Documento di posizione della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (SICI-GISE):
Gestione integrata dell’embolia polmonare acuta ed opzioni di trattamento transcatetere

Chiara Fraccaro1, Mario Iannaccone2, Giacomo Giovanni Boccuzzi2, Annalisa Boscolo Bozza3,4, Gianpaolo Carrafiello5, Andrea Dell’Amore4, Luigi Di Serafino6, Sofia Martin Suarez7, Antonio Micari8, Andrea Rolandi9, Filippo Russo10, Stefano Carugo5, Antonio Di Lascio11, Francesco Germinal12, Simona Pierini13, Alberto Menozzi14, Massimo Fineschi15, Tiziana Attisano16, Marco Contarini17, Carmine Musto18, Federico De Marco19, Alfredo Marchese20, Giovanni Esposito6, Giuseppe Tarantini1, Francesco Saia21

1Emodinamica e Cardiologia Interventistica, Clinica Cardiologica, Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica, Azienda Ospedale-Università Padova, Padova

2Emodinamica, Cardiologia 2, Ospedale San Giovanni Bosco, ASL Città di Torino, Torino

3Sezione di Anestesia e Cure Intensive, Dipartimento di Medicina-DIMED, Università degli Studi, Padova

4U.O.C. Chirurgia Toracica e Trapianto di Polmone, Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Santità Pubblica, Azienda Ospedale-Università Padova, Padova

5Policlinico di Milano Ospedale Maggiore, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Università degli Studi, Milano

6Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi Federico II di Napoli, Napoli

7Dipartimento di Cardiochirurgia, IRCCS Azienda Ospedaliera Universitaria di Bologna, Policlinico di Sant’Orsola, Bologna

8Dipartimento BIOMORF, Università degli Studi di Messina, Policlinico G. Martini, Messina

9S.S.C. Emodinamica - S.C. Cardiologia, E.O. Ospedali Galliera, Genova

10Unità di Cardiologia Interventistica, IRCCS Istituto San Raffaele, Milano

11Laboratorio di Cardiologia Interventistica, ASL Salerno - Ospedale “San Luca”, Vallo della Lucania (SA)

12U.O.C. Cardiologia-UTIC ed Emodinamica, Ospedale Vito Fazzi, ASL Lecce, Lecce

13S.C. Cardiologia e UCC, ASST Nord Milano, Sesto San Giovanni (MI)

14S.C. Cardiologia, Ospedale S. Andrea, La Spezia, ASL 5 Liguria

15U.O.C. Cardiologia Interventistica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese, Siena

16U.O.S.D. Emodinamica, Dipartimento Cardio Toraco Vascolare, A.O.U. San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, Salerno

17U.O.C. Cardiologia, Presidio Ospedaliero Umberto I, Siracusa

18U.O.S. Cardiologia Interventistica, Ospedale San Camillo Forlanini, Roma

19Centro Cardiologico Monzino IRCCS, Milano

20U.O. Cardiologia Interventistica, Ospedale S. Maria, GVM Care & Research, Bari

21U.O. Cardiologia, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico di Sant’Orsola, Bologna

Pulmonary embolism (PE) is commonly treated primarily with pharmacological therapy, while advanced reperfusion therapies (transcatheter or surgical) are considered only in cases of contraindications or failure of standard therapies. Treatment algorithms vary depending on the patient’s risk, with patients at intermediate or high risk potentially requiring evaluation for such advanced reperfusion therapies. Critical scenarios, such as contraindications to systemic thrombolysis or failure of pharmacological protocols, necessitate the activation of a multidisciplinary pulmonary embolism response team (PERT) and prompt therapeutic escalation. Integrated in-hospital pathways and the extension of PERT at the provincial/regional level are recommended to improve access to advanced therapies and promote uniform management of PE. Larger randomized clinical trials are needed to assess the efficacy of transcatheter therapies compared to current standards. In conclusion, a multidisciplinary and standardized approach, supported by evidence-based guidelines, is essential to optimize PE management and improve clinical outcomes. The Italian Society of Interventional Cardiology (SICI-GISE) aims to promote such standardization nationally with this expert position paper, ensuring appropriateness and equity of care for patients, as well as fostering further scientific research and education.

Key words. High risk; Integrated network; Protocols; Pulmonary embolism; Thrombolysis; Transcatheter thrombectomy.

INTRODUZIONE

L’embolia polmonare (EP) acuta può manifestarsi con un’ampia varietà clinica in termini di gravità e potenziali complicanze. Nonostante i progressi nella sua gestione, rimane spesso sottodiagnosticata e sottotrattata. Negli ultimi anni sono state introdotte nuove opzioni terapeutiche e le evidenze scientifiche sono in continua evoluzione. Questo position paper societario si propone di fornire algoritmi pratici basati sulle evidenze attuali per una gestione tempestiva, aggiornata e standardizzata dell’EP. L’obiettivo è ottimizzare i percorsi di diagnosi e cura, migliorando così l’outcome dei pazienti affetti da questa patologia critica.

