Trattamento con inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 nello scompenso cardiaco acuto: revisione dello studio EMPULSE e analisi della letteratura

Stefania Angela Di Fusco1, Andrea Matteucci1, Antonella Spinelli1, Stefano Aquilani1, Giuseppe Imperoli2, Furio Colivicchi1

1U.O.C. Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri - ASL Roma 1, Roma

2U.O.C. Medicina, Dipartimento Emergenza e Accettazione, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri - ASL Roma 1, Roma

In heart failure management, hospitalization is the main cause of medical costs and is associated with an increased risk of adverse events. This review reports evidence on hospitalization as the ideal setting for disease-modifying therapy implementation, with a particular focus on gliflozins in patients with stabilized acute heart failure. The authors analyze data from the EMPULSE trial, the largest clinical study that evaluated a gliflozin in acute heart failure in patients with both reduced and preserved systolic function. The win ratio approach for statistical analysis is also discussed. The EMPULSE trial showed that empagliflozin improved clinical outcomes in patients hospitalized for acute heart failure. Subsequent analyses have also highlighted favorable effects in terms of decongestion. Since clinical benefits due to gliflozin use occur early (after a few weeks) and in order to increase heart failure polypharmacy tolerability, the initiation of gliflozin treatment should be a priority over other treatment titration. Even in complex clinical settings, as in the elderly and in patients with kidney disease, evidence supports safety and good tolerability of gliflozins, which may facilitate initiation/titration of other treatments.

Key words. Acute heart failure; Dapagliflozin; Empagliflozin; Gliflozins; Hospitalization.

EPIDEMIOLOGIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO: IMPATTO DELLE OSPEDALIZZAZIONI

Nel decorso clinico dei pazienti con insufficienza cardiaca, la letteratura scientifica ha coerentemente riportato il ricovero per scompenso cardiaco come un evento con impatto prognostico sfavorevole1. Dal confronto tra i pazienti con scompenso cardiaco cronico e quelli ricoverati per scompenso cardiaco acuto, lo studio di registro Italian Network on Heart Failure (IN-HF) ha evidenziato un rischio significativamente maggiore di eventi avversi maggiori quali mortalità totale e riospedalizzazione per scompenso cardiaco2. Dopo un ricovero per scompenso cardiaco la mortalità ad 1 anno è compresa tra il 25% e 30% e più di un terzo dei pazienti ha un nuovo ricovero nei 6 mesi successivi3. Tra i pazienti con insufficienza cardiaca, la riospedalizzazione per scompenso cardiaco risulta associata ad un incremento del tasso di mortalità cardiovascolare da 29 a 53 morti per 100 persone/anno4. Dati epidemiologici recenti forniti dall’Heart Failure Association Atlas indicano una mediana del numero di ricoveri con diagnosi principale di scompenso cardiaco pari a 2671 (range interquartile 1771–4317) per milione di persone/anno, dato sovrapponibile a quello riportato per l’Italia (mediana 2770 per milione di persone/anno)5. Dati più aggiornati relativi alle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco in Italia sono disponibili grazie al Programma Nazionale Esiti (PNE) dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali6. Sulla base dei dati forniti dal PNE, nel 2022 i ricoveri per scompenso cardiaco congestizio, in numero pari a 123 552, rappresentavano circa il 75% di tutti i ricoveri per scompenso cardiaco. Rispetto ai pazienti con scompenso cardiaco cronico, i pazienti ricoverati per scompenso cardiaco sono più anziani e presentano maggiori comorbilità.

