanti), fornendo evidenze di un’efficacia significativa in termini di riduzione del C-LDL in tutti i contesti studiati. Globalmente la notevole quantità di dati forniti dalla letteratura dimostra che le terapie di combinazione e l’intensiva riduzione dei livelli di C-LDL si associano ad evidenti benefici clinici22. Nella pratica clinica, le terapie orali di combinazione permettono di ottenere significative riduzioni dei livelli di C-LDL con costi minori rispetto agli inibitori di PCSK9 e dovrebbero, dunque, essere considerate come prima opzione di trattamento, riservando le terapie iniettabili ai pazienti che non riescono a raggiungere il goal raccomandato; nei pazienti a rischio proibitivo (con recente sindrome coronarica acuta o eventi multipli) gli inibitori di PCSK9 potrebbero invece essere considerati anche come prima scelta. In considerazione della prevedibilità di efficacia nella riduzione del C-LDL, la triplice terapia orale con statina ad alta intensità, ezetimibe ed acido bempedoico (riduzione attesa di circa il 75%)23 potrebbe essere considerata anche nei pazienti a rischio estremo (pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica con un secondo evento vascolare entro 2 anni dal primo, non necessariamente dello stesso tipo del primo evento, in corso di terapia con statine alla massima dose tollerata, per i quali può essere considerato un obiettivo di C-LDL <40 mg/dl) con livelli di C-LDL fino a 150-160 mg/dl. In questi stessi pazienti, in caso di livelli di C-LDL >160 mg/dl, in pazienti di età <80 anni, la terapia orale dovrebbe essere associata a un inibitore di PCSK9 fin da subito per garantire il raggiungimento dell’obiettivo terapeutico.

La Figura 2 riporta la riduzione media dei livelli di C-LDL che può essere ottenuta con l’impiego dei diversi agenti ipocolesterolemizzanti in combinazione tra loro24,25.




ATTUALI CRITERI DI RIMBORSABILITÀ DELLA TERAPIA IPOCOLESTEROLEMIZZANTE IN ITALIA

In Italia, per il trattamento dell’ipercolesterolemia a carico del SSN, l’uso di statine ed ezetimibe è regolamentato dalla Nota 13 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). In aggiunta, per l’acido bempedoico è prevista una scheda di prescrizione che include norme specifiche come, ad esempio, la distanza dai livelli raccomandati di C-LDL, criterio non previsto per gli altri agenti terapeutici. La stessa scheda di prescrizione per la classificazione del livello di rischio rimanda alla Nota 13. Per gli inibitori di PCSK9 la rimborsabilità è regolata dai criteri riportati nel relativo piano terapeutico “web-based” per gli anticorpi monoclonali e scheda di monitoraggio “web-based” per inclisiran. Inoltre, la prescrizione degli inibitori di PCSK9 è consentita esclusivamente ai centri abilitati dalle regioni. Introdotta nel 1993 dall’allora Commissione Unica del Farmaco, la Nota 13 fornisce le indicazioni relative alla rimborsabilità dei farmaci per la gestione delle dislipidemie nell’ottica di garantire un uso appropriato delle risorse economiche nel contesto di un contenimento della spesa sanitaria. Sebbene nel tempo la Nota 13 sia stata rivista più volte sulla base delle evidenze emerse dalla letteratura26, l’aggiornamento non è tempestivo. Inevitabilmente, le cure rimborsate non sempre corrispondono alle indicazioni fornite delle linee guida internazionali, ad esempio, in termini di obiettivi terapeutici (livelli di C-LDL), come riportato in Tabella 1.




