Influenza di terapie antiretrovirali sullo spessore medio-intimale carotideo in pazienti HIV-positivi
Razionale. L’introduzione di nuovi regimi terapeutici ha ridotto la morbilità e la mortalità correlate all’HIV, a scapito di alterazioni metaboliche che incrementano il rischio cardiovascolare. Scopo dello studio è stato valutare l’impatto degli inibitori delle proteasi (PI) rispetto agli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI) sullo spessore medio-intimale (IMT) e sulle velocità di flusso carotideo e la progressione del danno vascolare dopo 2 anni nei soggetti trattati con PI.
Materiali e metodi. Trentacinque pazienti affetti da HIV trattati con PI (gruppo I), 15 pazienti trattati con NNRTI (gruppo II) e 20 soggetti di controllo sani sono stati sottoposti ad ultrasonografia dei vasi epiaortici. Dopo 20 ± 2 mesi 22 pazienti del gruppo I sono stati nuovamente studiati e i dati del follow-up sono stati confrontati con quelli ottenuti dalla valutazione basale.
Risultati. L’analisi della varianza ha dimostrato una differenza statisticamente significativa nei tre gruppi per IMT e velocità di flusso. L’analisi post-hoc di Bonferroni ha dimostrato valori statisticamente aumentati di IMT e velocità di flusso nel gruppo I rispetto al gruppo II e rispetto ai controlli. L’IMT a livello della carotide comune destra era 0.742 ± 0.135 mm nel gruppo I vs 0.642 ± 0.131 mm nel gruppo II (p <0.05) e 0.616 ± 0.069 mm nei controlli (p = 0.002); a livello della carotide comune sinistra era rispettivamente 0.720 ± 0.108 vs 0.659 ± 0.066 mm (p <0.05) e 0.640 ± 0.081 mm (p <0.01). Il confronto tra il gruppo II ed i controlli non ha mostrato differenze significative. Il confronto tra i valori di follow-up del gruppo I ed i valori basali non ha dato differenze significative.
Conclusioni. Il trattamento con PI determina un precoce coinvolgimento vascolare rispetto alla terapia con NNRTI e rispetto a controlli sani con uguale distribuzione dei fattori di rischio cardiovascolare. Nonostante ciò, questo danno non sembra progredire in un follow-up a 2 anni. Sono necessari studi di follow-up per valutare se tali alterazioni siano predittive di eventi avversi cardiovascolari.