La presenza di un residuo stato congestizio e la mancata implementazione pre-dimissione di trattamenti dimostratisi in grado di modificare la storia clinica sono importanti determinanti di esiti più sfavorevoli7. Nello studio STRONG-HF, che ha arruolato pazienti con scompenso cardiaco indipendentemente dalla frazione di eiezione (FE), l’inizio e la titolazione precoce (2 giorni prima della dimissione prevista) del trattamento farmacologico raccomandato dalle linee guida unitamente ad uno stretto follow-up post-dimissione rappresentano una strategia sicura ed efficace nel ridurre i sintomi, migliorare la qualità di vita e ridurre il rischio di morte e riospedalizzazione per scompenso nei 180 giorni successivi al ricovero8. Sulla base dei risultati dello studio STRONG-HF, il recente aggiornamento delle linee guida dedicate allo scompenso cardiaco raccomanda un trattamento ad alta intensità, una rapida titolazione dei farmaci e uno stretto follow-up nelle prime 6 settimane che seguono un ricovero per scompenso cardiaco9, andando a rafforzare la raccomandazione già presente nelle linee guida del 202110. Inoltre, sebbene le evidenze a supporto dell’impiego precoce della terapia dello scompenso siano supportate da uno studio che non prevedeva l’impiego delle gliflozine, la raccomandazione di classe I si intende estesa anche all’uso di questa classe di farmaci. Sulla base delle evidenze che hanno mostrato che l’introduzione di trattamenti “disease-modifying” nel corso del ricovero è fattibile e sicuro, l’inizio di questi trattamenti deve essere attentamente valutato e dove possibile implementato prima della dimissione11, considerando il ricovero un’opportunità preziosa per l’ottimizzazione della terapia12, il miglioramento della prognosi e della qualità di vita post-dimissione13.

Per quanto riguarda il fenotipo dei pazienti ricoverati per scompenso, nello studio osservazionale BLITZ-HF, condotto in Italia, il 23.9% presentava scompenso cardiaco con FE preservata (HFpEF, FE ≥50%), il 18.3% scompenso cardiaco con FE lievemente ridotta (HFmrEF, FE 40-49%) e il 57.9% scompenso cardiaco con FE ridotta (HFrEF, FE <40%)14. Tra i pazienti con HFrEF, le diverse classi di farmaci “disease-modifying” alla dimissione risultavano prescritte in una percentuale di pazienti compresa tra il 73% e l’87%, considerando che gli inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina (ARNI) erano inclusi nella stessa classe degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e dei sartani. Nel medio termine, ovvero nell’anno successivo al ricovero, il tasso di eventi quali mortalità totale, mortalità cardiovascolare e ricoveri per scompenso cardiaco, è più elevato nell’HFrEF rispetto all’HFmrEF e all’HFpEF, che invece sono associati ad una simile incidenza di tali eventi15.

In questa rassegna vengono analizzate le evidenze disponibili relative al trattamento con gliflozine nei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco, con un’attenzione particolare allo studio EMPULSE16, cui fa riferimento l’aggiornamento delle linee guida sullo scompenso cardiaco del 20239. Si tratta del più ampio studio randomizzato controllato (RCT) che ha dimostrato un significativo beneficio clinico del trattamento con una gliflozina, empagliflozin, iniziato nel corso del ricovero. Infine, viene sottolineato il razionale per l’impiego precoce delle gliflozine esaminando i contesti più complessi di fronte ai quali c’è maggiore esitazione nell’impiego dei trattamenti per lo scompenso e fornendo indicazioni pratiche per la gestione dell’uso delle gliflozine in questi contesti.

LO STUDIO EMPULSE ED ALTRE EVIDENZE SULL’IMPIEGO DELLE GLIFLOZINE DURANTE
IL RICOVERO PER SCOMPENSO CARDIACO

Razionale e metodi dello studio EMPULSE

Sulla scorta delle evidenze dei benefici cardiovascolari del trattamento con gliflozine nei pazienti con scompenso cardiaco cronico17-20, empagliflozin è stato testato nel contesto del ricovero per scompenso cardiaco acuto. L’EMPULSE16 è un RCT, condotto in doppio cieco, che ha valutato il beneficio di empagliflozin 10 mg/die vs placebo in pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto randomizzati il prima possibile dopo la stabilizzazione clinica. EMPULSE si differenzia da precedenti studi con inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2 o gliflozine) per tre aspetti fondamentali: la finestra di inclusione rispetto all’evento acuto, la durata del trattamento e il follow-up. Il trial ha incluso solo i pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto nell’intervallo di tempo tra 24 h e 5 giorni dall’ingresso in ospedale (in Tabella 1 sono riportati i criteri di stabilizzazione dell’evento21) e ha valutato l’esito post-dimissione a 90 giorni, focalizzando l’attenzione sul periodo più vulnerabile nella storia clinica dello scompenso cardiaco.




L’endpoint primario era costituito da un composito gerarchico del tempo alla morte per qualsiasi causa, del numero di eventi di scompenso cardiaco, del tempo al primo evento di scompenso cardiaco e di una differenza ≥5 punti nel punteggio totale dei sintomi calcolato con il Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire total symptom score (KCCQ-TSS) dopo 90 giorni di trattamento (Figura 1)16.




