Uso della tomografia a coerenza ottica nella valutazione e nel trattamento della malattia coronarica calcifica

Marco Busco1, Alfredo Ricchiuto2, Francesco Bianchini1, Gianluca Anastasia3, Fabio Pescetelli3, Matteo Vercellino3, Enrico Romagnoli4, Francesco Burzotta1,4, Carlo Trani1,4, Italo Porto3, Cristina Aurigemma4, Rocco Vergallo3

1Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Pneumologiche, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

2Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Ospedale Sacra Famiglia-Fatebenefratelli, Erba (CO)

3Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Ospedale San Martino, Genova

4Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Roma

Coronary calcific disease represents one of the main challenges for the interventional cardiologist, for whom optimal lesion preparation and percutaneous coronary intervention optimization are paramount for correct management. In this perspective, intravascular imaging using optical coherence tomography (OCT) is becoming an increasingly indispensable tool. This work aims to provide a detailed overview of the complexity of calcified lesions, first analyzing their various morphologies and their clinical impact: spotty calcium seems to be more present in plaques at higher risk of destabilization, while diffuse calcification is typical of stable coronary stenosis; the eruptive calcific nodule is one of the three culprit lesion phenotypes responsible for acute coronary syndromes.

In the second part of this review, the available technologies for the treatment of calcified lesions are described, with the aid of illustrative OCT images. Intravascular lithotripsy causes fractures at various levels of the calcified plaque, both circumferentially and longitudinally, with an improvement in vessel compliance; atherectomy acts by modifying the composition of the plaque with selective action on the hard calcific component. OCT, providing a comprehensive overview of lesion characteristics, can guide in the selection of the most appropriate therapeutic strategy, while also offering important information on the effectiveness of the chosen treatment.

Key words. Calcific coronary artery disease; Coronary atherectomy; Eruptive calcified nodules; Intravascular lithotripsy; Optical coherence tomography; Spotty calcium.

INCIDENZA ED IMPLICAZIONI PROGNOSTICHE DELLE LESIONI CALCIFICHE

La valutazione e il trattamento delle lesioni calcifiche rappresentano da lungo tempo una sfida per il cardiologo interventista. La calcificazione coronarica si configura come un riconosciuto indicatore del complessivo carico aterosclerotico e si associa ad un incremento significativo del rischio cardiovascolare assoluto. Numerosi studi hanno mostrato come la calcificazione coronarica (CC) sia un predittore affidabile, riproducibile e indipendente di eventi cardiovascolari1,2. Le linee guida attuali raccomandano l’utilizzo di score che quantificano la CC, per migliorare l’accuratezza nella valutazione del rischio cardiovascolare in individui asintomatici a rischio intermedio e per guidare la decisione riguardante eventuali terapie preventive3,4. Nella valutazione delle lesioni calcifiche è fondamentale distinguere il contesto clinico, in particolare la sindrome coronarica acuta rispetto all’aterosclerosi calcifica nella sindrome coronarica cronica: due entità ben distinte, con percorsi diagnostici completamente diversi, ma spesso simili gradi di difficoltà di trattamento. Tipicamente, le lesioni coronariche stabili sono associate ad una maggiore quantità di calcio rispetto alle lesioni instabili. Si pensi all’occlusione totale cronica (CTO), prototipo della lesione cronica severamente calcifica. L’elevato carico calcifico è una delle principali caratteristiche dell’aumento di complessità durante l’angioplastica delle CTO, tanto da essere incluso in tutti i principali punteggi di complessità delle CTO5,6. Studi istopatologici hanno dimostrato che il calcio si trova principalmente a livello del cappuccio prossimale7; sono stati sviluppati specifici algoritmi per il trattamento delle CTO, come definito nel documento di consenso CTO-ARC8. D’altra parte, specifici pattern di calcificazione coronarica, come le microcalcificazioni e il nodulo calcifico, sono associati all’instabilità ed alla vulnerabilità della placca. Tra questi, il nodulo calcifico (assieme alla rottura di placca ed all’erosione) rappresenta uno dei tre principali pattern con cui si manifesta la sindrome coronarica acuta. Nell’analisi congiunta degli studi ACUITY (Acute Catheterization and Urgent Intervention Triage Strategy) e HORIZON-AMI (Harmonizing Outcomes with Revascularization and Stents in Acute Myocardial Infarction), la presenza di lesioni culprit moderatamente o severamente calcifiche si associava ad un significativo peggioramento degli outcome clinici e ad un incremento dell’incidenza di trombosi dello stent e di rivascolarizzazione della lesione target ad 1 anno9,10. La prevalenza delle lesioni calcifiche aumenta con l’età, è più comune negli uomini11 e si correla a fattori di rischio quali ipertensione arteriosa, diabete e insufficienza renale12,13. La presenza di CC si riscontra, quindi, in una popolazione di pazienti che hanno un profilo di rischio sia ischemico che emorragico maggiore e il cui trattamento è sicuramente più complesso. Tuttavia, l’incidenza della CC può variare in base alla metodica diagnostica utilizzata10,14,15. L’angiografia coronarica rileva calcificazioni di grado moderato-severo in circa il 20-25% dei pazienti, ma la sensibilità aumenta notevolmente con l’ecografia intravascolare (IVUS) e la tomografia a coerenza ottica (OCT). Quest’ultima metodica sta acquisendo sempre più un ruolo cardine nella diagnosi e nel trattamento delle lesioni calcifiche. Questo lavoro mira a fornire una panoramica dettagliata sulla complessità e sulle implicazioni cliniche e terapeutiche delle lesioni calcifiche, con un focus particolare sul ruolo dell’OCT in questo contesto. L’obiettivo è offrire un approccio pratico per la diagnosi e il trattamento di queste lesioni, superando le limitazioni delle altre metodiche diagnostiche.

