Il contributo tecnico-infermieristico nel trattamento del paziente con malattia coronarica complessa

Francesco Germinal1, Fabio Negrello2, Matteo Migliorini3, Nicola Leonardo Galizia4, Matteo Longoni5

1U.O.C. Cardiologia-UTIC ed Emodinamica, ASL Lecce, Lecce

2U.O. Cardiologia Interventistica, Dipartimento cardio-toraco-vascolare, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna

3U.O.C. Radiologia Diagnostica ed Interventistica, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara

4Blocco Operatorio Emodinamica/Elettrofisiologia, Presidio Ospedaliero Santa Maria della Misericordia di Udine, Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale

5U.O. Cardiochirurgia, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano

Negli ultimi decenni, come evidenziato dai dati di attività forniti dalla Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), l’angioplastica coronarica percutanea (PCI), ha subito una forte evoluzione in termini di numeri e complessità1. Sebbene vi siano diversi strumenti finalizzati all’individuazione e valutazione della complessità della malattia coronarica come il SYNTAX score2, non vi è ancora accordo rispetto ad una definizione precisa e univoca del concetto di malattia coronarica complessa e di complessità tecnico-assistenziale da essa derivante. Da una survey effettuata da Rjoob et al.3 è emerso come vi sia la necessità di un consenso in merito alla definizione ed ai criteri procedurali e clinici delle PCI complesse e ad alto rischio (CHIP-PCI)3.

In un recente position statement della Society for Cardiovascular Angiography and Interventions (SCAI) sono state delineate le caratteristiche cliniche di rischio più elevato (età avanzata, funzionalità renale depressa e diabete) che hanno permesso di identificare i profili più critici per rischio clinico e complessità procedurale4. La malattia coronarica complessa, associata non solo ad un rischio più elevato di complicanze intraprocedurali, ma anche ad un rischio più elevato di insuccesso, rappresenta uno scenario altamente problematico per i cardiologi interventisti e l’intera équipe. Nonostante gli sforzi profusi nella definizione delle CHIP-PCI e il miglioramento di tecniche e dispositivi per il trattamento di tali lesioni, comprese quelle calcifiche, permane ancora una zona grigia per quanto riguarda la gestione del paziente con malattia coronarica complessa, soprattutto dal punto di vista assistenziale.

Scopo di questo editoriale è quello di fornire una panoramica generale sulla gestione del paziente da un punto di vista tecnico-infermieristico, cercando di evidenziare quali possano essere gli aspetti di maggior interesse nelle fasi pre-, intra- e postprocedurali.

L’utilizzo del team multidisciplinare (MDT) o dell’Heart Team multidisciplinare è una raccomandazione di classe I, ma il suo livello di evidenza rimane piuttosto basso (C) a causa della mancanza di studi randomizzati a supporto dell’efficacia5,6. Seppur in un altro contesto, una revisione sistematica di sette studi randomizzati controllati ha riportato come l’impatto dell’intervento di un MDT di terapia intensiva in pazienti anziani ospedalizzati abbia determinato una riduzione dei tassi di riammissione al pronto soccorso, della mortalità e del declino funzionale7. Purtroppo, la composizione dell’MDT risulta essere ancora poco codificata, tanto più se si tratta di figure professionali non appartenenti all’area medica. Recentemente, nell’update delle joint British Societies pubblicato del 2022, è emerso come sia necessario un cambiamento di paradigma rispetto al MDT tradizionale (Figura 1), dove il nucleo principale che costituisce il team deve essere integrato da altre figure, nell’ottica di una visione più ampia e dettagliata del percorso del paziente8.




Tale necessità si conferma nel contesto delle CHIP-PCI e del trattamento dei pazienti con lesioni calcifiche.

Gli aspetti peculiari della patologia, quali le criticità del paziente e la natura ostile delle lesioni, dovrebbero essere presi in considerazione coinvolgendo anche le figure che partecipano attivamente all’assistenza del paziente prima, durante e dopo la procedura.

Come si evince dal modello proposto da Riley et al.4 (Figura 2), durante la conduzione delle procedure possono intervenire una serie di variabili legate alle condizioni del paziente, all’utilizzo di specifici dispositivi o alle caratteristiche anatomiche delle lesioni che possono portare a scenari altamente variabili e che necessitano di formazione e consapevolezza da parte di tutta l’équipe.




I sistemi di plaque modification and debulking unitamente ai dispositivi di imaging intracoronarico sono strumenti efficaci per la riduzione degli eventi cardiovascolari avversi maggiori ed il miglioramento dell’outcome procedurale, ma diventano vincenti ai fini dell’ottimizzazione dei tempi procedurali e dell’attività multidisciplinare se vengono utilizzati da personale dedicato e altamente formato e specializzato.