Gli eventi scompenso inclusi nell’endpoint primario comprendevano il ricovero per scompenso, una visita urgente per scompenso e una visita non programmata per scompenso. Gli endpoint secondari comprendevano un miglioramento del KCCQ-TSS ≥10 punti dopo 90 giorni di trattamento, la variazione rispetto al basale dei livelli del frammento amino-terminale del propeptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP), i giorni di sopravvivenza fuori dall’ospedale fino a 30 giorni dalla dimissione e 90 giorni dopo la randomizzazione, il tempo all’evento morte cardiovascolare o scompenso cardiaco fino alla visita di fine follow-up e la variazione del KCCQ-TSS tra basale e 90 giorni.

Approccio statistico del “win ratio” e principali risultati dello studio EMPULSE

Per l’analisi dell’endpoint primario è stato utilizzato l’approccio “win ratio”, una metodologia statistica che sta trovando sempre maggior consenso per analizzare gli endpoint compositi negli studi clinici, in particolare quando gli endpoint sono costituiti da eventi con diversa gravità22. Un win ratio >1 indica un potenziale beneficio del trattamento in studio, poiché suggerisce che i pazienti trattati hanno una maggiore probabilità di sperimentare eventi meno gravi o di non sperimentare alcun evento rispetto al gruppo di controllo. Nell’analisi con win ratio si stabilisce dapprima un ordine di importanza per gli eventi all’interno dell’endpoint composito. Il significato del risultato dipende molto dalla definizione della gerarchia degli eventi che viene predefinita. Inoltre, il risultato può essere influenzato dalla presenza di un numero elevato di eventi in pareggio. Nello studio EMPULSE l’ordine gerarchico dei vari componenti era il seguente: il tempo alla morte, il numero di eventi di scompenso cardiaco, il tempo al primo evento di scompenso e differenze ≥5 punti nel KCCQ-TSS a 90 giorni. L’analisi win ratio più semplice (non stratificata) confronta ogni paziente trattato con empagliflozin con ogni paziente del gruppo placebo, ottenendo 265 x 265 = 70 225 coppie di pazienti. Per ciascuna coppia si valuta chi “vince”. Nel primo passaggio è stato valutato l’evento gerarchicamente più importante, l’evento morte. Per ciascuna coppia nel corso del follow-up la morte è un punto perdente rispetto alla non morte e la morte più precoce era perdente rispetto alla morte più tardiva. Delle 70 225 coppie di pazienti, il 7.2% aveva un vincitore appartenente al braccio empagliflozin e il 4% un vincitore del braccio placebo. Il restante 88.8% delle coppie pareggiava e passava alla valutazione dell’evento gerarchicamente successivo. Nel passaggio successivo è stato valutato l’evento scompenso: chi ha avuto più eventi scompenso perdeva. Con questa analisi nel 10.9% delle coppie il vincitore era nel gruppo empagliflozin e il 7.7% nel gruppo placebo. Il restante 70.2% delle coppie passava alla valutazione successiva, cioè del tempo all’evento scompenso. Chi aveva avuto l’evento scompenso più precocemente era perdente. In questa analisi, nello 0.2% delle coppie il vincitore era del gruppo empagliflozin e nello 0.5% del gruppo placebo. Restavano così il 69.5% delle coppie che aveva pareggiato che veniva valutato nel passaggio successivo: la variazione del punteggio KCCQ-TSS dal basale a 90 giorni. Una variazione del punteggio ≥5 individuava il vincente. Sulla base di quest’ultima analisi, il 35.9% delle coppie aveva un vincitore del gruppo empagliflozin e il 27.1% del gruppo placebo. Complessivamente, dunque, per empagliflozin il totale delle coppie con un vincitore era pari al 54.2% mentre nel gruppo placebo era pari al 39.3%. Il win ratio non stratificato, calcolato dal rapporto tra la percentuale dei vincitori appartenenti al gruppo in trattamento attivo e la percentuale dei vincitori del gruppo placebo, è dunque risultato pari a 54.2%/39.3% = 1.38. Questo risultato può essere interpretato stimando la probabilità che un paziente trattato con empagliflozin vinca, ovvero che tragga beneficio sulla base degli endpoint stabiliti, pari a 1.38/(1+1.38) = 0.58 con un intervallo di confidenza (IC) al 95% compreso tra 1.1 e 1.7122.

