In questo numero

editoriali




Lo studio EMPACT-MI

Giovanni Amedeo Tavecchia e Fabrizio Oliva presentano un interessante commento allo studio EMPACT-MI, trial randomizzato in doppio cieco, di confronto tra empagliflozin 10 mg vs placebo, in aggiunta alla terapia standard, in pazienti con infarto miocardico ad alto rischio di sviluppare scompenso cardiaco (frazione di eiezione <45% e/o segni clinici di congestione). L’endpoint primario, costituito da ospedalizzazione per scompenso cardiaco o morte da ogni causa, si è verificato nell’8.2% dei pazienti del gruppo empagliflozin e nel 9.1% dei pazienti del gruppo placebo. Tuttavia, il tasso di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco è risultato inferiore di ben il 31% nel gruppo empagliflozin. I risultati dello studio non permettono di formulare un’indicazione all’impiego routinario di empagliflozin in tutti i pazienti ricoverati per infarto ad alto rischio di sviluppare scompenso cardiaco. A posteriori, verrebbe spontaneo dire che il disegno dello studio avrebbe dovuto prevedere l’ospedalizzazione per scompenso cardiaco come endpoint co-primario (in considerazione anche della letteratura esistente), magari gerarchico a monte della mortalità. È un altro caso in cui l’ampliamento dell’endpoint primario, generalmente attuato per ridurre la casistica e quindi i costi di un trial, può rivelarsi un boomerang in quanto una componente aggiuntiva potrebbe depotenziare i risultati. Sempre a posteriori, ci si può chiedere cosa poteva essere atteso da un endpoint così aspecifico come la morte da ogni causa. •




Don’t count your chickens before they hatch! Lo studio PREVENT

La ricerca della placca vulnerabile, predisposta a causare un evento coronarico futuro, è stata spasmodica negli ultimi decenni e si è avvalsa di tecniche invasive e non invasive sempre più raffinate. Una volta riscontrata questa placca ad alto contenuto lipidico, con cappuccio fibroso sottile ed un lume vasale ridotto, nasce immediato il desiderio di trattarla, di impiantare uno stent per evitare eventi futuri. Questo è in estrema sintesi il razionale del trial PREVENT, uno studio innovativo, destinato a lasciare una forte impronta su questo argomento. Questo interessante commento di Francesco Prati et al. introduce il concetto del trattamento della placca vulnerabile e ne affronta con competenza i punti di forza ed i limiti. A chi ha tanto investito sulla vulnerabilità della placca e sul suo trattamento preventivo, lo studio PREVENT mostra una luce, una soluzione percorribile ed efficace, ma è ancora presto per “contare le galline prima che siano uscite dall’uovo”! •




È importante il team o il dispositivo?
Lo studio DanGer Shock

In questo numero del Giornale, Gianluca Campo e Leonardo De Luca commentano i risultati del trial DanGer Shock (Danish German Cardiogenic Shock) che ha randomizzato circa 350 pazienti con infarto miocardico acuto complicato da shock cardiogeno a trattamento convenzionale o ad un dispositivo per l’assistenza ventricolare sinistra (Impella CP). Il trial ha dimostrato che l’Impella CP ha significativamente ridotto la mortalità a 6 mesi, e costituisce quindi la prima evidenza di natura randomizzata che suggerisce un beneficio di un dispositivo nello shock cardiogeno post-ischemico, al di là dell’angioplastica coronarica. Ma allora lo studio sancisce il trionfo del dispositivo o, analizzando attentamente i dati, conferma che per migliorare gli esiti dei pazienti con shock cardiogeno è fondamentale una rete integrata di centri e operatori esperti per la gestione di questa complessa sindrome? Questa è la domanda che si pongono gli autori e a cui provano a rispondere. •

rassegne




Alla ricerca del Santo Graal

Da qualche decennio la dimostrazione che, dopo un insulto ischemico, una parte del miocardio non è morta, ma ha scelto di ridurre la sua attività per sopravvivere, è stata oggetto di molti studi e la dimostrazione di un recupero di questa funzione con la rivascolarizzazione – chirurgica o percutanea – di questi territori “storditi” o “ibernati” è sempre stato il mezzo con il quale raggiungere il Santo Graal del miglioramento prognostico. Purtroppo quando dagli studi retrospettivi, osservazionali si è passati agli studi prospettici, randomizzati, questo paradigma, basato sulla vitalità miocardica, ha portato risultati deludenti. Leonardo Bolognese e Matteo Rocco Reccia riprendono questo tema cercando di superare una visione dicotomica della valutazione della vitalità con un concetto alternativo secondo cui l’obiettivo principale della rivascolarizzazione è prevenire ulteriori danni proteggendo il miocardio vitale residuo da successivi eventi coronarici acuti e prevenendo le aritmie ventricolari. Una nuova strada che vale la pena saggiare. •