EPIDEMIOLOGIA DELL’EMBOLIA POLMONARE ACUTA E PENETRANZA DEI VARI TRATTAMENTI SU SCALA GLOBALE

L’EP acuta è un importante problema sanitario globale, con un’incidenza annuale variabile fra 39 e 115 su 100 000 persone, ed è in aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione, delle maggiori comorbilità e del miglioramento nei metodi di imaging1-3. L’incidenza raggiunge 1 su 100 negli anziani1, è più comune negli uomini, escludendo gli effetti della gravidanza e degli estrogeni4, e nei pazienti di colore5. Fino al 20% dei pazienti con EP muore entro 90 giorni, con un rischio maggiore tra coloro che si presentano con instabilità emodinamica6. I casi non fatali possono portare a problemi a lungo termine come la sindrome post-EP nella metà dei pazienti e l’ipertensione polmonare tromboembolica cronica nello 0.1-4%, influenzando profondamente la prognosi a lungo termine, lo stato funzionale e la qualità della vita7,8. Sebbene la maggior parte dei pazienti con EP sia a basso rischio clinico e risponda bene alla terapia anticoagulante, i casi ad alto rischio presentano fino al 49% di mortalità entro 72 h, necessitando una riperfusione precoce9. La trombolisi sistemica (TS) è l’opzione di trattamento di prima scelta e la più disponibile10, ma le evidenze scientifiche a suo supporto sono limitate10-12, ed è riportato venga somministrata solo nel 16.1% dei casi instabili13, a causa di un elevato rischio di sanguinamenti maggiori o intracranici14. L’embolectomia chirurgica, un altro trattamento raccomandato dalle linee guida internazionali10, è raramente eseguita (0.2%) e presenta un’elevata mortalità post-procedurale13,15,16. Infine è importante sottolineare che nell’EP a rischio intermedio, la trombolisi non è indicata in quanto, pur riducendo l’evoluzione verso l’instabilità emodinamica, aumenta i sanguinamenti gravi (intracranici e non)17. I pazienti di questa tipologia restano comunque a prognosi non benigna e presentano un quadro di potenziale rapida evolutività. Tutte queste considerazioni supportano il crescente interesse per trattamenti alternativi meno invasivi dell’EP come i trattamenti percutanei transcatetere18. Se si considera l’incidenza annuale di EP soprariportata (39-115 su 100 000) e, all’interno di essa, la percentuale stimata dalla letteratura di casi a rischio alto (circa 5%) e intermedio-alto (circa 15%)6,10,19, si può calcolare approssimativamente che in Italia circa 14 000 persone all’anno potrebbero esserne affette e quindi essere potenzialmente candidabili a procedure di trattamento percutaneo.

PRESENTAZIONE CLINICA

La presentazione clinica dell’EP può essere estremamente variegata, potendo rappresentare un reperto incidentale durante indagini di imaging toracico, con una significanza prognostica variabile20, fino ad esordire invece in alcuni casi con shock ostruttivo e morte improvvisa. Essa include in genere sintomi aspecifici come stanchezza, dispnea e dolore toracico, rendendo talora difficile la diagnosi21. Infatti, in Nord America, solo in 1 su 20 pazienti indagati per sospetta EP riceve conferma diagnostica22. Tachicardia, emottisi e segni di trombosi venosa profonda suggeriscono una maggiore probabilità di EP23. Analogamente, storia di dispnea, immobilizzazione, chirurgia recente, cancro attivo, precedente tromboembolismo venoso o sincope sono associati con un aumentato rischio di EP24. Gli algoritmi diagnostici sono fondamentali nel decidere chi sottoporre a imaging di secondo livello, per garantire una diagnosi accurata minimizzando il rischio di irradiazione10.

CONFERMA DIAGNOSTICA

L’angio-tomografia computerizzata polmonare (CTPA) è l’esame di prima scelta per la diagnosi di EP, vantando eccellenti risultati in termini di sensibilità e specificità25. Secondo le linee guida della Società Europea di Cardiologia10, la CTPA è raccomandata per pazienti con un elevato rischio di EP, indipendentemente dalle condizioni emodinamiche; inoltre, nei pazienti con bassa o intermedia probabilità clinica, la diagnosi di EP può essere esclusa con certezza se la CTPA non mostra alcun difetto di riempimento10.

Alla CTPA, l’EP si presenta come un difetto di riempimento da parte del mezzo di contrasto in un’arteria polmonare. L’embolo può localizzarsi in posizione centrale o eccentrica e può causare un’ostruzione completa o parziale del flusso sanguigno (Figura 1), determinando una potenziale retro-dilatazione dell’arteria interessata.




L’eccellente performance diagnostica della CTPA ha portato ad un incrementata diagnosi della presenza anche di coaguli più piccoli, il cui riscontro non è significativamente associato a sopravvivenza o miglioramenti clinici dopo il trattamento26. La quantità di coagulo iniziale (clot burden) gioca un ruolo controverso nella stratificazione del rischio di ciascun paziente con EP27,28 e, secondo le attuali linee guida10, tale parametro non dovrebbe influenzare di per sé le scelte terapeutiche fra terapia farmacologica e interventistica. Le informazioni relative alla quantità e localizzazione del trombo sono comunque estremamente utili nel planning pre-procedurale di interventi di trombectomia transcatetere o chirurgica. Inoltre, un maggior clot burden iniziale sembra associarsi ad un più alto numero di difetti di perfusione residui dopo trattamento, con potenziale impatto clinico e prognostico nel follow-up29. Sono stati proposti vari indici per la valutazione quantitativa del clot burden, come l’indice di ostruzione alla tomografia computerizzata (CTOI) descritto da Qanadli et al.30. La CTPA può anche quantificare l’insufficienza ventricolare destra, permettendo di valutare l’incremento dell’asse corto del ventricolo destro rispetto all’asse corto del ventricolo sinistro (rapporto VD/VS), la deviazione del setto interventricolare verso il VS e il reflusso del mezzo di contrasto nelle vene sovra-epatiche (Figura 2)31.




La CTPA è facilmente accessibile, richiede un breve tempo di acquisizione e ha un’eccezionale accuratezza diagnostica con una bassa incidenza di esiti inconcludenti (3-5%), permettendo non solo di determinare una diagnosi alternativa se l’EP viene esclusa ma anche di stabilire un’efficace stratificazione del rischio dei pazienti mediante tali parametri quantitativi. Qualora la scansione venga estesa anche all’addome, la CTPA può inoltre informare anche relativamente alla presenza di trombosi cavale inferiore e/o dell’asse iliaco, nonché intracardiaca, informazioni molto importanti in particolare nel caso in cui il paziente venga candidato a procedure transcatetere.

CRITERI DI SEVERITÀ DELL’EMBOLIA POLMONARE E STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO

La stratificazione del rischio dei pazienti con EP è determinante per stabilire l’approccio terapeutico più appropriato. Questa comincia sin dal sospetto clinico della patologia e prosegue durante la valutazione diagnostica (Tabella 1).




Nelle fasi iniziali, la stratificazione del rischio è volta all’identificazione di segni e sintomi di instabilità emodinamica, indicativi di un elevato rischio di mortalità, e che indirizzano i pazienti verso una terapia riperfusiva immediata. Per la rimanente – e maggior parte – dei pazienti con EP che non presenta instabilità emodinamica, la stratificazione del rischio ha l’obiettivo di identificare i pazienti a più alto rischio di ingravescenza, e quindi con necessità di monitoraggio ospedaliero, e pazienti che invece potrebbero avvantaggiarsi di una dimissione precoce.