La gestione al paziente con malattia coronarica complessa non differisce in maniera rilevante dal paziente coronaropatico standard anche se alcune sue caratteristiche intrinseche determinano un rischio maggiore di complicanze intra- e postprocedurali. La malattia coronarica complessa colpisce maggiormente gli uomini (90%) rispetto alle donne (67%) con un’età >70 anni. Un indice di massa corporea più alto, disordini del profilo lipidico e glucidico e la malattia renale cronica sono fattori di rischio clinico che devono essere tenuti in considerazione sia nella fase di pianificazione procedurale che durante la procedura stessa. Per quanto riguarda la stratificazione del rischio, Mehran et al.9 hanno proposto e validato su un campione di 2786 pazienti uno score di rischio semplice e con un buon livello di predittività dell’outcome.

Così come per il rischio clinico, va prestata attenzione anche al protocollo di radioesposizione da utilizzare e al monitoraggio delle dosi erogate al termine delle procedure complesse, nonché alla quantità di mezzo di contrasto utilizzato per la valutazione del danno d’organo10. Unitamente ai tecnici di radiologia quali responsabili della radioprotezione, potrebbe essere necessaria per il servizio di Fisica Sanitaria l’applicazione di un protocollo di monitoraggio del rischio deterministico per seguire il paziente a rischio al termine del trattamento11.

Come conseguenza della complessità delle procedure determinate da pazienti con lesioni coronariche complesse, al personale tecnico-infermieristico dei laboratori di Emodinamica moderni è richiesta una sempre maggiore preparazione clinica, per poter far fronte alla maggiore competenza necessaria e per meglio supportare tali procedure. Per le professioni sanitarie (infermieri, tecnici sanitari di radiologia medica, tecnici di fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare) che operano nelle cardiologie interventistiche, nel contesto delle CHIP-PCI e del trattamento dei pazienti con lesioni calcifiche, è essenziale possedere una conoscenza dettagliata e approfondita delle nozioni di base e avanzate, nonché saper applicare le migliori evidenze scientifiche, conducendo e gestendo i processi tecnico-clinico-assistenziali, i protocolli procedurali specifici e trasversali12.

L’accurata valutazione iniziale del paziente, la condivisione delle aspettative e delle strategie in un contesto di processo decisionale condiviso, associati ad una formazione specialistica avanzata, dovrebbero assumere un valore rilevante e centrale nella pianificazione e conduzione della procedura. Tali peculiarità possono influenzare in maniera significativa la qualità dell’assistenza infermieristica, delle prestazioni tecniche erogate e dell’outcome finale del paziente con malattia coronarica complessa.

BIBLIOGRAFIA

1. Venkitachalam L, Kip KE, Selzer F, et al. Twenty-year evolution of percutaneous coronary intervention and its impact on clinical outcomes. Circ Cardiovasc Interv 2009;2:6-13.

2. Sianos G, Morel MA, Kappetein AP, et al. The SYNTAX score: an angiographic tool grading the complexity of coronary artery disease. EuroIntervention 2005;1:219-27.

3. Rjoob K, McGilligan V, McAllister R, et al. What do we mean by complex percutaneous coronary intervention? An assessment of agreement amongst interventional cardiologists for defining complexity. Catheter Cardiovasc Interv 2023;102:1-10.

4. Riley RF, Henry TD, Mahmud E, et al. SCAI position statement on optimal percutaneous coronary interventional therapy for complex coronary artery disease. Catheter Cardiovasc Interv 2020;96:346-62.

5. Sousa-Uva M, Ahlsson A, Alfonso F, et al. 2018 ESC/EACTS Guidelines on myocardial revascularization. Eur Heart J 2019;40:87-165.

6. Otto CM, Nishimura RA, Bonow RO, et al. 2020 ACC/AHA Guideline for the management of patients with valvular heart disease: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Joint Committee on Clinical Practice Guidelines. J Am Coll Cardiol 2021;77:e25-197.

7. Hickman LD, Phillips JL, Newton PJ, Halcomb EJ, Al Abed N, Davidson PM. Multidisciplinary team interventions to optimise health outcomes for older people in acute care settings: a systematic review. Arch Gerontol Geriatr 2015;61:322-9.

8. Archbold A, Akowuah E, Banning AP, et al. Getting the best from the Heart Team: guidance for cardiac multidisciplinary meetings. Heart 2022;108:e2.

9. Mehran R, Aymong ED, Nikolsky E, et al. A simple risk score for prediction of contrast-induced nephropathy after percutaneous coronary intervention. J Am Coll Cardiol 2004;44:1393-9.

10. Barbieri L, Verdoia M, Marino P, Suryapranata H, De Luca G. Contrast volume to creatinine clearance ratio for the prediction of contrast-induced nephropathy in patients undergoing coronary angiography or percutaneous intervention. Eur J Prev Cardiol 2016;23:931-7.

11. Sciahbasi A, Piccaluga E, Andreassi MG, et al. Position paper SICI-GISE: Miglioramento della radioprotezione nel laboratorio di Emodinamica. G Ital Cardiol 2019;20(9 Suppl 1):14S-28S.

12. Magro B, Chiarabelli M, Barisone M, et al. Documento di posizione SICI-GISE sugli standard dei laboratori di diagnostica e interventistica cardiovascolare: le professioni sanitarie del comparto standard qualitativi e quantitativi. G Ital Cardiol 2019;20(9 Suppl 1):8S-13S.