Amiloidosi cardiaca e stenosi aortica: un connubio difficile

Il progressivo invecchiamento della popolazione è associato ad un aumento esponenziale dell’incidenza e prevalenza di stenosi valvolare aortica calcifica. Contemporaneamente il miglioramento dei criteri diagnostici e una maggiore consapevolezza della malattia ha permesso di riconoscere sempre più frequentemente la patologia di amiloidosi cardiaca. Le due patologie hanno molti elementi patogenetici comuni, primo tra tutti l’età. Per questo motivo non sorprende che spesso in un paziente siano concomitanti e che possano esserci diverse difficoltà nella gestione clinica e nelle scelte terapeutiche. In questo numero del Giornale, Giuseppe Sena et al. riassumono le attuali evidenze (molto poche e principalmente osservazionali) sull’associazione di queste patologie. Si analizza la fisiopatologia, l’iter diagnostico e infine la gestione terapeutica, consci che ad oggi ancora poco è noto e solo studi in corso potranno aiutare a migliorare l’inquadramento e la gestione di questi pazienti. •




L’uomo di carne cerca un cuore di “latta”

L’insufficienza cardiaca allo stadio terminale è ormai una realtà non più così rara come si pensa, raggiungendo addirittura la prevalenza del 2% circa della popolazione adulta ed aumenta con l’aumentare dell’età. Oggi la terapia medica ha mostrato una significativa evoluzione che però impatta in maniera determinante solo sugli stadi precoci dello scompenso cardiaco, ma nulla può nei casi in cui esso si classifichi come “avanzato”, tipo D della classificazione AHA/ACC. Pertanto la mortalità di questo sottogruppo si aggira ancora oggi intorno al 20% e 60% entro il primo e il quinto anno dalla diagnosi, rispettivamente. Il trapianto cardiaco sappiamo essere un’opzione terapeutica limitata, con una richiesta non soddisfatta dall’offerta, creando così un cono di bottiglia in cui sostano molti pazienti affetti da scompenso cardiaco in condizioni più o meno critiche con un rischio di morte in lista d’attesa che cresce di anno in anno. In questo scenario si collocano i sistemi di supporto circolatorio meccanico, diventando fondamentali anche in quei pazienti temporaneamente non eleggibili al trapianto di cuore, come quelli con grave ipertensione polmonare irreversibile o insufficienza d’organo acuta. Nonostante questi progressi, un numero crescente di pazienti in lista d’attesa sviluppa una grave disfunzione biventricolare, che preclude l’uso di un dispositivo di assistenza ventricolare sinistra come ponte verso il trapianto. In questi casi, un cuore artificiale totale emerge come una valida opzione terapeutica. Invertendo il paradigma per cui nel “Mago di Oz” l’uomo di latta desiderava un cuore di carne, ora è l’essere umano a necessitare un cuore di latta (artificiale). In questa rassegna di Gina Mazzeo et al. vengono riassunte le caratteristiche storiche, attuali e future del cuore artificiale totale. •




L’emogasanalisi in unità di terapia intensiva cardiologica

Partendo dalla premessa che l’interpretazione dell’emogasanalisi e delle variazioni dell’equilibrio acido-base è uno degli argomenti più complessi della medicina, la rassegna di Alberto Genovesi Ebert et al. offre alcuni suggerimenti pratici per l’interpretazione in contesti clinici comuni in unità di terapia intensiva cardiologica. Il lavoro riporta alcuni cenni di fisiologia e la metodologia per una corretta raccolta del campione di sangue e la sua analisi. Vengono poi analizzati i vari aspetti che possono essere valutati con l’emogasanalisi: l’ossigenazione, la ventilazione, il trasporto di ossigeno e l’equilibrio acido-base. Gli autori pongono l’attenzione sulla valutazione e interpretazione del gap anionico, dei lattati, dell’emogasanalisi venosa e arteriosa in differenti contesti clinici. Il manoscritto è arricchito da casi clinici emblematici e algoritmi diagnostici utili per la pratica clinica. Infine, un memorandum riporta i 9 punti chiave per una corretta interpretazione dei risultati. •