Il Pulmonary Embolism Severity Index (PESI), o la sua versione semplificata (sPESI), rappresenta lo score di rischio più utilizzato nella pratica clinica e, attraverso l’integrazione tra parametri clinici, fattori aggravanti e comorbilità, consente di discernere tra i pazienti a rischio intermedio (PESI ≥III o sPESI ≥1) e basso (PESI <3 o sPESI 0)32-36. Tuttavia, attraverso l’integrazione di questi score con parametri strumentali (ecocardiografia: VD/VS ≥1.0 ed escursione sistolica del piano anulare tricuspidale [TAPSE] <16 mm; CTPA: VD/VS ≥1.0) e laboratoristici (elevati valori di troponina T o I), volti alla ricerca rispettivamente di segni di compromissione della funzione del VD e di danno miocardico, è possibile stratificare ulteriormente i pazienti a rischio intermedio in due sottoclassi: intermedio-basso e intermedio-alto37-44. I pazienti appartenenti a quest’ultima categoria, con segni di danno miocardico e disfunzione del VD, sono quelli che richiedono più stretto monitoraggio, al fine di evidenziare precocemente eventuali segni clinici di aggravamento e quindi indicare strategie riperfusive di salvataggio17 (Tabelle S1-S3 del materiale supplementare online).

TRATTAMENTI DI PRIMA LINEA

Ossigeno-terapia e ventilazione

L’ipossiemia (PaO2 <70 mmHg) è una possibile complicanza dell’EP ed è secondaria ad alterazioni cardiovascolari e/o mismatch ventilo/perfusorio10,45. Anche la dispnea, seppur aspecifica, può essere presente ed è quantificabile tramite la scala analogico-visiva (VAS) o scala di Borg46-48.

Nella pratica clinica:

• in caso di instabilità emodinamica10 e/o Glasgow coma scale (GCS) ≤8, è necessario procedere ad intubazione49;

• in caso di stabilità emodinamica e GCS >8, è utile valutare periodicamente la saturazione periferica di ossigeno (SpO2) e la dispnea (scala VAS o di Borg):

– se SpO2 <90% e/o VAS/Borg scale ≥5 ossigeno-terapia;

– se nonostante ossigeno-terapia non vi è un miglioramento della saturazione e/o della dispnea (SpO2 costantemente <90% e/o VAS/Borg scale ≥5 o in aumento all’inizio del monitoraggio) intubazione.

Supporto emodinamico farmacologico

In caso di instabilità emodinamica ma senza segni di sovraccarico o severa disfunzione del VD, è possibile eseguire un cauto riempimento volemico per garantire una pressione arteriosa media ≥70 mmHg o sistolica (Psist) ≥90 mmHg10,50,51.

Nel caso di instabilità emodinamica con segni di disfunzione del VD, è consigliato l’utilizzo di:

– noradrenalina (range: 0.01-1 g/kg/min)10,52 e/o

– dobutamina, specie nei pazienti con indice cardiaco basso e Psist <90 mmHg (range: 1-20 g/kg/min)10,53.

Le evidenze in merito all’utilizzo di altri farmaci quali levosimendan, dopamina o ossido nitrico inalatorio risultano ancora scarse54,55. In caso di shock cardiogeno refrattario, valutare la necessità di ossigenazione a membrana extracorporea (ECMO) veno-arteriosa (vedi paragrafo “Supporto emodinamico meccanico”)10,56-59.

Terapia anticoagulante iniziale

Nei pazienti emodinamicamente stabili a rischio intermedio-alto10 è raccomandato l’utilizzo di eparina non frazionata (UFH) (80 U/kg [40 U/kg se aPTT tra 35-45 s] in bolo e.v., poi a 18 U/kg/h) per 3-5 giorni (aPTT target tra 1.5 e 2.5 volte il valore basale [50-70 s])10.

Nei pazienti emodinamicamente stabili a rischio intermedio-basso, è indicata l’enoxaparina s.c. (1 mg/kg ogni 12 h) o in alternativa fondaparinux s.c.10.

Nei pazienti a rischio più basso si rimanda alla terapia con eparina a basso peso molecolare o terapia anticoagulante orale secondo gli schemi previsti dalla letteratura10.

Supporto emodinamico meccanico

L’utilizzo dell’ECMO veno-arterioso è una rapida ed efficace opzione per fornire supporto cardiocircolatorio ai pazienti in condizioni emodinamiche scadenti o in progressivo decadimento, come ponte ad una successiva embolectomia (percutanea o chirurgica) o alla remissione del quadro: si è osservata una completa guarigione in una proporzione significativa dei pazienti supportati in ECMO, senza embolectomia successiva60. Le evidenze scientifiche sono comunque limitate e le linee guida offrono scarso supporto in merito all’uso dell’ECMO. L’eterogeneità dei sistemi di classificazione del rischio rendono difficile identificare i pazienti che possono usufruire dell’ECMO con il miglior rapporto rischio/beneficio e la tempistica di trattamento10. Tuttavia, in selezionate situazioni cliniche, l’utilizzo dell’ECMO ha dimostrato un miglioramento rilevante della sopravvivenza dei pazienti affetti da EP61 e va pertanto considerato nei pazienti in shock ostruttivo e/o nei pazienti con instabilità emodinamica candidati a procedure interventistiche, situazione nelle quali va posizionato nel più rapido tempo possibile da chi ne ha le competenze al fine di garantire una trombectomia “protetta”.