DIAGNOSI DI ATEROSCLEROSI CORONARICA CALCIFICA MEDIANTE TOMOGRAFIA A COERENZA OTTICA

Principi di funzionamento della tomografia a coerenza ottica

L’OCT è una tecnica di imaging che consente di ottenere immagini tissutali bi- e tridimensionali ad alta risoluzione tramite la misurazione dell’ampiezza e del ritardo del tempo di ritorno della luce riflessa e rifratta dai costituenti del tessuto stesso. Di fatto, l’OCT permette di eseguire una “biopsia ottica” in tempo reale, con una risoluzione assiale di 10-15 µm. La principale differenza rispetto all’IVUS risiede nell’energia utilizzata: l’OCT si avvale di una sorgente luminosa, mentre l’IVUS utilizza ultrasuoni. La velocità della luce è notevolmente superiore rispetto a quella del suono nei tessuti (circa 300 000 km/s rispetto a 1500 m/s), mentre la lunghezza d’onda della radiazione luminosa è notevolmente inferiore a quella del suono. Queste differenti proprietà fisiche conferiscono alle due metodiche caratteristiche distintive: l’IVUS ha una maggiore capacità di penetrazione, ma una minore risoluzione spaziale (100-200 µm), mentre l’OCT combina una buona penetrazione (2 mm) con un’elevata risoluzione spaziale (10-15 µm). Le immagini catturate vengono poi rappresentate attraverso una scala cromatica. Grazie alla migliore risoluzione spaziale, l’OCT supera molti dei limiti dell’IVUS, consentendo una definizione e una quantificazione più precise della placca calcifica. Tuttavia, la lunghezza d’onda inferiore dell’OCT (<8 µm) provoca la retrodiffusione del sangue, rendendo la parete del vaso poco visibile senza l’eliminazione del sangue stesso. Di conseguenza, l’OCT offre una chiara interfaccia tra il lume e la superficie della placca, agevolando misurazioni accurate del lume. Tuttavia, è importante notare che la necessità di eliminare il sangue richiede la somministrazione di mezzo di contrasto durante il singolo run di acquisizione16. La necessità di una corretta cannulazione con catetere guida coronarico per somministrare mezzo di contrasto durante l’acquisizione di immagini OCT, rende questa metodica poco adatta alla valutazione delle lesioni coronariche ostiali; in questo contesto, quindi, l’IVUS rimane la metodica di imaging d’elezione. Nel campo specifico delle lesioni calcifiche, a causa del cono d’ombra acustico creato dall’interazione tra il calcio e il fascio di ultrasuoni, l’IVUS consente solo la definizione dell’arco calcifico, senza riuscire a determinare lo spessore, la profondità e il volume della lesione calcifica, che costituiscono parametri facilmente valutabili con immagini OCT. Infine, l’IVUS mostra maggiori difficoltà nel riconoscimento delle microcalcificazioni (<50 μm, inferiore alla risoluzione spaziale IVUS di 100 μm) e del calcio presente nel contesto di placche con core necrotico (e quindi nascosto da quest’ultimo, che attenua il passaggio degli ultrasuoni non permettendo il riconoscimento delle lesioni retrostanti).

