Terapia non farmacologica dell'insufficienza cardiaca: la resincronizzazione
Lo scompenso cardiaco congestizio è una sindrome clinica ad incidenza e prevalenza progressivamente crescente con l’aumentare dell’età e rappresenta una delle principali cause di morte nei paesi industrializzati. I grandi trial clinici hanno dimostrato che i pazienti affetti da scompenso cardiaco refrattario, una volta sottoposti ad adeguata terapia farmacologica, possono migliorare la loro prognosi e la qualità di vita grazie alla resincronizzazione cardiaca, in particolare se associata al defibrillatore automatico. Anche i pazienti scompensati con fibrillazione atriale possono beneficiare della resincronizzazione purché il pacing biventricolare sia associato all’ablazione del nodo atrioventricolare qualora non si raggiunga un’adeguata percentuale di battiti stimolati. Attualmente, grazie al miglioramento delle tecniche di impianto si riescono ad ottenere delle elevate percentuali di successo (>90%) con una bassa incidenza di complicanze (1% circa) e di mortalità periprocedurale. La percentuale di pazienti “responder” con gli attuali criteri di selezione, è tuttavia del 60-70%. Negli ultimi anni le nuove metodiche ecocardiografiche mediante Doppler tissutale hanno alimentato nuove speranze per una miglior identificazione dei pazienti “responder”, ma i risultati sono ancora oggi di non univoca interpretazione.
Restano ancora alcune problematiche aperte, in particolare una migliore identificazione in fase preimpianto dei pazienti “responder” e la valutazione dell’efficacia della resincronizzazione nei pazienti con dissincronia meccanica con o senza dissincronia elettrica e nei pazienti con ridotta frazione di eiezione ma in classe funzionale NYHA I-II.