TERAPIE RIPERFUSIVE

Trombolisi sistemica

La TS, in aggiunta all’UFH e.v., è il trattamento di prima scelta (classe IB) nell’EP acuta ad alto rischio (diventa classe IIaC per le donne in gravidanza). Nei pazienti a rischio intermedio invece la TS non è indicata come prima scelta a causa dell’aumentato rischio emorragico rispetto all’eparina17. Tuttavia essa è indicata in linee guida come terapia rescue (classe IB) nelle EP a rischio intermedio o basso in cui il trattamento con anticoagulanti non abbia avuto successo10. Il regime di scelta prevede l’infusione e.v. di 100 mg di attivatore tissutale del plasminogeno di tipo ricombinante (rtPA) in 2 h. Il regime accelerato (0.6 mg/kg in 15 min, massimo 50 mg) talora utilizzato in casi di estrema instabilità emodinamica (es. arresto cardiaco) non risulta ufficialmente approvato. Altri regimi di dosaggio “ridotti” sono stati descritti ma richiedono conferme ulteriori prima di essere raccomandati10,62. Agenti trombolitici di prima generazione (streptochinasi e urochinasi) sono oramai desueti a causa della maggiore durata di infusione (12-24 h). La TS, rispetto alla sola UFH, porta a una risoluzione più efficace e rapida dei coaguli (entro 2 h) e a una riduzione del sovraccarico del VD (valutato in termini di ostruzione polmonare, pressione media arteriosa polmonare, resistenza vascolare polmonare, dilatazione del VD)63-67. Questo beneficio emodinamico sembra tradursi in un vantaggio clinico netto solo nei casi di EP ad alto rischio, considerando il rischio di sanguinamenti gravi (9.9%) e di emorragia intracranica (1.7%)12. In corso di TS, è importante uno stretto monitoraggio del paziente per verificare l’efficacia del trattamento (entro 2-4 h). Il fallimento terapeutico, valutato mediante persistente instabilità clinica e disfunzione del VD (Tabella 2), e descritto fino all’8% a distanza di 36 h nei pazienti con EP ad alto rischio68, rende necessaria una tempestiva escalation ad altre opzioni terapeutiche (re-trombolisi, embolectomia transcatetere o chirurgica).




Nella pratica clinica reale la TS viene di fatto offerta a meno del 30% dei pazienti potenzialmente idonei a causa di controindicazioni oggettive (Tabella 3), o comunque per un rischio di complicanze percepito come aumentato13,69-71.




Terapie percutanee transcatetere dell’embolia polmonare attualmente disponibili nella pratica clinica

Frammentazione del trombo

Il catetere Pigtail è stato il primo dispositivo ad essere utilizzato nell’ambito dell’interventistica polmonare72,73 e rappresenta ancora ad oggi uno dei dispositivi più utilizzati in Europa74. Esso consente la frammentazione del trombo attraverso movimenti di spinta e rotazione in corrispondenza del sito di occlusione. Sul medesimo meccanismo d’azione si basano i cateteri Cleaner® (Argon Medical Device, Plano, TX, USA) (Figura 3)75, catetere motorizzato a punta flessibile sinusoidale che, introdotto nel trombo, ne consente la frammentazione, e Aspirex® (Straub Medical, Wangs, Svizzera), catetere che combina la frammentazione automatica all’aspirazione76 (Figura 4).







I vantaggi di tali metodiche sono il semplice utilizzo, l’accesso vascolare di ridotto calibro (<10 Fr); limiti sono l’utilizzo prevalentemente nelle porzioni prossimali, la distalizzazione del materiale trombotico nel letto capillare polmonare che parzialmente ne vanifica l’efficacia (Tabelle 4 e 5)77-85.







Trombectomia meccanica

I sistemi di trombectomia meccanica sono il campo di evoluzione più importante nell’ambito dell’interventistica dell’EP acuta. Essi sono rappresentati da due dispositivi: uno ad alto calibro ed aspirazione manuale il FlowTriever® (Inari Medical, Irvine, CA, USA) (Figura 5), ed un secondo a medio calibro ed aspirazione continua automatica Indigo/Lightning (Penumbra, Alameda, CA, USA) (Figura 6). Il principale vantaggio di tale approccio, comune ad entrambi i dispositivi, è la possibilità di utilizzo in situazioni cliniche in cui è presente una controindicazione assoluta/relativa alla terapia trombolitica o anticoagulante, oltre che l’immediato effetto emodinamico intraprocedurale, fondamentale nei quadri ad alto rischio. I passaggi procedurali comuni ad entrambi i dispositivi sono descritti nella Tabella 6.




Il FlowTriever® (Figura 5) è un sistema di tromboaspirazione manuale provvisto di tre cateteri di diametro crescente (16, 20 e 24 Fr) in base al target del trattamento, ciascuno provvisto di una siringa da aspirazione da 60 ml, che funziona con il meccanismo del vacuum; a questi si può associare un secondo catetere provvisto di dischi autoespandibili in nitinolo o di una sorta di cestello a celle aperte che, nei casi in cui la sola tromboaspirazione manuale risulti inefficace o insufficiente nella ricanalizzazione del vaso, vengono rilasciati nel trombo e retratti all’interno del catetere portante per facilitare la frammentazione ed aspirazione del trombo stesso.




L’approccio vascolare può essere “sheetless” o con introduttore, un approccio femorale può essere raccomandato, ma l’approccio giugulare è possibile in casi selezionati80,81.

Dal punto di vista tecnico il catetere raggiunge il sito di aspirazione, quindi possono verificarsi diverse condizioni: 1) il materiale trombotico viene aspirato attraverso il catetere posizionato direttamente di fronte al trombo, in tale situazione la siringa si riempirà di materiale trombotico ed ematico; 2) l’aspirazione attraverso la siringa porta alla totale cavitazione ed è indicativa della cattura di abbondante materiale trombotico che non può essere aspirato attraverso il catetere. In tale situazione si deve anzitutto aspettare alcuni secondi, eventualmente ripetere la cavitazione con la siringa, così da essere certi che il materiale trombotico sia ben catturato nel catetere portante, quindi ricorrere alla rimozione del catetere stesso e dell’introduttore mantenendo la guida in posizione (tecnica “Lollipop”). 3) Infine, in casi di trombosi particolarmente datata e stratificata, può essere necessaria l’aspirazione mediante disco. Tale tecnica consiste nell’introduzione all’interno del catetere da aspirazione del secondo catetere provvisto di dischi in nitinolo (presenti in tre misure a seconda del sito anatomico) che, aperti all’interno del trombo, in seguito alla retrazione, ne consentono la cattura e la rimozione86.

Vantaggio di questo dispositivo è l’alto calibro che permette l’aspirazione di trombosi anche stratificate di grosse dimensioni, mentre il limite è l’accesso vascolare di grosso calibro, l’eventuale ingombro sterico del catetere in VD ed il rischio di anemizzazione causata dallo scarso controllo dell’aspirazione stessa, anche se di recente è stato introdotto un sistema per filtrare e reinfondere il sangue aspirato (FlowSaver system). Il FlowTriever è al momento l’unico dispositivo che ha dimostrato efficacia clinica in quadri ad alto rischio84 (Tabelle 4 e 5, Figura 7).

