Il lavoro affronta i concetti di rischio cardiovascolare globale e di rischio cardiometabolico, evidenziandone le connessioni, gli aspetti irrisolti e l’utilità per la pratica clinica, revisionando criticamente la letteratura disponibile.
Il rischio cardiovascolare globale è inteso come probabilità di subire un evento coronarico o cerebrovascolare in un certo periodo di tempo e in questo senso è un rischio assoluto, generalmente espresso in percentuale per 10 anni. Per calcolarlo si utilizzano funzioni di rischio derivanti da studi longitudinali su gruppi di popolazione inizialmente sana. Le funzioni di rischio integrano tra molti fattori quelli che hanno coerentemente un peso significativo nelle analisi di popolazione; tra questi i fattori metabolici (colesterolemia totale, colesterolemia HDL, glicemia a digiuno), biologici (pressione arteriosa), o legati allo stile di vita (fumo di sigaretta), tutti modificabili, oltre all’età e al sesso, non modificabili. I fattori prescelti devono avere le seguenti caratteristiche: essere indipendenti all’analisi multivariata; essere semplici da misurare e standardizzabili; contribuire ad aumentare significativamente e sostanzialmente la predittività delle funzioni di rischio. Per essere attendibili, queste funzioni devono essere costruite sulle stesse popolazioni su cui verranno poi applicate. Per questo motivo il Progetto CUORE, nella sua sezione sugli studi longitudinali, ha costruito un database dei fattori di rischio cardiovascolare di alcuni studi longitudinali iniziati fra la metà degli anni ’80 e la metà degli anni ’90 e ha realizzato il follow-up della mortalità e morbosità per stimare il rischio cardiovascolare globale (inteso come primo evento coronarico o cerebrovascolare maggiore) nella popolazione italiana, differenziandolo per uomini e donne. Sono stati prodotti due strumenti: le carte del rischio e il sistema a punteggio (reperibili sul sito www.cuore.iss.it).
L’emergere di una vera e propria epidemia di obesità e diabete ed il fatto che il diabete sia accompagnato da un’aumentata prevalenza di fattori di rischio classici come l’ipertensione e la dislipidemia ha indotto l’American Diabetes Association e l’American Heart Association a lanciare una “chiamata all’azione” per prevenire le malattie cardiovascolari e il diabete. In esso sono stati definiti “fattori di rischio cardiometabolico” l’iperglicemia a digiuno o postprandiale, il sovrappeso/obesità, la pressione sistolica e diastolica elevata e la dislipidemia, perché “strettamente correlati al diabete e alle malattie cardiovascolari”. L’associazione tra vari fattori di rischio “cardiometabolico” è nota da molto tempo, ed è stato ipotizzato che gran parte della loro eziologia possa essere ascritta all’insulino-resistenza. Inoltre, il fatto che queste anomalie “metaboliche” possano raggrupparsi in molte persone, ha dato origine al termine “sindrome metabolica”, costrutto formalmente accettato da molte organizzazioni, ma contestato da altri autori. Da un punto di vista epidemiologico la sindrome metabolica sembra aumentare in modo modesto il rischio cardiovascolare, mentre nei soggetti non diabetici predice molto più efficientemente lo sviluppo di questa condizione. Vari studi hanno comparato la capacità predittiva degli strumenti classici di valutazione del rischio cardiovascolare – Framingham risk score, SCORE, Progetto CUORE – con quella della sindrome metabolica. In genere la presenza di sindrome metabolica non ha aggiunto nulla a coloro già classificati “ad alto rischio”, mentre ha significativamente elevato il rischio in coloro che ce l’avevano inferiore. Numerosi studi hanno dimostrato che modificazioni positive dello stile di vita riducono marcatamente la progressione verso il diabete mellito di tipo 2. Anche alcuni farmaci sono stati testati per la prevenzione del diabete, in genere nei soggetti con intolleranza al glucosio. I farmaci antidiabetici considerati insieme (acarbose, metformina, flumamina, glipizide, fenformina) hanno dato una protezione minore dello stile di vita e con effetti diversi tra i farmaci; il farmaco antiobesità orlistat ha dato una riduzione del rischio di diabete simile all’effetto dello stile di vita.
Un approccio corretto alla prevenzione cardiovascolare e al diabete in Italia può essere quello di valutare dapprima il rischio cardiovascolare globale con le carte del rischio o il sistema a punteggio del Progetto CUORE, perché i soggetti ad alto rischio (≥20%) vanno trattati intensivamente indipendentemente dalla sindrome metabolica e, in un secondo momento, valutare la presenza della sindrome metabolica che incrementa il rischio rispetto a chi ne è esente. Infine, particolare attenzione va posta a chi presenta iperglicemia (senza diabete).