In questo numero

editoriale




Linee guida ESC 2024 sull’ipertensione

In occasione del Congresso annuale della Società Europea di Cardiologia sono state presentate, e contemporaneamente pubblicate sullo European Heart Journal, le linee guida 2024 sull’ipertensione. Si tratta di un documento molto corposo nel quale vengono presi in esame tutti gli aspetti relativi all’ipertensione, con grande ricchezza di tabelle, figure e raccomandazioni. Paolo Verdecchia e Pasquale Perrone Filardi sintetizzano i principali messaggi emersi da queste raccomandazioni, cercando di mettere in luce le principali differenze rispetto ad altre importanti linee guida internazionali sull’ipertensione, in particolare quelli della European Society of Hypertension, pubblicate nel 2023, e quelle Nord-Americane (American Heart Association, American College of Cardiology ed altre Società Scientifiche americane). Gli autori sintetizzano e discutono criticamente gli aspetti di queste linee guida che possono essere di maggiore utilità e rilevanza nella pratica clinica quotidiana. •

rassegne




Lo score di rischio poligenico

L’impatto prognostico avverso dei classici fattori di rischio cardiovascolare (fumo di sigaretta, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, diabete mellito, ecc.) è ben noto da anni, così come è ben nota la possibilità di ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari maggiori mediante il controllo, farmacologico e non farmacologico, di tali fattori. Esiste tuttavia una quota di rischio cardiovascolare indissolubilmente legata a cause genetiche ed identificabile attraverso l’analisi genetica di alcune mutazioni. Antonio Francesco Amico et al. presentano uno stato dell’arte molto aggiornato su tale problematica. Lo score di rischio poligenico permette una certa quantificazione del rischio di complicanze cardiovascolari già presente alla nascita. Si tratta di un settore in rapido sviluppo. Esistono studi che suggeriscono che i soggetti definibili come geneticamente ad alto rischio potrebbero trarre beneficio da un trattamento, ad esempio con statine, con maggiore giovamento rispetto allo stesso trattamento in soggetti a più basso rischio. Tuttavia, come riconosciuto dagli autori, non abbiamo ancora i risultati di studi prospettivi espressamente disegnati per valutare l’utilità clinica della stima del rischio poligenico in aggiunta a quello dei fattori di rischio tradizionali. •




Piastrine e cascata coagulativa: due fronti per ridurre il rischio di eventi aterotrombotici nell’arteriopatia periferica

La conoscenza dei complessi meccanismi fisiopatologici alla base degli eventi aterotrombotici è fondamentale per mettere in atto interventi terapeutici mirati. Nella rassegna di Vito Altamura et al. vengono riportate le differenti caratteristiche delle lesioni aterotrombotiche coronariche e periferiche, sottolineando il ruolo della cascata coagulativa e delle piastrine con un riferimento anche al concetto del “paradosso della trombina” descritto da Griffin. Il fatto che la trombina possa avere un effetto procoagulante e anche anticoagulante è alla base dell’impiego degli inibitori diretti della trombina, i quali preservano l’azione anticoagulante della trombina ma interferiscono con la sua attività procoagulante. La rassegna esamina le evidenze disponibili sulla duplice terapia antitrombotica con l’impiego di antipiastrinici e anticoagulanti orali diretti, la “dual pathway inhibition”. Inoltre, vengono date delle indicazioni pratiche sull’impiego della “dual pathway inhibition” partendo dalle raccomandazioni delle linee guida internazionali e facendo riferimento al position paper ANMCO sull’utilizzo di rivaroxaban a basse dosi nella prevenzione secondaria degli eventi aterotrombotici. •




L’anziano con scompenso cardiaco

Quando si parla di scompenso cardiaco, il pensiero corre subito all’anziano. Perché oltre una persona su dieci, tra gli over-65, deve fare i conti con questa patologia. Inoltre è noto come gli anziani siano scarsamente rappresentati nei trial clinici, con indubbie limitazioni riguardo ad alcune ricadute pratiche delle raccomandazioni provenienti dalle principali linee guida sullo scompenso cardiaco. Ad esempio, l’implementazione delle terapia ottimizzata nel paziente anziano risulta spesso più difficile, oltre che per l’età, anche per l’elevata incidenza di comorbilità specie non cardiovascolari che condizionano la tollerabilità e il rischio di eventi avversi delle terapie raccomandate. È oltremodo utile quindi la rassegna di Maristella Belfiori et al. che affrontano con spiccato indirizzo pratico la problematica della gestione e della reale applicabilità della terapia nel paziente anziano del mondo reale, sulla base di un’attenta revisione critica delle più recenti indicazioni. •




Come il paziente valuta l’assistenza ricevuta

PROMs (patient-reported outcome measures) e PREMs (patient-reported experience measures) sono tecniche di valutazione dell’impressione che il paziente matura in termini essenzialmente di risultati clinici (PROMs) e di impressioni sugli aspetti di natura essenzialmente ambientale durante la permanenza nell’ambiente medico (PREMs). Michela Barisone et al. prendono in esame lo stato dell’arte e le esperienze finora maturate in termini di PROMs e PREMs nella gestione dei pazienti con malattie cardiovascolari. L’uso di PROMs e PREMs permette indubbiamente un’analisi esaustiva riguardo al benessere del paziente, in associazione ai classici indicatori obiettivi di successo clinico. Diversi lavori in questo contesto suggeriscono che queste tecniche incentrate sul paziente possono contribuire ad identificare e migliorare le esigenze individuali dei singoli soggetti, con il risultato finale di una migliore personalizzazione delle terapie e dei servizi offerti dalla struttura. •




NNT e NNH: che significano?