I sistemi di tromboaspirazione meccanica continua comprendono il Catetere Indigo 8 Fr ed il sistema Lightning 12 Fr (a breve sarà disponibile una versione 16 Fr) (Figura 6).







Entrambi i dispositivi vengono introdotti a livello della porzione trombotica, quindi viene attivata una pompa di aspirazione meccanica la quale nella versione Lightning 12 Fr è dotata di un sistema di riconoscimento pressorio che interrompe l’aspirazione qualora il catetere non sia a contatto con una superfice. Ulteriore dispositivo utilizzabile, in caso di trombosi di grosso volume, è una guida separatrice con un’ogiva in punta (Separator) che, opportunamente introdotta attraverso il catetere, consente la frammentazione del trombo e ne facilita l’aspirazione82. Vantaggio di tale metodica è il facile raggiungimento anche in rami segmentari, o subsegmentari, la ridotta anemizzazione nella versione Lightning 12 Fr, mentre il limite può essere il calibro limitato che talora può essere meno performante in caso di trombosi massive prossimali dei rami principali (Tabelle 4 e 5, Figura 7).

Trombolisi loco-regionale

Consiste nell’infusione lenta di agente trombolitico tramite catetere direttamente a livello loco-regionale nelle arterie polmonari. Il razionale è quello di ridurre la dose totale di agente trombolitico (circa un quarto della dose somministrata per via sistemica) e di conseguenza il rischio emorragico, pur mantenendo un’efficacia terapeutica simile a quella della TS e superiore a quella della sola terapia anticoagulante87,88. Esistono diversi protocolli di trattamento (da 1 a 8 mg di farmaco/polmone/2-8 h) e diverse modalità di infusione. Sono stati progettati cateteri dedicati a questo scopo con molteplici fori laterali distali, come Unifuse (Angiodynamics), Cragg-McNamara (Medtronic) e il sistema di infusione Fountain (Merit Medical).

Trombolisi loco-regionale assistita da ultrasuoni

La trombolisi loco-regionale assistita da ultrasuoni (ultrasound-assisted catheter-directed thrombolysis, USCDT) è una tecnica percutanea per la dissoluzione del trombo che combina l’azione di ultrasuoni ad alta frequenza con la fibrinolisi loco-regionale. Il “core” ad ultrasuoni genera un campo acustico in grado di accelerare la diffusione del farmaco fibrinolitico nella profondità del trombo mediante la disgregazione della fibrina per esporre i siti dei recettori del plasminogeno. Il sistema per USCDT (EKOS Endovascular System, Boston Scientific, Marlborough, MA, USA) (Figura 8) è composto da un’unità di controllo in grado di gestire due trattamenti simultaneamente, una interfaccia di connessione ed un catetere per infusione, all’interno del quale è integrato un nucleo che contiene trasduttori miniaturizzati in grado di emettere ultrasuoni. L’impiego della USCDT nel contesto dell’EP è supportato da crescenti evidenze scientifiche77-79,83.




Anche i dati provenienti dal mondo reale, raccolti nei registri REAL-PE (2259 pazienti sottoposti a USCDT vs trombectomia meccanica)89 e KNOCKOUT PE (coorte restrospettiva di 991 pazienti, coorte prospettica di 489 pazienti), confermano l’efficacia e la sicurezza del trattamento con USCDT90. Il vantaggio è rappresentato dalle piccole dimensioni (5 Fr) e dalla necessità di una dose ridotta di agente trombolitico. Potenziale svantaggio è la non applicabilità in pazienti che comunque presentano controindicazioni assolute alla trombolisi e l’effetto emodinamico non immediato, ma che richiede alcune ore per estrinsecarsi (fino a 6-12 h), cosa che lo rende meno adatto al trattamento di pazienti con estrema instabilità emodinamica (Tabelle 4 e 5, Figura 7).

Embolectomia chirurgica

La procedura di embolectomia chirurgica viene eseguita in sternotomia mediana e circolazione extracorporea con cannulazione aorto-bicavale, spesso senza la necessità del clampaggio aortico e dell’arresto di circolo ipotermico. La procedura si esegue a cuore battente dopo aver circondato e chiuso il ritorno cavale. Si incide l’arteria polmonare principale longitudinalmente estendendosi leggermente verso il ramo principale sinistro. Il materiale trombotico viene quindi rimosso od aspirato meccanicamente, nel caso non si osservi una buona ripresa del refluo ematico dalla periferia polmonare secondario alla circolazione bronchiale si possono estendere le incisioni ai due rami principali destro (tra aorta e vena cava superiore) e sinistro al fine di aver visione delle diramazioni lobari e segmentali delle arterie polmonari e riuscire quindi a rimuovere i trombi posti più distalmente. Questa rappresenta una procedura chirurgica con una morbilità e mortalità non trascurabili: il Surgical Pulmonary Embolectomy group riporta una mortalità chirurgica di circa il 12% che sale, nel caso di EP massive, al 23% contro il 9.1% delle submassive, con una morbilità maggiore complessiva di oltre il 40%91,92. Tale procedura è pertanto riservata a casi molto selezionati, rappresentati principalmente da eventi embolici massivi e submassivi con severa instabilità emodinamico-respiratoria (shock o arresto cardiaco) non trattabili o non responsivi alla terapia trombolitica, presenza di un forame ovale pervio, trombo in transito nelle cavità cardiache destre e pazienti in gravidanza10. Recentemente uno studio riporta una sopravvivenza ospedaliera ad 1 anno rispettivamente del 93% e 91% in pazienti sottoposti ad embolectomia chirurgica con rischio intermedio e ad alto rischio con e senza arresto cardiocircolatorio. Tali risultati non si discostano da quelli della terapia trombolitica nella medesima categoria di rischio ma a fronte di una maggiore incidenza di ictus, reintervento a 30 giorni e ricorrenza a 5 anni nel gruppo trombolisato91-93.