Caratterizzazione della lesione calcifica con tomografia a coerenza ottica

All’OCT, la CC appare come una regione dal basso segnale e dai margini ben definiti. La placca lipidica, invece, si presenta come una regione con segnale poco intenso, ma con margini sfumati e un’attenuazione del segnale maggiore.

In ciascun frame OCT si possono calcolare molteplici indici quantitativi che possono aiutare a stimare l’entità della quota calcifica. La posizione del calcio è definita superficiale o profonda se il bordo anteriore luminale della calcificazione si trova rispettivamente entro o oltre 0.5 mm dalla superficie luminale del vaso. L’ampiezza dell’arco di calcificazione può essere misurata utilizzando uno specifico strumento simile ad un goniometro centrato sul lume (Figura 1B e 1C). In presenza di più di un deposito di calcio, presente in una data sezione trasversale, l’arco è definito come la somma degli archi di ogni singolo deposito di calcio per quella sezione trasversale di vaso. La lunghezza del calcio viene determinata identificando i margini prossimali e distali del deposito di calcio. Lo spessore del calcio è determinato come la distanza tra il margine luminale e quello più esterno della lesione calcifica. Le misurazioni medie dell’ampiezza dell’arco di calcio si ottengono sommando le quantità di calcio in intervalli di 1 mm lungo tutta la lunghezza di ciascuna lesione e dividendo per il numero di intervalli di 1 mm analizzati. Moltiplicando l’arco di calcio medio per la lunghezza totale del calcio si otterrà quindi l’indice di volume del calcio. Queste informazioni possono supportare il cardiologo interventista nella pianificazione della strategia di trattamento delle lesioni calcifiche, dalla scelta dei dispositivi per la preparazione al tipo di stent da impiantare. Inoltre, permettono di valutare il risultato finale, misurando l’espansione e la corretta apposizione delle maglie dello stent. Per standardizzare l’approccio alle lesioni calcifiche e stimare il rischio di utilizzare dispositivi aggiuntivi di debulking durante la procedura, sono stati sviluppati vari score. Uno score per stimare l’entità e la severità della CC è stato validato da Fujino et al.17 In particolare, vengono assegnati 2 punti per un angolo massimo >180°, 1 punto per uno spessore massimo >0.5 mm e 1 punto per una lunghezza >5 mm. Nella coorte di validazione, le lesioni calcifiche con uno score totale >4 mostravano un’espansione subottimale dello stent rispetto a quelle con punteggio compreso tra 0 e 3 (96% vs 78%, p<0.01). All’analisi multivariata, inoltre, questo punteggio si è dimostrato predittore indipendente di ipoespansione dello stent17.