Chiariamoci le idee sulle analisi per sottogruppi

Le ricerche cliniche controllate e randomizzate che mettono a confronto diverse strategie diagnostiche e/o terapeutiche possono dare l’impressione che i risultati ottenuti siano identici in tutti i sottogruppi di pazienti (nei maschi come nelle femmine, nei più giovani rispetto ai più anziani, ecc.). Spesso non è così. Pertanto, quando si pianifica uno studio clinico si dovrebbero prevedere a priori tutti i possibili sottogruppi da analizzare dopo il completamento dello studio principale. Christian Basile e Aldo Pietro Maggioni propongono un’eccellente rassegna che esamina le principali problematiche relative alle analisi per sottogruppi. Si tratta di un argomento estremamente utile anche nella pratica clinica quotidiana. In fondo, abbiamo davanti a noi un singolo paziente e dobbiamo sempre chiederci fino a che punto i risultati del megatrial eseguito magari su migliaia di pazienti siano applicabili, in fondo, anche a lui. Gli autori sottolineano il fatto che le analisi per sottogruppi dovrebbero essere definite a priori, biologicamente plausibili e limitate a poche domande clinicamente importanti. Le analisi per sottogruppi sono maggiormente credibili quando lo studio principale ha fornito una differenza chiara e significativa tra i trattamenti in studio e quando i risultati sono biologicamente plausibili e in accordo con altri studi. •

studio osservazionale




Rianimazione cardiopolmonare in ambito scolastico

Davide Dini et al. presentano i risultati di una survey eseguita su 120 insegnanti di scuole di secondo grado (scuole medie), indipendentemente dalla materia insegnata. Il questionario utilizzato per la survey riguardava la posizione dei docenti relativamente alle manovre urgenti di rianimazione cardiopolmonare di base (BLS-D) in caso di necessità. La maggioranza dei docenti ritiene importante acquisire una maggiore conoscenza sulla problematica della BLS-D anche in assenza di una certificazione formale come istruttore. Si è anche rilevata molto diffusa l’opinione sull’importanza di informazioni sulla collocazione e sull’utilizzo del defibrillatore, sull’implementazione di sistemi reminder sulle manovre BLS-D e su protocolli condivisi sulla gestione dell’arresto cardiaco. Sulla possibilità che anche gli studenti possano ricevere una certificazione BLS-D per operatori non sanitari, il 40.9% degli insegnanti si è dichiarato neutrale, probabilmente pensando alla complessità di tali procedure. Al contrario, si tratterebbe di procedure non complicate e di grande importanza pratica. •

caso clinico




Il tumore nel cuore

A partire da un quadro clinico che avrebbe inizialmente orientato verso una patologia ovarica, la paziente protagonista dell’articolo di Andrea Pennacchioni et al. si rivela invece essere affetta da linfoma diffuso a grandi cellule, con multiple localizzazioni, fra le quali il cuore, anch’esso interessato dalla malattia in più sedi, come evidenziato dall’esame ecocardiografico. Proprio questo dato, di multipla localizzazione intracardiaca, ha portato a gestire la paziente senza utilizzare la biopsia miocardica di conferma, ma direttamente con terapia medica oncologica, come ben descritto nel testo. Essendo necessari, nel regime chemioterapico, farmaci ad alto rischio di indurre disfunzione cardiaca, è stata contemporaneamente iniziata terapia cardioprotettiva con betabloccante ed ACE-inibitore e, correttamente, la paziente è stata seguita con periodiche rivalutazioni clinico-strumentali cardiologiche (ECG, ecocardiogramma, biomarker) preliminari ai cicli di chemioterapia. L’articolo mostra un percorso diagnostico-terapeutico lineare che ha condotto in questo caso al successo clinico, con remissione della malattia e regressione delle masse cardiache in assenza di cardiotossicità, e sottolinea l’importanza di una gestione integrata che assicura la massima attenzione ad ogni aspetto della salute del paziente cardio-oncologico. •

position paper




Riduzione intensiva del colesterolo LDL: non solo in prevenzione secondaria

Finalmente la comunità cardiologica si è schierata compatta contro la malpractice della gestione della dislipidemia e dei valori elevati di colesterolo LDL. Sappiamo bene che il rischio cardiovascolare è un complesso insieme di molteplici elementi quali rischio trombotico, lipidico, glucidico, infiammatorio, ecc. Però è un dato certo che il rischio lipidico e quindi soprattutto elevati valori circolanti di colesterolo LDL sono forse la componente più facilmente aggredibile e con la maggiore probabilità di pagare in termini di riduzione degli eventi avversi. In questo numero del Giornale, Pasquale Perrone Filardi et al. sviscerano il ruolo che il colesterolo LDL ha in prevenzione primaria e in particolare nei pazienti a rischio molto alto senza pregresso evento. Ancora esiste un’inerzia enorme da parte di medici e pazienti nell’aggredire con convinzione e precocemente i valori di colesterolo LDL e occorre un ultimo sforzo collettivo per cambiare marcia. •

imaging integrato
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La caratterizzazione di placca

Partendo dal sospetto clinico e dall’ECG, vengono utilizzate in modo sequenziale diverse metodiche di imaging cardiovascolare, evidenziando per ciascuna di esse i pro, i contro e il valore aggiunto nello specifico caso clinico, fino a giungere alla diagnosi corretta e al trattamento più appropriato. •