Infatti, nell’ultimo aggiornamento della Nota 13, per i pazienti a rischio cardiovascolare molto alto l’obiettivo di C-LDL indicato è <70 mg/dl contro <55 mg/dl raccomandato dalle linee guida 2019 della Società Europea di Cardiologia e dell’Aterosclerosi (ESC/EAS), mentre per i pazienti a rischio alto è <100 mg/dl contro <70 mg/dl delle linee guida. Inoltre, la Nota 13 prevede due categorie intermedie con obiettivi differenti tra loro e, comunque, più alti di quelli previsti dalle linee guida per i pazienti a rischio moderato. Sebbene in linea di principio, le Note non dovrebbero interferire con la libertà di prescrizione del medico27, la mancata coerenza tra gli obiettivi di C-LDL indicati nella Nota 13 e quelli raccomandati dalle linee guida più recenti rappresenta una vera e propria limitazione poiché non consente il rimborso di farmaci dal cui uso i pazienti trarrebbero maggiore beneficio, grazie al raggiungimento di livelli di C-LDL più bassi. Gli obiettivi terapeutici indicati nella Nota 13 non solo limitano l’impiego dell’associazione statina-ezetimibe, relegandola ad opzione di seconda linea nei pazienti a rischio alto o molto alto, ma sono anche previsti dalla scheda di prescrizione per l’impiego di acido bempedoico28. Inoltre, sia per gli inibitori di PCSK9 che per l’acido bempedoico, la prescrizione a carico del SSN è possibile come opzione di terzo livello, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di C-LDL indicati dalla Nota 13 con l’associazione statina al massimo dosaggio tollerato più ezetimibe. In prevenzione secondaria, in caso di infarto acuto del miocardio recente (ultimi 12 mesi) o eventi cardiovascolari multipli, è prevista la rimborsabilità degli inibitori di PCSK9 dopo una sola rilevazione di C-LDL >70 mg/dl. In effetti, il più alto rischio di eventi nel periodo immediatamente successivo ad una sindrome coronarica acuta suggerisce l’importanza di una strategia di combinazione che garantisca una precoce riduzione dei livelli di C-LDL29. L’obbligo di un tentativo di titolazione della statina prima di aggiungere un trattamento complementare comporta inevitabilmente non solo un prolungamento del periodo nel corso del quale il paziente non è adeguatamente trattato, ma anche mina la possibilità di utilizzo di statine a media intensità, poiché spesso quei pazienti che hanno sperimentato gli effetti indesiderati associati a dosaggi elevati di statina sono meno aderenti anche alla terapia con dosaggi più bassi. Ulteriori dettagli circa la rimborsabilità dei farmaci ipocolesterolemizzanti in Italia sono riportati nella Tabella 1.

EVIDENZE DAL MONDO REALE:
BISOGNI CLINICI INSODDISFATTI

Nella pratica clinica, la percentuale di pazienti che, pur avendo un rischio cardiovascolare alto o molto alto, non raggiungono livelli di C-LDL ottimali è ancora elevata, nonostante la disponibilità di diverse opzioni terapeutiche. Lo studio SANTORINI, uno studio di coorte europeo condotto tra il 2020 e il 2021 che ha arruolato oltre 9000 pazienti con rischio cardiovascolare alto e molto alto, ha dimostrato che solo il 20% aveva raggiunto i livelli di C-LDL raccomandati dalle linee guida ESC/EAS del 201930. Un altro dato importante che deriva da questo recente studio osservazionale è che, sebbene la proporzione di pazienti trattati con terapia di combinazione sia aumentata rispetto al passato, questo tipo di approccio è ancora poco usato (24% dei pazienti a rischio alto o molto alto). In uno studio di simulazione condotto su 4486 pazienti dello studio SANTORINI è stato stimato che con l’aggiunta di ezetimibe al trattamento con statina la percentuale di pazienti con C-LDL a livelli target potrebbe passare dal 23.1% al 39.7% e dopo l’aggiunta di ezetimibe e acido bempedoico al 59.5%31. Parallelamente, i valori medi di C-LDL dell’intera corte si ridurrebbero da 80.3 mg/dl al basale a 69.3 mg/dl dopo aggiunta di ezetimibe e 60.9 mg/dl dopo aggiunta di ezetimibe e acido bempedoico31. Una sottoanalisi dello studio SANTORINI, che ha incluso 1977 pazienti arruolati in Italia, fornisce dati sovrapponibili a quelli relativi all’intera popolazione dello studio: solo un quinto dei pazienti ad alto rischio presenta i livelli di C-LDL raccomandati dalle linee guida32. Tra i pazienti trattati con farmaci ipolipemizzanti (67.4%), il 21.6% di quelli in monoterapia hanno livelli di C-LDL ottimali, percentuale che aumenta al 35.1% nei pazienti trattati con terapia di combinazione. Complessivamente, il 79% degli individui a rischio alto e molto alto arruolati in Italia è risultato avere livelli di C-LDL non ottimali per la propria classe di rischio. Gli studi condotti nel mondo reale hanno dunque evidenziato che, nella maggior parte dei casi di pazienti a rischio cardiovascolare più alto, le monoterapie sono insufficienti per raggiungere gli obiettivi raccomandati, ma sono ancora ampiamente prescritte. Nella gestione di questi pazienti, invece, sarebbe necessario tenere presente che le terapie di combinazione orali e, ove appropriato, il trattamento con anticorpi monoclonali anti-PCSK9 consentono di ottenere una riduzione del C-LDL fino ad oltre l’80%. Già precedenti studi osservazionali avevano evidenziato un significativo divario tra quanto raccomandato dalle linee guida e la pratica clinica. Rispetto ai primi ampi studi di registro condotti oltre 20 anni fa33, l’impiego della terapia ipolipemizzante ha ridotto i livelli di C-LDL nel tempo. Tuttavia, il raggiungimento degli obiettivi indicati dalle linee guida è rimasto basso, soprattutto nei pazienti a più alto rischio cardiovascolare34. Globalmente, da quanto emerge dai dati provenienti dal mondo reale, la sottovalutazione del rischio cardiovascolare e l’utilizzo non ottimale di farmaci ipolipemizzanti non statinici in combinazione con le statine sono tra le cause principali alla base del divario tra i livelli di C-LDL raccomandati e quanto si ottiene nella pratica clinica nei pazienti a più alto rischio cardiovascolare30,34.