La calcificazione spotty

Le calcificazioni spotty sono depositi di calcio con un arco <90° e una lunghezza <4 mm (Figura 1A). Kataoka et al.18 hanno evidenziato come la presenza di calcificazione spotty sia associata ad aterosclerosi coronarica più estesa e diffusa e ad una progressione accelerata della malattia, nonostante terapia medica ottimale. Le placche contenenti calcificazioni spotty hanno mostrato un maggiore indice lipidico, cappucci fibrosi più sottili ed un incremento di neo-vasi, tutti elementi tipici delle placche vulnerabili. Il calcio spotty sembra essere, quindi, maggiormente presente in placche più a rischio di destabilizzazione. Mizukoshi et al.19 hanno dimostrato che nei pazienti con infarto miocardico acuto o angina instabile, nonostante l’arco, l’area e la lunghezza del calcio fossero significativamente inferiori, il numero di depositi di calcio spotty era maggiore, rispetto ai pazienti con angina stabile. Inoltre, la presenza di calcio spotty, associata a quella di cappuccio sottile della placca fibrolipidica, rappresenta un predittore di danno miocardico periprocedurale durante angioplastiche coronariche elettive20.

La calcificazione diffusa

Il contraltare della calcificazione spotty è rappresentato dalle calcificazioni diffuse, ovvero calcificazioni con arco >90° e lunghezza >4 mm (Figura 1B e 1C). Queste si associano maggiormente a stenosi coronariche stabili21-23. Nella scelta terapeutica e nell’impatto prognostico diventa fondamentale valutare l’arco di calcio continuo medio e massimo ovvero la concentricità della lesione. Dopo la preparazione della lesione, il numero, la profondità e la larghezza delle fratture della placca calcifica risultano aumentare con l’aumentare della concentricità, con un aumento di 4 volte del numero di fratture nelle lesioni con 360° di arco di calcio rispetto alle lesioni con arco calcifico ≤180°. Rispetto al calcio coronarico concentrico, il calcio eccentrico è stato associato a un guadagno meno acuto, a una geometria asimmetrica dello stent e ad una sottoespansione dello stent24.

Il nodulo calcifico eruttivo

Il nodulo calcifico eruttivo, insieme alla rottura di placca e all’erosione, costituisce uno dei tre fenotipi di lesione culprit responsabili delle sindromi coronariche acute. La formazione di un nodulo calcifico eruttivo ha inizio dalla rottura del cappuccio fibroso di una placca a prevalente componente calcifica protrudente nel lume, portando alla formazione di un trombo (Figura 1D).




Il nodulo calcifico eruttivo si presenta, dunque, come una placca fortemente eccentrica che aggetta nel lume del vaso, sulla cui superficie è spesso visibile una stratificazione trombotica; nella maggior parte dei casi è una lesione che si trova nel contesto di aterosclerosi coronarica calcifica diffusa25. Studi istopatologici hanno dimostrato come il nodulo calcifico eruttivo sia responsabile del 2-7% delle trombosi coronariche in pazienti con infarto miocardico acuto e morte cardiaca improvvisa26. Risultati simili provengono da uno studio in vivo, che ha rivelato che il nodulo calcifico eruttivo è responsabile dell’8% delle sindromi coronariche acute27. Lo studio PROSPECT (Providing Regional Observations to Study Predictors of Events in the Coronary Tree) ha dimostrato una prevalenza ancora più alta (17% per vaso e 30% per paziente) di noduli calcifici diagnosticati tramite IVUS con istologia virtuale (VH-IVUS) in pazienti con sindrome coronarica acuta. Tuttavia, il VH-IVUS non è in grado di riconoscere la presenza del trombo e di distinguere tra “nodulo calcifico trombotico” e “calcificazione nodulare non trombotica”, il che spiega la prevalenza più elevata. È importante sottolineare che le semplici placche calcifiche eccentriche, a differenza dei noduli calcifici, sono meno associate a eventi coronarici acuti. Pertanto, è fondamentale definire correttamente il nodulo calcifico eruttivo, con la diagnosi che richiede appunto la presenza del trombo28. Recentemente, Sugiyama et al.29 hanno condotto un’analisi dettagliata delle placche calcifiche tramite OCT in pazienti con sindrome coronarica acuta, per studiare la prevalenza di diverse morfologie di placche calcifiche al livello della lesione culprit. In totale, su un campione di 1241 pazienti, è stata riscontrata la presenza di calcio in 157 casi (12.7%). Gli autori hanno identificato tre diverse tipologie di placca nel sito delle lesioni culprit: nodulo calcifico eruttivo, aterosclerosi calcifica superficiale e protrusione calcifica, con una prevalenza rispettivamente del 25.5%, 67.4% e 7.1%. Tra questi sottotipi di placca calcifica, i noduli calcifici eruttivi sono emersi come i principali responsabili delle sindromi coronariche acute secondo ricerche istopatologiche, mentre il foglietto calcifico superficiale e la protrusione calcifica fanno parte del fibro­ateroma sottostante e non sono identificati come la causa delle sindromi coronariche acute29. Un recente studio condotto da Prati et al.30 ha dimostrato che i noduli calcifici con rottura del cappuccio fibroso, rispetto a quelli senza rottura del cappuccio, sono associati a un rischio di eventi cardiaci avversi maggiori aumentato di circa 6.5 volte. Tuttavia, tutti e tre i tipi di placche calcifiche sono stati associati ad un maggior tasso di complicanze periprocedurali e risultati subottimali di angioplastica rispetto alle placche culprit non calcifiche.

