Trattamento dello scompenso cardiaco con inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 indipendentemente dalla frazione di eiezione ventricolare sinistra

Giuseppe M.C. Rosano1,2,3, Marco Metra4, Pasquale Perrone Filardi5, Maurizio Volterrani6

1Dipartimento di Scienze Umane e Promozione della Qualità della Vita, Università San Raffaele, Roma

2Cardiologia, San Raffaele Cassino, Cassino

3Centro di Ricerca Clinica e Sperimentale, IRCCS San Raffaele, Roma

4Dipartimento di Cardiologia, Università degli Studi, Brescia

5Dipartimento di Cardiologia, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli

6Dipartimento di Cardiologia, IRCCS San Raffaele Pisana, Roma

INTRODUZIONE

Lo scompenso cardiaco (HF) rappresenta una delle principali sfide cliniche nel campo della medicina cardiovascolare, con una prevalenza in continuo aumento a livello globale1. Questa sindrome è caratterizzata da un cluster di sintomi relativi alla ridotta funzione contrattile o all’alterato rilasciamento cardiaco che causano ridotta perfusione periferica, congestione polmonare e sistemica e/o riduzione della capacità di esercizio fisico2. L’HF può presentarsi con un ampio spettro di manifestazioni cliniche, che vanno da sintomi lievi e non specifici fino a quadri di grave compromissione emodinamica e insufficienza multi-organo. La definizione universale dell’HF include quindi tre elementi fondamentali: (1) sintomi relativi alla patologia, (2) segni di congestione, (3) accompagnati da evidenze di alterazioni strutturali e/o funzionali cardiache2. Tali evidenze di alterazioni strutturali e/o funzionali possono essere fornite dall’esame ecocardiografico ma possono provenire anche dall’analisi di biomarcatori quali il frammento N-terminale del propeptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP) che, come evidenziato nelle linee guida dello scompenso cardiaco della Società Europea di Cardiologia, è indicatore di stress cardiaco e svolge un ruolo chiave nella diagnosi precoce di HF, a vantaggio sia degli specialisti che dei non specialisti3.

La classificazione dell’HF si basa principalmente sulla valutazione della frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS), un parametro ecocardiografico che riflette la funzione sistolica del ventricolo sinistro. In base alla FEVS, l’HF può essere suddiviso in tre categorie principali: HF con frazione di eiezione ridotta (HFrEF), lievemente ridotta (HFmrEF) e preservata (HFpEF)2. Recentemente è stata introdotta una nuova categoria di pazienti, nei quali la FEVS, inizialmente ridotta, migliora al follow-up (HFimpEF). Questa classificazione non si basa su chiare differenze fisiopatologiche o funzionali ma è il risultato di una convenzione basata sui criteri di inclusione dei trial clinici. Infatti, le diverse forme di HF presentano caratteristiche fisiopatologiche e demografiche che spesso si fondono le une nelle altre2.

Nonostante i progressi nella comprensione dei meccanismi alla base dell’HF e lo sviluppo di nuove terapie, la gestione di questa condizione rimane una sfida clinica significativa. L’HF è associato a elevati tassi di morbilità e mortalità, con frequenti ospedalizzazioni e una qualità di vita spesso compromessa per i pazienti. Pertanto, l’obiettivo primario nella gestione dell’HF è quello di migliorare la prognosi prolungando la sopravvivenza, di ridurre le ospedalizzazioni e migliorare la qualità di vita dei pazienti. In particolare, la mortalità rimane elevata nei pazienti con HF, indipendentemente dalla FEVS, e richiede strategie di trattamento aggressive e precoci per rallentare la progressione della malattia e prolungare la sopravvivenza dei pazienti4.

