Frequenza cardiaca, aterosclerosi e rottura di placca: aspetti fisiopatologici
Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato come un valore elevato di frequenza cardiaca sia un fattore di rischio indipendente di mortalità, sia totale sia cardiovascolare. La spiegazione di questi risultati è complessa e legata al ruolo della frequenza cardiaca in differenti processi fisiopatologici, più o meno integrati fra loro. Prima di tutto, la frequenza cardiaca elevata è di per sé un fattore negativo per la performance cardiaca; da un lato con l’accorciamento del ciclo cardiaco porta ad una riduzione del tempo di perfusione miocardica, dall’altro ha come conseguenza un più elevato consumo di ossigeno. Partecipa, inoltre, come fattore modulante sulle differenti forze meccaniche applicate sul vaso arterioso. Queste sono dovute prevalentemente a due componenti determinanti, la pressione arteriosa e la viscosità del sangue. La prima induce forze compressive e di stiramento sul vaso, mentre la seconda provoca uno stress meccanico di frizione sulla superficie endoteliale. Entrambe favoriscono non solo la formazione iniziale e la progressione delle placche aterosclerotiche, ma rivestono anche un ruolo fondamentale nella loro rottura e quindi nell’occlusione trombotica del vaso.