La steatosi epatica non alcolica: una nuova insidia per il cardiologo
La prevalenza della steatosi epatica non alcolica (NAFLD) è stimata tra il 17% e il 33% della popolazione generale. È frequentemente associata con i più noti fattori di rischio cardiovascolari, obesità (60-90%), diabete mellito (28-55%), dislipidemia (27-92%), ipertensione arteriosa (22%); in presenza di sindrome metabolica, la sua frequenza è circa doppia. È verosimilmente un mediatore precoce del processo aterosclerotico, con il quale condivide alcuni del meccanismi patogenetici (insulino-resistenza, stress ossidativo, disfunzione endoteliale, attivazione infiammatoria). Dal punto di vista clinico è generalmente asintomatica; l’ipertransaminasemia è il reperto più frequente. Sebbene la biopsia epatica rappresenti il gold standard diagnostico, l’ecografia epatica consente una sua identificazione. I pazienti con NAFLD presentano un rischio di morte superiore alla popolazione generale e le malattie cardiovascolari, insieme a quelle epatiche e neoplastiche, rappresentano le cause più frequenti. Scarsi sono gli studi relativi alle alterazioni cardiache in corso di NAFLD. Sono state descritte alterazioni della geometria ventricolare sinistra e una lieve disfunzione diastolica ed in studi effettuati su di un numero limitato di pazienti, è stata osservata una malattia coronarica più estesa e la presenza di placche vulnerabili. In conclusione, la NAFLD dovrebbe entrare nel bagaglio culturale del cardiologo per la frequenza con cui si presenta, per la sua stretta associazione con i principali fattori di rischio cardiovascolare (in primis la sindrome metabolica, della quale è la manifestazione epatica) e per i suoi rapporti con la malattia coronarica, che sembrano indicare un ruolo autonomo della NAFLD stessa sulla progressione dell’aterosclerosi, al di là della stretta associazione con i suddetti fattori di rischio. Il riscontro di una steatosi epatica da un lato deve indurre alla ricerca di altri fattori di rischio notoriamente correlati, dall’altro suggerisce la necessità di un trattamento in grado di ridurre il contenuto grasso del fegato.