Il win ratio utilizzato per l’endpoint primario dello studio EMPULSE è un win ratio stratificato dove i due strati erano due sottogruppi, quello dei pazienti con scompenso de novo e quello dei pazienti con riacutizzazione di insufficienza cardiaca cronica. Dall’analisi di questi due sottogruppi con la metodica win ratio si ottengono win ratio simili tra loro (1.29 e 1.39, rispettivamente). Il win ratio complessivo dell’endpoint primario dello studio è ottenuto combinando le stime di questi due win ratio, con un risultato pari a 1.36 (IC 95% 1.09-1.68) (Figura 2)22.




L’inclusione dei pazienti con scompenso cardiaco sia de novo che con forme riacutizzate è un importante aspetto dello studio EMPULSE. L’assenza di un’interazione del beneficio clinico del trattamento tra i due gruppi indica che anche i pazienti con scompenso cardiaco de novo, quindi non sottoposti a precedente trattamento farmacologio per lo scompenso, possono beneficiare dell’impiego delle gliflozine23.

Tuttavia, è da considerare che la stretta finestra di arruolamento e la necessità di una stabilizzazione clinica per l’inclusione nello studio potrebbero aver portato all’esclusione di soggetti più fragili o con malattia più severa. Un altro limite dello studio è rappresentato dalla percentuale limitata di pazienti trattati con ARNI (15%)16, percentuale in linea con precedenti studi che hanno valutato le gliflozine nell’HFrEF. Inoltre, la natura composita dell’endpoint e la durata del follow-up di 90 giorni rappresentano dei limiti dello studio EMPULSE rispetto a quanto potrebbe offrire uno studio di outcome sull’insufficienza cardiaca acuta basato sulla raccolta degli eventi “hard” a più lungo termine, particolarmente per la variabile di riospedalizzazione.

Altri risultati dello studio EMPULSE e sottoanalisi

Nell’ambito degli endpoint secondari, l’incidenza di morte cardiovascolare o scompenso cardiaco fino alla visita di fine follow-up è stata pari a 12.8% nel gruppo empagliflozin vs 18.5% nel gruppo placebo (hazard ratio 0.69, IC 95% 0.45-1.08). La Tabella 2 riporta i principali risultati relativi agli endpoint secondari dello studio EMPULSE e la Tabella 3 una sintesi degli eventi avversi16.







Un’analisi degli endpoint prespecificati di decongestione24 ha valutato la perdita di peso assoluta e aggiustata per la dose media giornaliera di diuretici dell’ansa, la variazione dei livelli di NT-proBNP, le variazioni dell’ematocrito e il punteggio di congestione clinica, quest’ultimo calcolato come somma dei punti assegnati ai seguenti segni e sintomi: dispnea, ortopnea e affaticamento. Anche in questo caso i risultati dell’analisi hanno mostrato come, rispetto al placebo, i pazienti trattati con empagliflozin mostravano riduzioni precoci (evidenti già alla valutazione a 15 giorni), significativamente maggiori e persistenti (presenti fino alla valutazione a 90 giorni) di tutti i marcatori di decongestione studiati e durante tutti i momenti dell’osservazione. I pazienti trattati con empagliflozin presentavano un volume urinario maggiore, un bilancio dei fluidi complessivi più negativo ed una perdita di peso aggiustata per la dose di diuretico maggiore rispetto al gruppo placebo, tutte osservazioni che suggeriscono che l’aggiunta di empagliflozin alla terapia diuretica standard ne incrementa l’efficacia. Coerentemente, anche per i livelli di NT-proBNP è stata osservata una riduzione significativa alla valutazione a 15 giorni e persistente al controllo a 90 giorni, espressione di un’attenuazione dell’iperattività neurormonale e indicatore di un ridotto rischio di instabilizzazione clinica.

Un’altra analisi post-hoc ha valutato l’effetto di empagliflozin suddividendo i pazienti in tre sottogruppi in base ai terzili del KCCQ-TSS iniziale (<27.1, 27.1-52.1 e >52.1 punti)25. Ogni confronto ha seguito la gerarchia dell’endpoint primario. L’analisi con win ratio ha mostrato anche in questo caso l’efficacia di empagliflozin nel migliorare l’endpoint primario in modo simile in tutti i pazienti, indipendentemente dal KCCQ-TSS basale, stando ad indicare che i benefici di empagliflozin sugli esiti dello scompenso cardiaco acuto sono indipendenti dallo stato di presentazione in condizioni basali.