In maniera analoga, le ospedalizzazioni per HF sono associate a una significativa morbilità, mortalità e impatto sui costi sanitari, e pertanto la loro riduzione rimane un obiettivo significativo aggiuntivo nella gestione clinico-sanitaria dei pazienti con HF5. I pazienti con HF, indipendentemente dalla FEVS, sono ad alto rischio di ospedalizzazioni ricorrenti per HF, che possono verificarsi a causa di molteplici fattori. Tra questi, la progressione della malattia svolge un ruolo chiave nel rischio di ospedalizzazione per HF; inoltre, la scarsa aderenza alla terapia, le comorbilità e gli eventi cardiovascolari acuti, anche, determinano a loro volta un aumentato rischio di ospedalizzazione per HF. Le ospedalizzazioni per HF sono, infine, associate a una significativa compromissione della qualità di vita dei pazienti oltre che al noto aumentato rischio di mortalità a breve e lungo termine5.

Nell’ambito della gestione clinica del paziente con HF, bisogna prendere in considerazione alcuni parametri che aiutano nella stratificazione del rischio di eventi e permettono di personalizzare le strategie terapeutiche. La FEVS è un parametro prognostico importante nella valutazione di questi pazienti rivestendo un ruolo centrale nella diagnosi di HF e nella stratificazione del rischio: valori più bassi di FEVS sono associati a una maggiore mortalità cardiovascolare e ad un aumentato rischio di ospedalizzazioni per HF. Inoltre, le opzioni terapeutiche oggi disponibili per il trattamento di pazienti con HF sono diversificate a seconda dei valori di FEVS e dell’eziologia di patologia. Tuttavia, è importante sottolineare che la FEVS non cattura l’intera complessità della funzione cardiaca e che altri parametri ecocardiografici, come la funzione diastolica, la riserva contrattile e l’accoppiamento ventricolo-arterioso, possono fornire valide informazioni prognostiche e terapeutiche aggiuntive. Inoltre, la misurazione della funzione ventricolare è un parametro non fisso ma che varia nel tempo, ed è soggetto ad errori di misurazioni tra il 5% e 10% e ad elevata variabilità in funzione della metodica diagnostica utilizzata, rendendo le rigide classificazioni dell’HF basate su cut-off ben precisi di FEVS non sempre applicabili e spesso incorrette6. Infine, la FEVS dei pazienti con HF varia in funzione della progressione della malattia, delle terapie instaurate e della causa dello scompenso e pertanto sembrerebbe più corretto parlare di traiettoria della funzione ventricolare piuttosto che di classi basate su rigidi criteri di funzione ventricolare sinistra. Oltre alla FEVS, altri fattori prognostici importanti nei pazienti con HF includono la classe funzionale della New York Heart Association (NYHA), la presenza di comorbilità, i livelli di peptidi natriuretici e i parametri di funzione renale. Solo la valutazione integrata di questi fattori consente di stratificare il rischio dei pazienti e di personalizzare le strategie terapeutiche.

LA TRAIETTORIA DELLA FRAZIONE DI EIEZIONE VENTRICOLARE SINISTRA

La traiettoria della FEVS nell’HF può variare a seconda di diversi fattori, inclusi il tipo di HF, l’eziologia alla base dell’HF e la risposta al trattamento7,8. Tuttavia, in generale, si possono osservare le seguenti tendenze:

• HF con FEVS ridotta (HFrEF): nel caso di pazienti con HFrEF (FEVS <40%), grazie al trattamento farmacologico appropriato, compreso l’uso di farmaci beta-bloccanti, farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (quali gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina [ACE-inibitori], i sartani, gli inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina [ARNI], e gli antagonisti del recettore dei mineralocorticoidi [MRA]), gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2i) e le terapie di resincronizzazione cardiaca, la FEVS può migliorare, anche significativamente, in alcuni pazienti. È importante anche sottolineare come procedure di rivascolarizzazione miocardica chirurgica possano migliorare la funzione contrattile del ventricolo sinistro9-11. In alcuni casi, la FEVS ridotta può rimanere stabile o persino diminuire ulteriormente nel tempo, specialmente se la malattia progredisce o se si verificano complicanze.