OTTIMIZZAZIONE DELL’APPROCCIO TERAPEUTICO AL PAZIENTE A RISCHIO ALTO E MOLTO ALTO

Il ruolo causale del C-LDL nell’aterosclerosi è ampiamente riconosciuto (Figura 3) e la riduzione assoluta dei livelli di C-LDL si associa alla riduzione del rischio di eventi cardiovascolari indipendentemente dall’agente terapeutico impiegato.




Sulla base di queste considerazioni, vi è oramai un consenso a livello internazionale circa l’opportunità di un intervento terapeutico non più focalizzato sull’intensità del trattamento statinico ma sull’intensità dell’intervento complessivo di riduzione del C-LDL nella gestione del paziente a rischio cardiovascolare alto o molto alto25,35. In effetti, l’approccio sequenziale raccomandato dalle linee guida tiene conto solo parzialmente della prevedibilità dell’efficacia dei trattamenti (Figura 2), che porta a poter riconoscere a priori che in molti pazienti con rischio cardiovascolare più alto la monoterapia ha una bassa probabilità di permettere il raggiungimento dei livelli di C-LDL raccomandati. Di fatto, l’approccio sequenziale riportato nelle linee guida del 2019 è stato superato da un documento di consenso dedicato alla gestione dei pazienti a rischio cardiovascolare molto alto35. Il suddetto documento indica la terapia di combinazione come strategia di prima linea sia per i pazienti a rischio molto alto che per i pazienti a rischio estremo. Se l’approccio sequenziale può apparire ragionevole per i pazienti a rischio più basso, nei pazienti a più alto rischio appare meno adeguato. Infatti, in questi pazienti molte evidenze cliniche suggeriscono che l’intervento ipocolesterolemizzante oltre che “intensivo” deve essere sufficientemente “rapido”. Uno studio condotto in pazienti con infarto del miocardio ha dimostrato che la riduzione precoce e sostanziale dei livelli di C-LDL nelle settimane immediatamente successive all’evento acuto si associa ad una minore incidenza e ad un minor rischio di eventi cardiovascolari maggiori36. In questo contesto è da considerare che raddoppiare la dose di statina comporta una limitata riduzione addizionale dei livelli di C-LDL (5-7%) e si può associare a un maggior rischio di eventi avversi37. Al contrario, la disponibilità di farmaci ipocolesterolemizzanti orali da impiegare in associazione alle statine (o come alternativa in caso di intolleranza alle statine) consente di ottenere più rapidamente il raggiungimento del goal di C-LDL, riducendo così il rischio cardiovascolare del paziente38. In aggiunta, la possibilità di combinare più agenti terapeutici in un’unica pillola conferisce ulteriori vantaggi in termini di aderenza terapeutica e quindi efficacia del trattamento e impatto prognostico39,40.

Le formulazioni con combinazioni precostituite di più farmaci dovrebbero essere preferite rispetto all’impiego dei singoli farmaci in associazione estemporanea per la gestione dei pazienti a più alto rischio e dei pazienti con livelli di C-LDL molto alti. Ad oggi sono disponibili sia diverse statine (atorvastatina, rosuvastatina e simvastatina) a dosaggi variabili combinate con ezetimibe 10 mg sia la combinazione fissa acido bempedoico 180 mg + ezetimibe 10 mg. Gli inibitori di PCSK9, siano essi anticorpi monoclonali o inclisiran, in considerazione dell’elevata efficacia ma anche dei costi più alti rappresentano un’opportunità terapeutica addizionale da riservare ai pazienti che non raggiungono con la terapia orale i livelli di C-LDL raccomandati o già alla dimissione dopo una sindrome coronarica acuta nei pazienti a rischio estremo in cui è necessaria una riduzione del C-LDL >80%35 (Figura 2).