L’IMPORTANZA DEL PULMONARY EMBOLISM RESPONSE TEAM

Nei pazienti con EP acuta, la scelta della migliore terapia farmacologica, associata o meno alle diverse strategie riperfusive, dovrebbe essere valutata caso per caso, in relazione al profilo di rischio e alle metodiche di imaging impiegate, tenendo conto che il timing gioca un ruolo prognostico determinante10,94,95. Nella pratica clinica reale, solo una minoranza dei pazienti con EP riceve trattamenti più avanzati, spesso proprio a causa dell’assenza di un sistema di coordinamento moderno, dell’incapacità di rispondere rapidamente (problemi “sistemici”), nonché della mancata identificazione dei potenziali benefici, della carenza di dati randomizzati e del timore delle complicanze13,70.

Il concetto di Pulmonary Embolism Response Team (PERT), un team multidisciplinare creato ad-hoc per i pazienti con EP severa, è emerso per la prima volta nel 2012 negli Stati Uniti, presso il Massachusetts General Hospital di Boston, acquisendo successivamente consenso nella comunità medica e diffondendosi in Europa e nel resto del mondo fino alla creazione, nel 2015, di un PERT Consortium internazionale. Con l’introduzione di un tale modello, si è osservato un considerevole incremento di utilizzo di terapie riperfusive avanzate ed un impatto positivo sull’outcome clinico dei pazienti affetti da EP acuta96-100.

Le attuali linee guida europee per il management dei pazienti con EP ne raccomandano la costituzione (raccomandazione di classe IIaC)10. Il PERT raggruppa specialisti di diverse discipline (fra queste: medicina d’urgenza, anestesia e rianimazione, cardiologia, cardiologia interventistica, radiologia, pneumologia, cardiochirurgia/chirurgia toracica, angiologia, medicina interna, ematologia, le professioni sanitarie e altre, a seconda delle circostanze e delle risorse locali), tutti potenzialmente coinvolti nelle fasi diagnostiche e terapeutiche dei pazienti con EP, al fine di suggerire e mettere in atto, in tempi brevi, le strategie terapeutiche più appropriate101,102. Da un punto di vista pratico, il PERT dovrebbe essere convocabile in emergenza, anche eventualmente in modalità virtuale (servizio 24/7), per consentire l’inizio di terapie appropriate e personalizzate entro 60 min dalla diagnosi, o fino a 90 min se è necessario il trasferimento verso un centro che abbia disponibilità di terapie transcatetere. I pazienti clinicamente più complessi, che potrebbero avvantaggiarsi del giudizio del PERT e di terapie percutanee transcatetere più avanzate, sono quelli emodinamicamente instabili che non rispondono alla terapia trombolitica, o verso la quale esiste controindicazione assoluta, come pure quelli a rischio intermedio-alto che presentano un rapido deterioramento delle condizioni emodinamiche, o che non ricevono miglioramento dalla terapia anticoagulante, come dettagliato nel prossimo paragrafo (vedi scenari clinici)94,95.

Infine, oltre che nella fase acuta, il PERT può rivelarsi utile anche nel follow-up, individualizzando la durata della terapia anticoagulante, valutando la necessità di posizionamento e rimozione di un filtro cavale e, infine, per il monitoraggio dei pazienti che potrebbero sviluppare ipertensione polmonare tromboembolica cronica. Le indicazioni ad impianto di filtro cavale includono la presenza di controindicazioni alla terapia anticoagulante o la recidiva di EP nonostante un’adeguata anticoagulazione.

ALGORITMI DI TRATTAMENTO NEI DIFFERENTI SCENARI CLINICI, INDICAZIONI ALL’ATTIVAZIONE DEL PERT, ALLE TERAPIE RIPERFUSIVE TRANSCATETERE E PROTOCOLLI DI ESCALATION THERAPY

Allo stato dell’arte, la terapia farmacologica rappresenta il fondamento della terapia dell’EP. Differentemente, in nessuna delle classi di rischio (basso, intermedio o alto) le terapie riperfusive transcatetere sono da considerarsi attualmente la prima scelta terapeutica. Tuttavia, esse vanno comunque rapidamente considerate da parte del PERT in caso di controindicazione o fallimento delle terapie farmacologiche standard (Figura 9).




Inoltre, nei pazienti che vengono ritenuti ad elevato rischio operatorio per embolectomia chirurgica o che rifiutano l’opzione chirurgica, le terapie transcatetere possono rappresentare una valida alternativa, nonostante l’assenza di evidenze randomizzate nei confronti della chirurgia10.

Gli algoritmi di trattamento sono differenziati a seconda del contesto clinico, come illustrato in Figura 9. In particolare:

1) EP a basso rischio: indicato avvio immediato di terapia anticoagulante secondo gli schemi riportati in letteratura e accennati al paragrafo “Terapia anticoagulante iniziale” (Figura 9).

2) EP a rischio intermedio: procedere con flow-chart decisionale riportata in Figura 9. Per la definizione di peggioramento clinico o fallimento della terapia anticoagulante consultare la Tabella 210,94.

3) EP ad alto rischio: procedere secondo la flow-chart decisionale riportata in Figura 9. Per la definizione di fallimento della TS e per le controindicazioni alla trombolisi stessa, consultare rispettivamente le Tabelle 2 e 310,94.

È tuttavia da riconoscere come vi sia un’importante area di incertezza proprio relativamente alla definizione di fallimento (failure) del trattamento (sia esso riperfusivo o con sola terapia anticoagulante), ai parametri da monitorare e a quale intervallo temporale vada valutato rispetto all’inizio del trattamento stesso. Si suggerisce in genere una valutazione multiparametrica, che combini segni fisiologici/vitali (livello di coscienza, pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, saturazione arteriosa di ossigeno), segni di ipoperfusione d’organo (es. diuresi), necessità di trattamenti rescue di emergenza (rianimazione cardiopolmonare, ECMO, catecolamine), nonché indici laboratoristici (livello di lattati sierici, troponina e NT-proBNP) e strumentali (disfunzione del VD).