• HF con FEVS migliorata: i pazienti con una storia di FEVS ridotta (≤40%) che successivamente migliorano la frazione di eiezione di almeno il 10% portando la FEVS a valori superiori al 40% devono essere considerati pazienti con HFimpEF, piuttosto che pazienti con HFmrEF o HFpEF. L’HFimpEF rappresenta un gruppo peculiare di pazienti i cui dati clinici e di laboratorio evolvono parallelamente al recupero della funzione sistolica. Tuttavia, questi pazienti rimangono a rischio di eventi avversi, rafforzando l’idea che questo fenotipo non implica “recupero” o normalizzazione della funzione ventricolare sinistra ma miglioramento legato alle strategie terapeutiche ed infatti, come raccomandato nelle linee guida, traggono beneficio dal continuare le strategie terapeutiche raccomandate per i pazienti con HFrEF con l’obiettivo di mantenere il miglioramento della FEVS e prevenire il deterioramento clinico.

• HF con FEVS lievemente ridotta (HFmrEF) o preservata (HFpEF): in questo tipo di HF, la FEVS è superiore al 40%. Nel caso in cui la FEVS sia compresa tra tra 40% e 50%, il paziente verrà considerato affetto da HFmrEF mentre, nel caso in cui la frazione di eiezione fosse ≥50%, si parlerà di HFpEF. Nelle forme di HFpEF il muscolo cardiaco non presenta significative anomalie nella contrattilità ma soprattutto alterazioni nel rilasciamento diastolico e, di rimando, del riempimento in fase di rilasciamento muscolare del ventricolo sinistro.

La traiettoria della FEVS nel tempo in questi pazienti può variare, ma spesso rimane stabile con il trattamento. Tuttavia, nei pazienti con HFpEF che presentano un’indicazione clinica per una ripetizione dell’ecocardiogramma durante il follow-up, circa un terzo presenta una diminuzione della FEVS12. Il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare, come l’ipertensione, il diabete e l’obesità, insieme a una modifica degli stili di vita ed una gestione ottimale delle comorbilità, sono cruciali per il trattamento dell’HFpEF. In tutti i tipi di HF, la valutazione periodica della FEVS è importante per monitorare la risposta al trattamento e la progressione della malattia. In questo contesto, è essenziale considerare anche altri parametri clinici e di imaging, oltre alla FEVS, per una valutazione completa della funzione cardiaca.

IL TRATTAMENTO DELLO SCOMPENSO CARDIACO

Negli ultimi anni numerose terapie hanno portato ad un miglioramento della prognosi dei pazienti con HFrEF mentre poche terapie si sono rivelate efficaci nei pazienti con FEVS >40%, soprattutto per valori >50%. Infatti, mentre molte terapie hanno dimostrato di migliorare la prognosi dei pazienti con HFrEF, molti interventi terapeutici si sono dimostrati inefficaci in pazienti con FEVS >40% e soprattutto in quelli con FEVS >50%13. Gli SGLT2i, tuttavia, sono emersi come un’opzione terapeutica inizialmente in pazienti con FEVS ridotta ma in seguito in quelli con FEVS >40% dimostrando efficacia lungo tutto lo spettro della funzione ventricolare14. Dapagliflozin ed empagliflozin hanno dimostrato benefici significativi nella riduzione di endpoint compositi di ospedalizzazione per HF e mortalità cardiovascolare nei pazienti con HF cronico. Mentre sia dapagliflozin che empagliflozin riducono le ospedalizzazioni per HF, dapagliflozin, rispetto ad altri farmaci della stessa classe, ha dimostrato di ridurre significativamente anche il rischio di morte per cause cardiovascolari (hazard ratio [HR] 0.86, intervallo di confidenza [IC] 95% 0.76-0.97; p=0.01) e di morte per tutte le cause (HR 0.90, IC 95% 0.82-0.99) in maniera consistente lungo tutto lo spettro di FEVS15, cosa non dimostrabile per altri farmaci della classe. Dati simili sono stati osservati anche per il rischio di ospedalizzazione per HF; in particolare, dapagliflozin ha ridotto il rischio di ospedalizzazione per HF in maniera consistente in tutto lo spettro di FEVS. Il beneficio degli SGLT2i indipendente dalla FEVS e nella popolazione HFimpEF è stato riconosciuto anche dal recente aggiornamento delle linee guida ESC sullo scompenso cardiaco16. A parte l’effetto degli SGLT2i sugli eventi compositi, bisogna evidenziare che solo dapagliflozin ha dimostrato una riduzione della mortalità cardiovascolare indipendentemente dalla frazione di eiezione17.