ALTRE EVIDENZE RELATIVE ALL’UTILIZZO
DELLE GLIFLOZINE NEL CORSO DEL RICOVERO
PER SCOMPENSO CARDIACO

Lo scompenso cardiaco acuto rappresenta un contesto clinico in cui da lungo tempo è stata evidenziata la presenza di un bisogno non soddisfatto di trattamenti in grado di avere un impatto favorevole su sintomi e prognosi. In questo scenario vanno considerati gli studi clinici che hanno valutato le gliflozine nello scompenso cardiaco acuto. Uno dei primi RCT che ha testato una gliflozina in pazienti ricoverati o con recente ricovero (entro 3 giorni dalla dimissione) per scompenso cardiaco acuto è il SOLOIST-WHF26. In questo studio, interrotto precocemente per mancanza di fondi, il trattamento con sotagliflozin in pazienti diabetici e con recente aggravamento dello scompenso cardiaco (WHF) ha ridotto l’incidenza dell’endpoint primario costituito da mortalità cardiovascolare, oespedalizzazione per scompenso cardiaco e visite urgenti per scompenso cardiaco. L’impatto di empagliflozin utilizzato precocemente nei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto, ovvero entro 12 h dal ricovero, è stato valutato nello studio EMPAG-HF27. Nel corso di 5 giorni di trattamento, empagliflozin 25 mg/die (una dose più alta di quella attualmente raccomandata) ha portato ad un aumento della diuresi complessiva rispetto al placebo pari al 25%. Inoltre, empagliflozin ha migliorato l’efficacia dei diuretici impiegati senza inficiare la funzione renale.

Lo studio EMPA-RESPONSE-AHF28 ha valutato l’efficacia e la sicurezza del trattamento con empagliflozin 10 mg vs placebo iniziato entro 24 h dal ricovero. Empagliflozin è risultato ben tollerato con un’incidenza di eventi avversi simile al placebo. L’incidenza dell’endpoint primario (valutazione a 4 giorni rispetto al basale del sintomo dispnea, risposta al diuretico, livelli di NT-proBNP e durata del ricovero) è risultata simile nei due gruppi di trattamento, mentre con empagliflozin si è osservata una riduzione dell’incidenza di WHF intraospedaliero, delle riospedalizzazioni per scompenso e della mortalità a 60 giorni. Da un’analisi prespecificata è stato evidenziato che i pazienti trattati con empagliflozin avevano un’escrezione urinaria di glucosio significativamente maggiore rispetto al gruppo placebo ma tra i due gruppi di trattamento non sono state rilevate differenze significative nell’escrezione di sodio, dato che supporta l’ipotesi che l’effetto diuretico sia ascrivibile alla glicosuria e non alla natriuresi29. La natriuresi indotta dal blocco di SGLT2 aumenta in acuto il volume di urine eliminate, come dimostrato nello studio DICTATE-AHF condotto con dapagliflozin in pazienti con scompenso cardiaco acuto, ma non comporta l’aumento della frazione di sodio escreta nelle urine, ovvero non aumenta la concentrazione di sodio per unità di volume di urine30. L’effetto natriuretico da inibizione di SGLT2 scompare entro giorni o settimane, quando vengono attivati meccanismi compensatori per la fisiologica risposta renale volta a prevenire la perdita di volume circolatorio. Invece, l’eliminazione del glucosio persiste senza che, nell’arco di 24-48 h, l’effetto osmotico dell’eliminazione del glucosio si associ all’incremento del volume delle urine prodotte. Questa risposta dipende dall’aumentato riassorbimento di acqua libera per azione dell’ormone antidiuretico a livello del collettore ed è finalizzata al mantenimento in equilibrio del volume corporeo31. La sequenza e la peculiarità dei meccanismi farmacologici attivati dagli inibitori di SGLT2 e dai diuretici dell’ansa suggeriscono la ragione per cui la loro azione è in grado di generare il reciproco potenziamento della natriuresi, supportandone l’adozione combinata nello scompenso cardiaco acuto32.