Le microcalcificazioni

Il calcio svolge un ruolo cruciale anche nei meccanismi che possono portare alla rottura di placca. È stato recentemente dimostrato che, oltre a fattori quali lo spessore del cappuccio, la morfologia e la composizione tissutale dell’ateroma, le microcalcificazioni con dimensioni >5 μm possono aumentare lo stress tissutale locale portando alla rottura del cappuccio fibroso31. È importante notare che le microcalcificazioni sono un elemento comune nei cappucci aterosclerotici umani32. Tuttavia, la maggior parte delle microcalcificazioni è <5 μm e queste, in realtà, sembrano non presentare un reale potenziale di destabilizzazione della placca33. Inoltre, la posizione delle microcalcificazioni può influenzare la loro potenziale associazione con le sindromi coronariche acute. Nello specifico, le microcalcificazioni contenute nel nucleo necrotico non costituiscono un elevato rischio dal punto di vista meccanico. Questo perché queste microcalcificazioni sono immerse in un pool lipidico viscoso che non genera tensioni di trazione significative. Al contrario, le microcalcificazioni presenti nel cappuccio fibroso potrebbero giocare un ruolo importante nell’equilibrio rottura-stabilizzazione dello stress31,34. Tuttavia, spesso risulta difficile stabilire una netta distinzione tra questi due scenari, poiché le diverse microcalcificazioni possono confluire all’interno di un fibro-ateroma calcifico o di un nodulo calcifico32. Nonostante l’OCT sia la metodica di imaging intracoronarico con più alta risoluzione spaziale, non è sempre in grado di rilevare in modo accurato le microcalcificazioni. La micro-tomografia a coerenza ottica (μOCT), ancora utilizzata esclusivamente a scopo di ricerca, potrebbe in futuro colmare questa lacuna35.

LA TOMOGRAFIA A COERENZA OTTICA NEL TRATTAMENTO DELLE LESIONI CALCIFICHE: DALLA PREPARAZIONE DELLA LESIONE ALLA VALUTAZIONE DELLE FRATTURE DEL CALCIO (CRACKING)

L’OCT riveste un ruolo cruciale sia nella diagnosi che nel trattamento della malattia coronarica calcifica (Figura 2).