Gli scenari clinici tipici in cui è fondamentale l’attivazione del PERT e/o uno stretto monitoraggio del paziente per consentire una rapida ed opportuna escalation a tali strategie riperfusive avanzate sono i seguenti, evidenziati con linee rosse tratteggiate in Figura 9:

1) SCENARIO 1: Paziente ad alto rischio con controindicazione assoluta o relativa alla TS. Vedi Tabella 3 per le controindicazioni alla TS. In questa categoria di pazienti, il PERT deve attentamente valutare fra l’opzione di trombectomia chirurgica o transcatetere tenendo in considerazione il rischio operatorio del paziente e le competenze degli operatori del centro.

2) SCENARIO 2: Paziente ad alto rischio con failure della TS. L’efficacia della TS va valutata precocemente, in genere entro 2-4 h dalla stessa. Vista la stretta finestra temporale, si consiglia un pre-allertamento del PERT all’inizio della trombolisi stessa, in modo da garantire interventi rescue tempestivi in caso di failure (anche in questo caso la scelta fra opzione transcatetere e chirurgica deve considerare il rischio operatorio del paziente, in particolare quello emorragico vista appunto la recente trombolisi, nonché l’esperienza del centro). Per failure della TS si intende un peggioramento clinico o un mancato miglioramento di un paziente già catalogato ad alto rischio (Tabella 2), quindi ad esempio:

a) un paziente con ipotensione persistente che evolve verso lo shock ostruttivo o verso l’arresto cardiaco,

b) un paziente che mantiene anche dopo la trombolisi uno o più fra i seguenti criteri:

– pressione arteriosa omerale <90 mmHg,

– frequenza cardiaca >100 bpm,

– Saturazione <90% in ossigeno-terapia (con qualsiasi interfaccia disponibile),

– frequenza respiratoria >20 atti/min e dispnea severa (VAS/Borg scale ≥5);

c) almeno un criterio laboratoristico/strumentale fra i seguenti:

– costante aumento della troponina e/o di NT-proBNP e/o dei lattati103,

– mancato miglioramento della disfunzione del VD all’ecocardiografia transtoracica o alla CTPA,

– assenza di miglioramento dell’ostruzione vascolare polmonare alla CTPA di controllo.

3) SCENARIO 3: Paziente inizialmente classificato a rischio intermedio-alto con scadimento clinico ed emodinamico o failure della terapia anticoagulante (assenza di miglioramento). Anche in questo caso il paziente va strettamente monitorato e si deve tempestivamente considerare una escalation ad una terapia riperfusiva avanzata in tutti i casi in cui il paziente sviluppi una instabilità emodinamica e quindi passi da una classe di rischio intermedio ad una classe di rischio alto. Inoltre l’escalation va considerata anche in caso di mancato miglioramento clinico (e/o strumentale). L’efficacia della terapia anticoagulante va valutata in una finestra temporale meno stringente, in genere dopo 24-48 h (Tabella 2)10,94. I criteri anche in questo caso non sono codificati in maniera precisa ma i parametri sono gli stessi ed includono i predetti segni vitali nonché i criteri laboratoristici e strumentali (vedi punto 2). Alcuni score possono aiutare nella valutazione clinica di questi pazienti (ad esempio il National Early Warning Score 2 - NEWS2; https://www.rcplondon.ac.uk/projects/outputs/national-early-warning-score-news-2), ma non vi sono raccomandazioni specifiche al riguardo94,95,104. La gestione di questo specifico scenario clinico è complessa. Ancora una volta il ruolo del PERT è fondamentale nella scelta della strategia più appropriata fra trombolisi rescue, procedure transcatetere o chirurgiche. In queste circostanze di rischio intermedio-alto, alla luce delle scarse evidenze a favore della TS17 e delle invece crescenti evidenze a favore dell’utilizzo di sistemi transcatetere per migliorare l’outcome e ridurre il rischio di sanguinamenti105, si suggerisce, in base anche all’esperienza del centro, una bassa soglia nell’utilizzo di tali strategie percutanee (trombectomia meccanica o trombolisi loco-regionale – se non controindicata – assistita o meno da ultrasuoni) specie in casi selezionati (ad esempio elevato thrombus burden, trombo in transito, shock normotensivo)106,107. Evidenze scientifiche randomizzate recentemente pubblicate suggeriscono che nei pazienti con EP a rischio intermedio e senza controindicazioni assolute al trombolitico, una strategia basata sulla trombectomia meccanica con sistemi di ampio calibro (FlowTriever) possa garantire un minor tasso di deterioramento clinico e/o necessità di escalation ad altre strategie di bailout e una minor necessità di terapia intensiva post-procedurale, rispetto alla trombolisi loco-regionale (assistita o meno da ultrasuoni), senza differenze invece in termini di mortalità o sanguinamenti85.

Oltre ai sopraelencati scenari clinici che sono i più frequenti, esistono altre situazioni in cui il PERT, dopo aver escluso la futilità, può indirizzare verso l’utilizzo di tecniche transcatetere. Un esempio sono i pazienti con controindicazione assoluta alla terapia anticoagulante nei quali potrebbe avere indicazione una trombectomia meccanica associata a successivo posizionamento di filtro cavale.

PERCORSI INTEGRATI INTRAOSPEDALIERI, MODELLI OPERATIVI, LOGISTICA E PROSPETTIVE PER UN EP NETWORK

Considerate le peculiarità che possono contraddistinguere ogni singola realtà sanitaria, è fondamentale elaborare un chiaro protocollo operativo per ciascun centro, standardizzando e definendo chiaramente i componenti del PERT così come i percorsi di attivazione e le modalità operative calzanti alla realtà ospedaliera di riferimento (percorso diagnostico-terapeutico assistenziale). Questo protocollo di percorsi ospedalieri integrati multidisciplinari è progettato per semplificare la diagnosi e standardizzare la gestione dell’EP, migliorando la comunicazione e la collaborazione tra varie specialità mediche101,102. È cruciale identificare un coordinatore del PERT che sia sempre disponibile (modalità 24/7) per organizzare rapidamente la discussione dei casi clinici, anche eventualmente per via telematica, e giungere ad una decisione terapeutica nel minor tempo possibile. Un completo percorso integrato in ospedale del PERT coinvolge una valutazione rapida e una stratificazione del rischio del paziente, una consulenza multidisciplinare e la scelta del trattamento individualizzato ottimale in base al profilo di rischio del paziente e alle risorse disponibili. I percorsi integrati intraospedalieri dovrebbero prevedere anche un percorso ambulatoriale dedicato per la gestione del follow-up di questi pazienti, per ottimizzare modalità e durata del trattamento anticoagulante a lungo termine, valutare la potenziale necessità di un filtro cavale inferiore e monitorare e trattare l’eventuale insorgenza di ipertensione polmonare tromboembolica cronica. L’estensione del PERT oltre i confini intraospedalieri, attraverso la costituzione di un network provinciale/regionale, facilitando dunque il trasferimento dei pazienti tra le diverse realtà ospedaliere (secondo il modello Hub & Spoke attualmente già in essere sul territorio nazionale per la gestione dell’infarto miocardico acuto STEMI), potrebbe ulteriormente favorire l’accesso alle terapie più avanzate, senza ritardi, razionalizzando risorse e know-how108 (Figura 10).