Silvio Garattini et al. presentano un’interessante e provocatoria revisione della letteratura riguardante il “number needed to treat” (NNT) ed il “number needed to harm” (NNH). Nella pratica clinica, quando prescriviamo una terapia, spesso ci chiediamo: quanti pazienti debbo trattare in questo modo (che sia un farmaco, una procedura interventistica, una strategia, ecc.) al fine di prevenire un evento (morte, infarto o qualsiasi altro evento)? È questo il cosiddetto NNT. E inoltre possiamo chiederci: se prescrivo questa stessa terapia, ogni quanti pazienti trattati rischio di causare, per effetto del trattamento che sto prescrivendo, un certo effetto collaterale deleterio per il paziente? È questo l’NNH. Gli autori suggeriscono che questa riflessione vada fatta coinvolgendo anche il paziente. NNT e NNH sono calcoli molto semplici da fare, sulla base degli studi disponibili. È evidente che NNT e NNH sono validi qualora il medico abbia davanti un paziente che sia simile per caratteristiche cliniche ai pazienti arruolati negli studi dai quali sono stati calcolati NNT e NNH. Inoltre, va ricordato che NNT e NNH sono numeri validi per una durata di tempo analoga a quella dello studio che ha originato questi numeri. Se lo studio fosse durato 4 anni, questi numeri valgono per 4 anni. Per periodi più prolungati, o per pazienti non del tutto simili a quelli studiati nei trial, resta l’incertezza. È evidente che quanto più l’NNT è basso (e l’NNH è alto), tanto più il trattamento è, potremmo dire, valido. •

studi osservazionali




ETNA-AF Europe: la coorte italiana dei pazienti trattati con edoxaban

Gli studi PASS, che hanno l’obiettivo di verificare sicurezza ed efficacia di un farmaco nella pratica clinica quotidiana dopo gli studi registrativi, possono dare un contributo conoscitivo importante, includendo pazienti con un maggiore grado di compromissione clinica per comorbilità e fragilità. Il registro ETNA-AF Europe è lo studio PASS più ampio e con follow-up più lungo tra gli studi PASS degli anticoagulanti orali diretti, in cui edoxaban nel mondo reale è risultato molto sicuro ed efficace in un’ampia coorte di pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare. In particolare, come illustrano Letizia Riva et al., in questo studio osservazionale descrittivo, la coorte italiana arruolata in ETNA-AF Europe si è distinta da quella europea per un maggiore profilo di rischio con età più avanzata, più frequente fragilità e maggiore compromissione della funzione renale. Anche in questa coorte di pazienti dopo 4 anni di trattamento edoxaban è risultato un farmaco estremamente sicuro con tassi molto bassi di emorragia intracranica, sanguinamenti maggiori e sanguinamenti maggiori gastrointestinali. La percentuale di appropriatezza prescrittiva del dosaggio di edoxaban rispetto a quanto indicato nella scheda delle caratteristiche del prodotto è stata molto alta come pure la compliance al trattamento da parte dei pazienti. •




Preservazione della valvola polmonare e tetralogia di Fallot

La tetralogia di Fallot (TOF) rappresenta l’8% di tutte le malformazioni congenite cardiache nell’infanzia ed è la più comune causa cianotica. Si stima che colpisca circa 0.24 neonati ogni 1000 nati vivi. La deviazione del setto infundibolare in avanti e in direzione ascendente altera l’anatomia del ventricolo destro. Questo disallineamento è il principale responsabile sia della stenosi polmonare sia del difetto interventricolare, oltre al fenomeno del cavalcamento aortico. La chirurgia classica per la correzione della TOF solitamente implica l’uso di un patch transanulare a livello della valvola polmonare, ma questo approccio ha mostrato negli anni un importante limite, ovvero esso causa scompenso ventricolare destro a distanza dovuto ad insufficienza polmonare cronica. Nel corso di oltre 10 anni, il centro di Padova ha messo a punto una nuova tecnica chirurgica che mira a conservare al massimo la valvola polmonare. In questo studio, Alvise Guariento et al. riportano i dettagli della tecnica ed i risultati che mostrano come la preservazione della valvola polmonare nella riparazione precoce della TOF rappresenta una significativa evoluzione nel trattamento di questa malformazione cardiaca congenita. •

caso clinico




Ci vuole occhio!

Le complicanze dell’impianto di dispositivi cardiaci elettronici, pacemaker e defibrillatori sono per lo più rappresentate da infezioni con un’incidenza del 2-3%, che talvolta richiedono la rimozione del dispositivo. Stefano Maffè et al. descrivono un caso particolare di complicanza in un paziente portatore di defibrillatore. A distanza di 2 anni dall’impianto del dispositivo è stata riscontrata una lesione simile ad un decubito con sospetta infezione. Inaspettatamente si è trattato della rottura di una cisti di inclusione epidermoide a livello della tasca, radicata nel tessuto sottocutaneo, con una base di impianto esterna alla tasca del defibrillatore. Con l’asportazione della lesione cutanea si è ottenuta la guarigione, senza alcuna compromissione anatomica e funzionale del defibrillatore. •

imaging integrato
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Endocardite protesica ad eziologia fungina

Partendo dal sospetto clinico e dall’ECG, vengono utilizzate in modo sequenziale diverse metodiche di imaging cardiovascolare, evidenziando per ciascuna di esse i pro, i contro e il valore aggiunto nello specifico caso clinico, fino a giungere alla diagnosi corretta e al trattamento più appropriato. •