Nello studio DAPARESIST, dapagliflozin è stato testato in pazienti ricoverati per WHF con resistenza ai diuretici dell’ansa33 randomizzati entro 24 h dall’ospedalizzazione a dapagliflozin 10 mg o metolazone 5-10 mg. Nel corso del follow-up di 5 giorni, dapagliflozin non è risultato più efficace di metolazone in termini di variazione di peso corporeo. D’altro canto, però, la decongestione nei pazienti trattati con la gliflozina è risultata associata ad una minore riduzione delle concentrazioni plasmatiche di sodio e potassio e ad un minor incremento di azotemia e creatininemia, supportando l’ipotesi che le gliflozine hanno un impatto sulla funzione renale e sugli elettroliti sierici più favorevole rispetto ai diuretici tradizionali. Nello studio clinico DAPA-RESPONSE-AHF34, mirato a valutare l’effetto di dapagliflozin sul miglioramento dei sintomi nei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto con congestione, dopo 4 giorni il trattamento con dapagliflozin ha determinato un miglioramento del sintomo dispnea. Il tasso di riospedalizzazione entro 30 giorni dalla dimissione è risultato più elevato nel gruppo placebo. Nello studio DICTATE-AHF30 l’impiego precoce di dapagliflozin è risultato ben tollerato ma non ha comportato un miglioramento significativo dell’efficienza dei diuretici in pazienti congesti ricoverati per scompenso cardiaco e affetti da diabete di tipo 2. D’altro canto, l’endpoint primario di questo studio, basato sull’efficienza diuretica espressa come variazione cumulativa del peso per dose cumulativa di diuretico dell’ansa dall’arruolamento al giorno 5 o alla dimissione, se precedente, è un endpoint surrogato molto fragile. È da considerare che lo studio DELIVER17 già prevedeva la possibilità di randomizzazione durante ricovero per scompenso cardiaco e complessivamente l’1% dei pazienti inclusi nello studio era stato arruolato in corso di ricovero.

Globalmente i risultati degli studi condotti finora supportano la sicurezza dell’impiego delle gliflozine nel contesto di un ricovero per scompenso cardiaco acuto (Tabella 4)27,28,30,33,34 e, per quel che riguarda empagliflozin, lo studio EMPULSE fornisce evidenze anche di un impatto favorevole sulla prognosi cardiovascolare16.




IMPIEGO PRECOCE DELLE GLIFLOZINE: RAZIONALE

Il buon profilo di tollerabilità e la semplicità di impiego, con un’unica somministrazione senza necessità di titolazione, consente di iniziare facilmente ed in sicurezza il trattamento con gliflozine nel corso di un ricovero per scompenso cardiaco. Un aspetto a favore di un inizio precoce delle gliflozine, già durante l’ospedalizzazione per scompenso cardiaco, è l’evidenza di benefici clinici significativi nelle prime settimane dopo l’inizio della terapia. In tutti gli studi condotti in pazienti con scompenso cardiaco è stata osservata una riduzione significativa degli eventi avversi per scompenso entro 30 giorni dall’inizio del trattamento35. Si tratta di risultati da considerare nella gestione clinica dei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco, i quali hanno un aumentato rischio di mortalità e riospedalizzazione nei primi 30 giorni post-dimissione36.

Nello studio EMPULSE, empagliflozin è risultato associato ad un significativo miglioramento dei sintomi già dopo 15 giorni dall’inizio del trattamento (differenza media del punteggio del KCCQ aggiustato per il placebo pari a 5.35; IC 95% 1.51-9.19) che persiste a 90 giorni25.

Un altro aspetto a favore dell’impiego precoce delle gliflozine è correlato all’effetto sulla funzione renale. Questa classe di farmaci ha dimostrato di ridurre il rischio di iperpotassiemia e, nel medio-lungo termine, rallentare la progressione del danno renale37. Queste caratteristiche concorrono a migliorare la tollerabilità di altri trattamenti raccomandati nell’HFrEF come gli ARNI e gli antagonisti recettoriali dei mineralcorticoidi. Inoltre, i benefici associati all’uso delle gliflozine nell’HFrEF sono additivi rispetto agli atri trattamenti “disease-modifying”, indipendentemente dalla qualità della terapia concomitante36. Dunque, per giovarsi al massimo dei benefici clinici, quali la riduzione degli eventi avversi, ed aumentare la tollerabilità della terapia polifarmacologica dell’HFrEF, l’inizio del trattamento con gliflozine dovrebbe essere prioritario rispetto alla titolazione degli altri trattamenti36.