Le informazioni dettagliate su morfologia, spessore e lunghezza delle lesioni possono aiutare il cardiologo interventista a pianificare con maggiore precisione la strategia di preparazione della lesione e la scelta del trattamento più adatto. Negli ultimi anni importanti trial multicentrici hanno dimostrato il ruolo dell’OCT come guida durante l’angioplastica coronarica. Nel trial OCTIVUS (Optical Coherence Tomography versus Intravascular Ultrasound-Guided Percutaneous Coronary Intervention), in pazienti con malattia coronarica significativa, la procedura coronarica percutanea (PCI) guidata dall’OCT non è risultata inferiore alla PCI guidata dall’IVUS, per quanto riguarda l’incidenza di un endpoint composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico correlato al vaso target o rivascolarizzazione del vaso target guidata dall’ischemia a 1 anno36. Nello studio OCTOBER (European Trial on Optical Coherence Tomography Optimized Bifurcation Event Reduction), la PCI guidata dall’OCT è risultata associata a una minore incidenza di eventi avversi cardiovascolari maggiori a 2 anni rispetto alla PCI guidata dall’angiografia, anche nel caso di lesioni localizzate a livello delle biforcazioni37. Infine, nel trial ILUMIEN IV (Optical Coherence Tomography Guided Coronary Stent Implantation Compared with Angiography: A Multicenter Randomized Trial in PCI), tra i pazienti sottoposti a PCI, l’utilizzo dell’OCT si associava a un’area minima dello stent più ampia rispetto alla sola guida angiografica, seppur in assenza di un risultato significativo in termini di outcome clinico38. Complessivamente l’OCT ha dimostrato migliori risultati sia clinici sia procedurali rispetto all’angiografia, specialmente nei casi di PCI ad alto rischio e su lesioni complesse39,40. Negli ultimi anni numerosi dispositivi sono stati sviluppati per trattare l’aterosclerosi calcifica. Sono disponibili vari tipi di palloni: il super high-pressure OPN NC balloon, il cutting balloon, lo scoring balloon, il chocolate balloon. Una delle modalità di trattamento più utilizzate è la litotrissia intravascolare (IVL) che consente la somministrazione focale attraverso un pallone di onde soniche che determinano il cracking del calcio. Infine, sono disponibili varie tecniche di aterectomia come l’aterectomia rotazionale, l’aterectomia orbitale e l’aterectomia coronarica con laser ad eccimeri. Le tecniche con palloni dedicati hanno l’obiettivo di ridurre la resistenza della placca, creando dei piani di clivaggio e permettendo quindi l’espansione dello stent, rompendo il calcio in più zone, mentre le tecniche ablative rimuovono frammenti di tessuto. Ognuno di questi dispositivi viene utilizzato in lesioni calcifiche con differenti caratteristiche morfologiche. L’OCT, fornendo una panoramica completa delle caratteristiche delle lesioni, dal grado di calcificazione allo spessore, estensione longitudinale ed eccentricità/concentricità, può guidare nella selezione della tecnologia più appropriata. Dopo aver preparato la lesione con il dispositivo scelto, l’OCT offre importanti informazioni sull’efficacia del trattamento stesso. La frattura del calcio viene identificata come una interruzione o discontinuità nello spessore del calcio. Il numero di fratture per lesione viene determinato tracciando le linee di frattura in modo continuo, frame per frame, lungo tutta la lesione confrontandole con l’immagine longitudinale OCT. Le fratture nella lesione calcifica e l’ampliamento del lume indicano una migliore compliance del vaso e predicono un’espansione adeguata dello stent41. Se il risultato ottenuto non è soddisfacente, va presa in considerazione un’ulteriore tecnica di modifica/rottura del calcio prima dell’impianto dello stent. Dopo il posizionamento dello stent l’imaging intracoronarico fornisce ulteriori informazioni, come la corretta espansione dello stent, l’eventuale presenza di malapposizione e l’area minima della sezione trasversale dello stent. Nel trial randomizzato PREPARE-CALC (Comparison of Strategies to Prepare Severely Calcified Coronary Lesions), che ha confrontato l’uso di palloni dedicati e l’aterectomia rotazionale nel trattamento delle lesioni calcifiche, entrambi i gruppi hanno ottenuto una preparazione sufficiente con la presenza di rotture della placca calcifica sotto gli stent impiantati (in media 3.4 e 3.3 cracking, rispettivamente). Tuttavia, nella maggior parte dei casi, l’espansione dello stent era inferiore all’80%. Nonostante ciò, gli esiti clinici a medio termine sono stati favorevoli, con un successo procedurale del 90% per il gruppo dei palloni dedicati e del 98% per il gruppo aterectomia rotazionale. L’incidenza di eventi clinici a 9 mesi è stata bassa, con un’incidenza di rivascolarizzazione della lesione target del 3.3% nel gruppo dei palloni e dell’1.6% nel gruppo aterectomia rotazionale. Questo dimostra che il limite tradizionalmente suggerito per l’espansione dello stent potrebbe non essere raggiunto in molti pazienti con lesioni severamente calcifiche, ma una preparazione adeguata della lesione è comunque associata a basse incidenze di rivascolarizzazione della lesione target. Questo suggerisce che la corretta preparazione della lesione calcifica sia un fattore clinicamente rilevante. Il trial PREPARE-CALC ha inoltre confermato che i parametri OCT, come la gravità e la distribuzione della calcificazione, sono correlati all’espansione dello stent, in particolare la lunghezza della placca calcifica è associata alla sottoespansione dello stent, mentre lo spessore della placca calcifica si correla con l’asimmetria dello stent42.