I potenziali meccanismi attraverso cui gli SGLT2i esercitano i loro benefici sono molteplici ma ad oggi non esiste un unico meccanismo riconosciuto come effettore della riduzione degli eventi nei pazienti con HF18. Alla luce delle evidenze attuali, l’uso degli SGLT2i deve essere considerato come parte fondamentale della strategia di gestione per tutti i fenotipi di HF, indipendentemente dalla FEVS e dalla traiettoria della stessa15 (Figura 1).




Più recentemente, lo studio FINEARTS ha dimostrato l’efficacia del finerenone, un MRA, nei pazienti con FEVS >45% estendendo l’evidenza di efficacia già accumulate con eplerenone e spironolattone nei pazienti con FEVS <45% e suggerendo anche per questa classe di farmaci un effetto indipendente dalla frazione di eiezione19,20. Tuttavia, sembrerebbe che l’effetto degli MRA richieda un tempo maggiore per manifestarsi rispetto a quello degli SGLT2i.

L’introduzione degli SGLT2i efficaci su endpoint quali mortalità ed ospedalizzazioni in pazienti con HF e caratterizzati da un precoce beneficio clinico, come evidenziato dalla rapida separazione delle curve di Kaplan-Meier per questi end­point, potrebbe suggerire un cambiamento di approccio nei confronti del classico percorso clinico-terapeutico dei pazienti con HF: la valutazione della FEVS potrebbe non essere più necessaria per iniziare la terapia con questa classe di farmaci ed eventualmente anche gli MRA nei pazienti con HF. Questo approccio potrebbe ottimizzare il percorso di diagnosi e cura dei pazienti perché (1) garantisce l’inizio precoce di un farmaco con dimostrati benefici sull’outcome di patologia e la cui indicazione nel trattamento dell’HF è indipendentemente dal valore di frazione di eiezione; (2) la risposta positiva al trattamento dopo l’inizio tempestivo della terapia “evidence-based” con SGLT2i potrebbe confermare da un punto di vista clinico la diagnosi; (3) proteggere il paziente con la terapia ridurrebbe la necessità di una rivalutazione in tempi stretti.

È fondamentale, tuttavia, sottolineare che l’esame ecocardiografico resta un esame cruciale nel percorso diagnostico e terapeutico del paziente con HF, al fine di identificare eziologie specifiche della disfunzione cardiaca così da ottimizzare la terapia farmacologica e non farmacologica, ma non deve ritardare l’impostazione precoce di una terapia, come quella con SGLT2i, con dati importanti di efficacia e sicurezza21,22.

IMPLEMENTAZIONE DELLA TERAPIA PRIMA DELL’ECOCARDIOGRAFIA: È POSSIBILE?

L’implementazione della terapia con SGLT2i prima dell’esecuzione dell’ecocardiografia rappresenta un approccio innovativo e promettente nella gestione dei pazienti con HF. Tradizionalmente, la valutazione ecocardiografica è considerata un passaggio fondamentale per la diagnosi e la classificazione dell’HF, in particolare per la determinazione della FEVS. Tuttavia, le evidenze attualmente disponibili suggeriscono che l’inizio precoce della terapia con SGLT2i, anche prima della conferma ecocardiografica della FEVS, potrebbe offrire benefici clinici significativi (Figura 2).