LE GLIFLOZINE IN CONTESTI CLINICI COMPLESSI

Pazienti anziani

Nello studio EMPULSE l’età media della popolazione era 71 anni (range interquartile 61-78 anni)16 e l’effetto favorevole di empagliflozin sull’occorrenza dell’endpoint primario è risultato indipendente dall’età, risultato coerente con quanto osservato negli studi clinici condotti nei pazienti con scompenso cardiaco cronico. Inoltre, in merito all’età, dall’analisi degli studi nel contesto dello scompenso cardiaco cronico38,39, l’incidenza di eventi avversi nei pazienti trattati con empagliflozin risultava simile a quella del gruppo placebo in tutte le classi di età. Per quanto riguarda gli altri studi che hanno valutato le gliflozine in pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco (Tabella 4), l’età media delle popolazioni arruolate era compresa tra 75-79 anni per empagliflozin e 61-79 anni per dapagliflozin. Sebbene lo studio DELIVER17 abbia arruolato anche pazienti durante l’ospedalizzazione per scompenso, dati specifici relativi a questa categoria di pazienti non sono disponibili.

Nella pratica clinica non è necessario nessun adeguamento della dose delle gliflozine negli anziani con scompenso cardiaco. Poiché, però, questi pazienti possono avere un rischio aumentato di disidratazione e/o ipotensione, viene suggerito di monitorare più frequentemente la funzione renale e gli elettroliti.

Pazienti con insufficienza renale

Nello studio EMPULSE, la velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) basale (<45, 45-60 o ≥60 ml/min/1.73 m2) non modificava l’effetto del trattamento con empagliflozin sull’outcome primario (p per interazione 0.54) e la modesta caduta dell’eGFR osservata all’inizio del trattamento non risultava più presente al follow-up a 90 giorni40. La riduzione dell’eGFR non è da considerare come espressione di deterioramento della funzione renale, ma come risposta funzionale del glomerulo al blocco del cotrasportatore che ristabilisce il tono dell’arteriola afferente riducendo la pressione di filtrazione glomerulare e quindi la produzione di filtrato41. Questa azione è nefro-protettiva e spiega perché l’inibizione di SGLT2 riduce l’incidenza di danno renale acuto (AKI). Al di là della significatività statistica, i dati forniti dallo studio EMPULSE sono confermativi (Figura 3). Verosimilmente il mancato raggiungimento della significatività statistica (p = 0.0935) in termini di incidenza di AKI tra i due gruppi di trattamento (3.8% vs 7.2%) è ascrivibile al basso numero complessivo di eventi AKI (Figura 3)40.




Nei rari casi in cui la riduzione dell’eGFR è risultata ≥30%, si è osservato un aumento degli eventi renali avversi non critici42.

Nello studio DAPA-CKD, dall’analisi dei pazienti arruolati con e senza storia di scompenso (eGFR media 43.1 ± 12.3), in entrambi i gruppi la somministrazione di dapagliflozin ha determinato una riduzione degli eventi riconducili all’insufficienza cardiaca pari a ~40% con un’incidenza di eventi renali avversi sovrapponibile (5.8%/anno)43. Le evidenze disponibili supportano, dunque, l’impiego delle gliflozine nei pazienti con scompenso cardiaco anche in presenza di malattia renale. La lieve e transitoria riduzione del filtrato renale, che può verificarsi dopo l’inizio del trattamento (3-5 ml/min nelle prime settimane)44, non deve indurre alla sospensione del trattamento.

Nella pratica clinica prima dell’inizio del trattamento è necessario valutare la funzione renale, considerando che nel trattamento dei pazienti affetti da scompenso cardiaco con eGFR <60 ml/min/1.73 m2 non è necessario un adattamento della dose, ma tenuto conto delle limitate evidenze derivate dagli studi clinici finora disponibili, non è consigliabile iniziare il trattamento con dapagliflozin in caso di eGFR <25 ml/min/1.73 m2 e con empagliflozin in caso di eGFR <20 ml/min//1.73 m2.