L’espansione di questo approccio in una rete più ampia ha il potenziale per migliorare ulteriormente l’assistenza ai pazienti, riguardo ad altri aspetti come, ad esempio:

– integrazione della telemedicina e consulenze remote: per migliorare l’accessibilità dell’esperienza del PERT, specialmente nelle aree sottoservite, e ridurre i ritardi nell’assistenza;

– collaborazione regionale (modello Hub & Spoke): per migliorare l’allocazione delle risorse e facilitare il trasferimento dei pazienti per cure specializzate quando necessario;

– condivisione dei dati e ricerca: per centralizzare la raccolta dati, consentendo ricerche su larga scala e iniziative di miglioramento della qualità;

– educazione dei pazienti: per garantire che gli individui a rischio di EP siano consapevoli dei sintomi e cerchino tempestivamente assistenza medica;

– protocolli standardizzati: per promuovere un’assistenza uniforme e basata sull’evidenza.

PROSPETTIVE FUTURE E TRIAL IN CORSO

La letteratura disponibile sul trattamento transcatetere dell’EP acuta è relativamente recente e riguarda sia dispositivi da trombectomia percutanea propriamente detta, sia dispositivi da trombolisi loco-regionale, più o meno assistita da ultrasuoni (USCDT). Oltre a dati retrospettivi, sono disponibili registri prospettici e studi randomizzati prevalentemente con endpoint surrogati a breve termine quali il miglioramento dei parametri emodinamici, ecocardiografici o angiografici post-procedurali, indicatori di mortalità precoce nei pazienti con EP a rischio alto e intermedio-alto. Appare quindi evidente la necessità di disporre di dati di letteratura più solidi che emergano da più ampi studi randomizzati di confronto con l’attuale “standard of care” e che prevedano endpoint clinici “hard”. Il recente studio PEERLESS rappresenta un progresso in questa direzione, confrontando due strategie transcatetere nei pazienti a rischio intermedio utilizzando un endpoint composito che integra anche misure cliniche significative85. I principali studi clinici randomizzati attualmente in corso di arruolamento sono riassunti nella Tabella 7.




Si tratta di studi in aperto che confrontano diversi trattamenti transcatetere tra loro o con la terapia farmacologica (terapia anticoagulante o TS). Alcuni di questi studi, oltre a comprendere endpoint surrogati, includono endpoint di mortalità EP-relata e di mortalità per tutte le cause che, se raggiunti, potrebbero tradursi in un’estensione delle indicazioni al trattamento transcatetere attualmente riconosciute dalle linee guida internazionali.

CONCLUSIONI

La stesura e pubblicazione del presente documento di posizione da parte di esperti identificati dalla nostra Società Scientifica SICI-GISE rappresenta un importante passo avanti nella standardizzazione e nell’ottimizzazione della gestione dei pazienti affetti da EP sul territorio nazionale. Attraverso un’analisi approfondita dei dati epidemiologici, delle opzioni di cura disponibili, incluse soprattutto quelle moderne transcatetere, e dell’importanza del coinvolgimento del PERT, questo documento fornisce linee guida chiare e basate sull’evidenza per garantire un trattamento uniforme e di alta qualità in tutta Italia (Tabella 8).




Questo documento sarà inoltre un utile strumento a supporto della stesura di percorsi diagnostico-terapeutici che calino i comuni concetti generali nelle realtà organizzative locali. Il suo valore risiede nel promuovere l’appropriatezza, la qualità e l’omogeneità delle cure in caso di EP, facilitando l’accesso ai migliori standard clinici e contribuendo così a una migliore gestione e outcome favorevoli per i pazienti affetti da tale patologia. La Società Scientifica SICI-GISE si sta già adoperando per la raccolta dei dati di attività relativamente a tali procedure nei vari laboratori di Emodinamica italiani e si potrà fare promotrice in un prossimo futuro di un registro più dettagliato per la valutazione e condivisione degli outcome.

RIASSUNTO

L’embolia polmonare (EP) è comunemente trattata, come prima scelta, con terapia farmacologica, mentre le terapie riperfusive avanzate (transcatetere o chirurgiche) sono considerate solo in casi di controindicazioni o fallimento delle terapie standard. Gli algoritmi di trattamento variano a seconda del rischio del paziente, con pazienti a rischio intermedio o alto che potenzialmente richiedono valutazione per tali terapie riperfusive avanzate. Scenari critici, come controindicazioni alla trombolisi sistemica o fallimento delle terapie farmacologiche, richiedono l’attivazione di team multidisciplinari (PERT) e un’escalation terapeutica tempestiva. I percorsi integrati intraospedalieri e l’estensione del PERT a livello provinciale/regionale sono raccomandati per migliorare l’accesso alle terapie avanzate e promuovere una gestione uniforme dell’EP. Sono necessari studi clinici randomizzati più ampi per valutare l’efficacia delle terapie transcatetere rispetto agli standard attuali. In conclusione, un approccio multidisciplinare e standardizzato, supportato da linee guida basate sull’evidenza, è essenziale per ottimizzare la gestione dell’EP e migliorare gli outcome clinici. La Società Italiana di Cardiologia Interventistica (SICI-GISE) con questo position paper societario si propone di promuovere tale standardizzazione a livello nazionale, garantendo appropriatezza ed equità di cure ai pazienti, oltre a incentivare ulteriore ricerca scientifica e formazione.

Parole chiave. Alto rischio; Embolia polmonare; Protocolli; Rete integrata; Trombectomia transcatetere; Trombolisi.

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