Se l’effetto benefico degli SGLT2i è indipendente dalla FEVS, in particolare per dapagliflozin che ha dimostrato un’efficacia terapeutica sostenuta indipendentemente da qualsiasi valore di FEVS, questo parametro non deve essere più dirimente nella scelta di introdurre un SGLT2i nel regime terapeutico così che il paziente possa beneficiare quanto più precocemente possibile dell’effetto su endpoint rilevanti quali la mortalità cardiovascolare ed ospedalizzazioni per HF. Negli studi clinici registrativi, l’efficacia clinica di dapagliflozin nel ridurre l’endpoint primario di mortalità cardiovascolare e peggioramento dell’HF è stata evidente già dopo 13 e 28 giorni dall’inizio del trattamento, rispetto al placebo, nei pazienti con HFrEF e HFmrEF/HFpEF, rispettivamente. Dati simili sono stati osservati anche per empagliflozin che ha raggiunto la significatività per l’endpoint primario entro le 3 settimane dall’inizio del trattamento. Similarmente agli SGLT2i gli effetti benefici degli MRA sono evidenti nei pazienti con funzione ventricolare ridotta e preservata e potrebbero quindi essere iniziati in tutti i pazienti indipendentemente dal valore di frazione di eiezione. Tuttavia, il loro effetto si manifesta più tardivamente degli SGLT2i suggerendo, in caso sia necessario scegliere, di prioritizzare l’implementazione degli SGLT2i.

La rapidità dell’efficacia clinica degli SGLT2i è particolarmente rilevante se si considerano le recenti evidenze scientifiche derivate dallo studio svedese REVOLUTION-HF che ha valutato il profilo di rischio dei pazienti con sospetto di insufficienza cardiaca (Anderson L., dati non pubblicati). Tra il 2015 e il 2020, i ricercatori hanno valutato i cambiamenti nel trattamento e gli eventi clinici di 5942 pazienti che si presentavano presso una clinica ambulatoriale con segni (edema periferico) e/o sintomi (dispnea) di HF e livelli di NT-proBNP >300 ng/l durante 1 anno di follow-up. Questi pazienti sono stati confrontati con 2048 controlli che si presentavano presso una clinica ambulatoriale per qualsiasi motivo diverso dall’HF. Per coloro con sospetto di HF, il livello medio di NT-proBNP era di 1543 ng/l, tuttavia solo il 29% ha ricevuto una diagnosi formale di HF entro 12 mesi dalla presentazione iniziale. Il tempo mediano per il primo esame ecocardiografico registrato è stato di 40 giorni. Rispetto ai controlli, coloro con sospetto di HF avevano tassi più elevati di ospedalizzazione per HF (16.1 vs 2.2 eventi per 100 persone-anno) e mortalità tutte le cause (10.3 vs 6.5 morti per 100 persone-anno). Questi eventi si sono accumulati nel corso del follow-up. È importante sottolineare che le ospedalizzazioni per HF sono aumentate rapidamente dopo la presentazione ambulatoriale per coloro con livelli di NT-proBNP >2000 ng/l. Date le lunghe attese per eseguire l’esame ecocardiografico e gli esiti clinici dei pazienti con HF sintomatico non ancora diagnosticato ed in attesa della conferma diagnostica, si può ipotizzare un ruolo rilevante della terapia con SGLT2i in questo contesto clinico. Questa strategia terapeutica è anche suggerita dal fatto che nel mondo reale oltre il 45% dei pazienti viene diagnosticato e trattato per HF in assenza di un ecocardiogramma22.

L’inizio precoce della terapia con SGLT2i prima di ricevere l’esito dell’ecocardiogramma potrebbe essere particolarmente vantaggioso considerando che i benefici derivanti dall’avvio precoce della terapia possono superare i rischi associati all’attesa della conferma da parte degli studi di imaging23.

Pertanto ci sono almeno tre scenari clinici in cui la terapia potrebbe essere iniziata prima dell’ecocardiografia:

1. Sospetto di HF in relazione alla storia clinica e anamnesi: se i sintomi di HF sono evidenti e rilevanti, può essere necessario avviare una terapia empirica basata sui sintomi e sulla storia clinica del paziente, prima di ottenere i risultati dell’ecocardiogramma.

2. Diagnosi de novo di HF: se un paziente si presenta con i classici segni/sintomi di insufficienza cardiaca come edema, dispnea, affaticamento, insieme all’anamnesi clinica rilevante e ai risultati dell’esame obiettivo (come elevata pressione venosa giugulare, crepitii all’auscultazione polmonare), associati ad elevati livelli di NT-proBNP circolante, è ragionevole iniziare la terapia tempestivamente, prima dell’esito dell’ecocardiogramma.