Pazienti con rischio di ipotensione

I criteri di esclusione dello studio EMPULSE16 prevedevano valori di pressione arteriosa sistolica (PAS) <100 mmHg, la presenza di ipotensione sintomatica e l’impiego di supporto inotropo nelle precedenti 24 h. Al follow-up a 90 giorni rispetto al basale non sono emerse variazioni significative né della PAS (empagliflozin vs placebo: variazione media 0.1 mmHg, IC 95% da -2.5 a 2.7 vs 1.0 mmHg, IC 95% da 1.6 a 3.6), né dei valori pressori diastolici (empagliflozin vs placebo: variazione media -0.3 mmHg, IC 95% da -1.8 a 1.3 vs -0.7 mmHg, IC 95% da -2.3 a 0.8). Nello studio DICTATE-AHF, valori di PAS <90 mmHg costituivano uno dei criteri di esclusione30. Nel corso del follow-up della durata di 30 giorni dalla dimissione, l’ipotensione sintomatica è stata riportata in 2 pazienti del gruppo trattato con dapagliflozin e in 4 pazienti del gruppo placebo.

Nella pratica clinica, prima di iniziare il trattamento con gliflozine è necessario valutare lo stato di idratazione ed i valori pressori del paziente (Tabella 5) e in caso di disidratazione e/o ipotensione è necessario correggere queste condizioni prima di iniziare la terapia con gliflozine37,45.




Inoltre, poiché in soggetti predisposti le gliflozine potrebbero amplificare la risposta ipotensiva46 e, per i sopracitati meccanismi attraverso cui concorrono alla natriuresi, possono determinare una precoce accentuazione dell’effetto dei diuretici dell’ansa, è opportuno valutare l’eventuale necessità di ridurre il dosaggio dei farmaci antipertensivi e dei diuretici37.

CONCLUSIONI

Lo studio EMPULSE va a completare le evidenze a favore del trattamento con empagliflozin in tutto lo spettro dell’insufficienza cardiaca, dallo scompenso cardiaco cronico agli episodi acuti gestiti nel contesto di un’ospedalizzazione, indipendentemente dalla funzione sistolica ventricolare sinistra. Sulla base delle più recenti evidenze, l’ultimo aggiornamento delle linee guida della Società Europea di Cardiologia sull’insufficienza cardiaca raccomanda un inizio precoce di tutti i trattamenti con dimostrato beneficio cardiovascolare e l’utilizzo delle gliflozine consente di introdurre gli altri farmaci raccomandati nell’HFrEF senza aumentare il rischio di eventi avversi. Nella pratica clinica, il ricovero ospedaliero deve essere considerato un’opportunità per l’inizio e l’ottimizzazione della terapia in grado di migliorare la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco. Anche in contesti clinici più complessi, come i pazienti più anziani o con insufficienza renale, nei confronti dei quali c’è una maggiore esitazione nell’instaurare una nuova terapia cardiovascolare per i possibili effetti collaterali, l’impiego precoce delle gliflozine è supportato da evidenze di sicurezza e tollerabilità.

RIASSUNTO

Nella gestione dell’insufficienza cardiaca, il ricovero per scompenso cardiaco acuto rappresenta la principale causa di spesa ed è associato ad un aumentato rischio di successivi eventi avversi. In questa rassegna vengono riportate le evidenze a favore del ricovero ospedaliero come contesto ideale per l’implementazione della terapia “disease-modifying” dell’insufficienza cardiaca con un’attenzione particolare all’impiego delle gliflozine nel paziente con scompenso cardiaco acuto stabilizzato. Gli autori analizzano i dati provenienti dallo studio EMPULSE, il più ampio studio clinico che ha valutato una gliflozina nel contesto acuto in pazienti con funzione sistolica sia ridotta che preservata, ponendo l’attenzione al metodo statistico win ratio utilizzato per l’analisi dell’endpoint primario. Questo studio ha dimostrato che l’impiego di empagliflozin nel corso di un ricovero per scompenso cardiaco acuto comporta un significativo beneficio clinico. Le successive analisi hanno evidenziato gli effetti favorevoli in termini di decongestione. Poiché i benefici clinici del trattamento con gliflozine si manifestano precocemente (dopo poche settimane) e al fine di aumentare la tollerabilità della terapia polifarmacologica dello scompenso cardiaco, l’inizio del trattamento con gliflozine dovrebbe essere prioritario rispetto alla titolazione degli altri trattamenti. Anche in contesti clinici più complessi, come nel paziente anziano o con insufficienza renale in cui vi è maggiore reticenza all’impiego dei trattamenti per lo scompenso cardiaco, le evidenze disponibili supportano la sicurezza e la buona tollerabilità delle gliflozine che, anzi, possono facilitare l’introduzione/titolazione degli altri trattamenti.

Parole chiave. Dapagliflozin; Empagliflozin; Gliflozine; Ospedalizzazione; Scompenso cardiaco acuto.

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