Effetti della litotrissia intravascolare sulle lesioni calcifiche

La IVL con sistema Shockwave è stata introdotta recentemente nel trattamento delle lesioni calcifiche. Convertendo energia elettrica in energia meccanica tramite onde soniche circonferenziali, è in grado di provocare micro- e macrofratture anche di placche calcifiche profonde. Gli studi Disrupt CAD I, II e III e Disrupt PAD43-47 hanno dimostrato che il meccanismo principale del guadagno luminale, dopo il trattamento con IVL, è la frattura del calcio, eliminando la necessità di gonfiaggio di palloncini ad alta pressione e riducendo i rischi di barotrauma. La IVL provoca fratture a vari livelli della placca calcifica, sia circonferenziali che sul piano longitudinale, con conseguente miglioramento della compliance dei vasi trans­murali e dell’espansione dello stent (Figura 3).




Tale modello di frattura del calcio, osservato con l’OCT, è sovrapponibile a quello osservato mediante tomografia micro-computerizzata e analisi istopatologica48. I dati sono più limitati per quanto riguarda il trattamento IVL del nodulo calcifico e delle calcificazioni eccentriche. In merito alle lesioni eccentriche, i dati aggregati di Disrupt CAD I e Disrupt CAD II49 hanno dimostrato esiti angiografici e complicanze simili nel confronto con le lesioni concentriche. Inoltre, un’analisi stratificata in base al carico di calcio nel sottostudio Disrupt CAD I OCT ha dimostrato un’espansione dello stent simile (>100%) nel sito di massimo spessore del calcio, indipendentemente dall’angolo del calcio44. Infine, è in corso di realizzazione un’analisi più approfondita che utilizza i dati aggregati dei sottostudi OCT Disrupt CAD I, Disrupt CAD II, III e IV per valutare l’effetto del trattamento IVL nel calcio eccentrico e nel nodulo calcifico. Sebbene siano state osservate fratture profonde del calcio (a livello dell’avventizia), che sottolineano la capacità della IVL di modificare il calcio vascolare profondo, non sono state osservate perforazioni vascolari dopo il solo trattamento con IVL nello studio Disrupt CAD44,45. Il rischio di perforazione dei vasi è probabilmente mitigato dalla capacità delle onde d’urto acustiche IVL di attraversare i tessuti molli con un effetto minimo e dalla presenza di fibrosi avventiziale50-52. I frammenti di calcio fratturati e più grandi generati dall’IVL sembrano rimanere in situ, a differenza di quanto accade con i dispositivi di aterectomia, che spesso generano detriti di microparticolato che possono embolizzare, causando occlusione microcircolatoria distale, con i rischi connessi di ischemia tissutale e infarto.