3. Paziente con già nota diagnosi di HF in terapia: in questi pazienti, l’attesa dei risultati dell’ecocardiografia per valutare la traiettoria della FEVS e considerare l’ottimizzazione della terapia potrebbe portare ad una progressione di malattia ed anche ad eventi clinici rilevanti (come ricovero per HF e aumentato rischio di mortalità); viceversa l’introduzione degli SGLT2i, li protegge da un maggior rischio di progressione rapida di malattia e comparsa di eventi avversi e consentirebbe anche un’ottimizzazione terapeutica (ad esempio, dapagliflozin ha dimostrato ridurre il rischio di iperkaliemia severa nei pazienti con HFrEF in terapia con MRA permettendo la titolazione dei farmaci).

Questo approccio potrebbe ottimizzare il percorso di cura dei pazienti con HF: eliminando la necessità di attendere i risultati ecocardiografici, i medici possono iniziare tempestivamente una terapia “evidence-based”, riducendo potenzialmente i tempi di diagnosi e trattamento e la necessità di una rivalutazione clinica in tempi stretti.

Resta fondamentale sottolineare che l’implementazione della terapia con SGLT2i prima dell’ecocardiografia non sostituisce la necessità di una valutazione ecocardiografica completa. L’ecocardiografia rimane uno strumento diagnostico fondamentale per la valutazione della struttura e della funzione cardiaca, per la stratificazione del rischio e per la guida delle decisioni terapeutiche a lungo termine. Pertanto, l’inizio precoce della terapia con SGLT2i dovrebbe essere seguito da una valutazione ecocardiografica per confermare la diagnosi di HF, valutarne l’eziologia, determinare la FEVS e guidare la gestione continua.

Sebbene il beneficio di questo approccio terapeutico in attesa dell’ecocardiografia sia innegabile alla luce delle evidenze scientifiche, sono necessari ulteriori studi prospettici per valutare l’efficacia, la sicurezza e i benefici a lungo termine dell’implementazione della terapia con SGLT2i prima dell’ecocardiografia nei pazienti con HF e va specificato che rimane comunque fondamentale una valutazione globale del paziente al fine di escludere condizioni che possano controindicare l’utilizzo di una gliflozina. Inoltre, saranno necessarie linee guida cliniche aggiornate per definire il ruolo e il momento ottimale dell’inizio della terapia con SGLT2i nel contesto dell’HF.

CONCLUSIONI

La gestione dell’HF richiede un approccio multidisciplinare e personalizzato che tenga conto delle diverse eziologie, delle comorbilità e delle caratteristiche individuali dei pazienti. La funzione ventricolare e la mortalità cardiovascolare e le ospedalizzazioni per HF sono determinanti chiave della prognosi nei pazienti con HF.

A differenza degli antagonisti neuroumorali come beta-bloccanti, ACE-inibitori, ARNI e MRA che sono efficaci prevalentemente nei pazienti con funzione ventricolare sinistra ridotta o lievemente ridotta, gli SGLT2i agiscono egualmente bene lungo tutto lo spettro della funzione ventricolare attraverso molteplici meccanismi, tra cui la riduzione del precarico e del postcarico, il miglioramento della funzione cardiaca e renale e la modulazione del metabolismo energetico del miocardio. In particolare, dapagliflozin ha dimostrato di ridurre il rischio di mortalità da tutte le cause e cardiovascolare ed il rischio di peggioramento dell’HF, indipendentemente da qualsiasi valore di FEVS, per la prima volta nella storia dell’HF.

L’implementazione della terapia con SGLT2i prima dell’ecocardiografia rappresenta un approccio promettente nella gestione dei pazienti con HF, offrendo potenziali benefici clinici indipendentemente dalla FEVS, riducendo il rischio di ospedalizzazioni per HF e migliorando gli esiti clinici, anche prima della conferma della diagnosi di HF e della ricerca dell’eziologia mediante ecocardiografia. Questo approccio potrebbe semplificare e ottimizzare il percorso di cura dei pazienti con HF, consentendo un inizio tempestivo di una terapia “evidence-based”. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per definire il ruolo e il momento ottimale dell’inizio della terapia con SGLT2i in relazione alla valutazione ecocardiografica nella gestione dell’HF.

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