Le linee guida ESC 2023 sulle sindromi coronariche acute raccomandano l’intensificazione del trattamento ipolipemizzante durante il periodo di ospedalizzazione con l’impiego di inibitori di PCSK9 (classe I, livello di evidenza C) in tutti i pazienti che prima dell’evento acuto erano già in trattamento con la massima dose di statina tollerata ed ezetimibe41. Nei pazienti a rischio estremamente elevato, ad esempio quelli con eventi ischemici ricorrenti, il cui obiettivo di C-LDL dovrebbe essere ancora più basso (<40 mg/dl), prima della dimissione ospedaliera dovrebbe essere considerata una strategia terapeutica di combinazione che includa una statina ad alta efficacia/massima dose tollerata e/o acido bempedoico nei pazienti con intolleranza parziale o completa alle statine, ezetimibe e un inibitore di PCSK942. È importante sottolineare che sono a rischio estremamente elevato non solo i pazienti con ripetuti eventi acuti, ma anche i pazienti che oltre ad aver avuto una sindrome coronarica acuta presentano malattia aterosclerotica polidistrettuale o multicoronarica, una forma di ipercolesterolemia familiare35 o elevati livelli di lipoproteina(a) (>50 mg/dl)43. In merito all’impiego di inibitori di PCSK9, non ci sono ancora studi che abbiano confrontato gli anticorpi monoclonali con inclisiran ma, dalle evidenze disponibili, la riduzione del C-LDL associata al trattamento con inclisiran è del 10% inferiore rispetto a quella osservata con il trattamento con anticorpi monoclonali. Sulla base di queste considerazioni, si può immaginare la proposta di un nuovo modello di algoritmo di trattamento ipocolesterolemizzante che possa soddisfare le necessità di intervento rapido ed intensivo modulandolo sul rischio cardiovascolare del singolo paziente (Figura 4).




Dopo aver iniziato il trattamento definito sulla base degli obiettivi di C-LDL raccomandati e dell’efficacia attesa dei vari agenti terapeutici, è raccomandato il controllo dei livelli di C-LDL dopo 4-6 settimane al fine di implementare il trattamento in coloro che non abbiano raggiunto i livelli raccomandati38.

CONCLUSIONI

I farmaci di più recente introduzione nella pratica clinica rappresentano un’importante opzione per il raggiungimento dei livelli di C-LDL raccomandati nei pazienti a più alto rischio cardiovascolare, grazie alla loro efficacia e buona tollerabilità. In questi pazienti, la necessità di ottenere una precoce, persistente ed intensa riduzione dei livelli di C-LDL supporta l’utilizzo fin da subito di strategie di combinazione orale, come già raccomandato da società scientifiche internazionali44,45. Rispetto ad un approccio sequenziale, la possibilità di utilizzare una terapia di combinazione orale come strategia di prima linea che, dove necessario, includa anche l’acido bempedoico, e di intervenire con strategie più costose solo in caso di mancato raggiungimento/previsione di non raggiungimento degli obiettivi raccomandati, sarebbe un’opzione per ridurre in maniera significativa ed economicamente sostenibile il rischio degli eventi cardiovascolari.

RIASSUNTO

Nell’ultima decade sono state sviluppate e messe in commercio diverse opzioni terapeutiche innovative per la gestione dell’ipercolesterolemia. Tuttavia, l’impossibilità di un aggiornamento contestuale delle linee guida internazionali e i limiti imposti dalle normative dettate dalle autorità regolatorie nazionali non consentono di implementare l’utilizzo di questi trattamenti in molti pazienti, in particolare in quelli a più alto rischio cardiovascolare. In effetti, gli studi clinici condotti nel mondo reale mostrano che l’uso di terapie per il trattamento dell’ipercolesterolemia è inadeguato anche nel gruppo di pazienti a più alto rischio cardiovascolare, con solo il 20% che raggiunge gli obiettivi di colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (C-LDL) raccomandati dalle linee guida ed un impiego delle terapie di combinazione solo nel 24% dei pazienti. Scopo di questa rassegna è mettere in evidenzia i benefici di un approccio basato sulla terapia di combinazione e proporre un algoritmo terapeutico che preveda la terapia di combinazione orale, dove necessario anche in triplice associazione (statina, ezetimibe e acido bempedoico), come approccio iniziale in considerazione del più favorevole rapporto costo-efficacia, e il ricorso a terapie iniettabili anti-proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9 in caso di mancato raggiungimento dei goal di C-LDL raccomandati.

Parole chiave. Acido bempedoico; Ezetimibe; Inibitori di PCSK9; Statine; Terapia di combinazione.

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