Effetti dell’aterectomia rotazionale e/o orbitale

L’aterectomia (orbitale o rotazionale) viene presa in considerazione generalmente se le calcificazioni coronariche sono molto estese, in caso di impossibilità nel crossare la lesione con palloni o di non corretta espansione dei palloni prima della creazione di dissezioni. L’OCT permette di evidenziare chiaramente il meccanismo d’azione dell’aterectomia, metodica che agisce modificando la composizione della placca, con un’azione selettiva sulla componente dura calcifica. All’imaging OCT sono, infatti, chiaramente visualizzabili le fratture nella componente calcifica (Figura 4A-C) e, meno frequentemente, una vera e propria ablazione/rimozione tissutale. D’altronde, mentre la visualizzazione di linee di dissezione sulla componente calcifica lascia presagire una migliore espansione dello stent (Figura 4D), la presenza di grosse fratture nella componente tissutale si associa più frequentemente a complicanze quali embolizzazione distale o perforazione coronarica53,54.




Le varie tecniche di aterectomia sembrano avere un’efficacia diversa in relazione al tipo di lesione. Per esempio, sebbene l’aterectomia rotazionale sia in grado di ablare efficacemente il calcio superficiale, ha minori effetti sul calcio profondo. In questi casi, può essere utile l’aterectomia orbitale o, in alternativa, l’aterectomia rotazionale può essere utilizzata in combinazione con la IVL.

CONCLUSIONI

La corretta valutazione e l’appropriato trattamento delle lesioni coronariche calcifiche rappresentano una delle principali sfide per il cardiologo interventista. La preparazione ottimale della lesione calcifica e l’ottimizzazione del risultato della PCI e dell’impianto di stent sono punti chiave nella gestione di queste lesioni. A causa dei limiti dell’angiografia coronarica nella visualizzazione del calcio, l’imaging intracoronarico può fornire informazioni aggiuntive utili in questo contesto. Grazie alla sua elevata risoluzione spaziale, l’OCT rappresenta uno strumento importante nella diagnosi, nella caratterizzazione e nel trattamento efficace delle lesioni coronariche calcifiche.

RIASSUNTO

La malattia coronarica calcifica rappresenta una delle principali sfide per il cardiologo interventista, per la cui corretta gestione è preponderante la preparazione ottimale delle lesioni e l’ottimizzazione del risultato finale dell’angioplastica. In questa prospettiva, l’imaging intravascolare mediante tomografia a coerenza ottica (OCT) rappresenta uno strumento sempre più imprescindibile. Questo lavoro mira a fornire una panoramica dettagliata sulla complessità delle lesioni calcifiche, analizzandone innanzitutto le varie morfologie e il loro impatto clinico: il calcio spotty sembra essere maggiormente presente in placche più a rischio di destabilizzazione, la calcificazione diffusa è invece tipica di stenosi coronariche stabili; il nodulo calcifico eruttivo costituisce uno dei tre fenotipi di lesione culprit responsabili delle sindromi coronariche acute.

Nella seconda parte di questa rassegna viene evidenziato, con l’ausilio di immagini OCT esemplificative, il meccanismo d’azione delle diverse tecniche di modifica del calcio. La litotrissia intravascolare provoca fratture a vari livelli della placca calcifica sia circonferenziali che sul piano longitudinale con miglioramento della compliance dei vasi; l’aterectomia agisce modificando la composizione della placca con un’azione selettiva sulla componente dura calcifica. L’OCT, fornendo una panoramica completa delle caratteristiche delle lesioni, può guidare nella selezione della strategia terapeutica più appropriata offrendo, al contempo, importanti informazioni sull’efficacia del trattamento scelto.

Parole chiave. Aterectomia coronarica; Calcio spotty; Litotrissia intravascolare; Malattia coronarica calcifica; Nodulo calcifico eruttivo; Tomografia a coerenza ottica.

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