L'esame del polso arterioso: dall'oblio alla rinascita?
Un raccordo ideale, modellato da mentalità e finalità diverse, è ipotizzabile tra certe fantasiose interpretazioni dei polsi arteriosi nell’antichità ed i progressi tecnologici degli anni recenti che attraverso nuove rappresentazioni dei polsi hanno consentito significative acquisizioni. Gli effetti percepibili dello “scorrere del sangue” sono da sempre associati a fenomeni non solo connessi a malattie del cuore e dei vasi, ma anche di organi apparentemente ad essi non collegati oltre che allo stato emozionale. Secoli prima dell’era cristiana, i medici cinesi e indiani attribuivano grande importanza all’esame del polso, descritto in termini immaginifici, e dal quale traevano indicazioni sulla personalità e su alcuni processi patologici del soggetto. Nel mondo greco e latino e per citare un solo nome, Galeno produsse numerose opere dedicate ai polsi.
Fino al XVIII secolo diverse Università europee ospitavano Cattedre “De pulsibus et urinis”. A partire dal XVIII secolo la trattatistica iniziò ad approfondire la dottrina sfigmica, spingendosi a stabilire rapporti arbitrari – in termini sia diagnostici che prognostici – tra numerose varietà del polso e altrettante “crisi” di organi encefalici, toracici ed addominali. Tra la metà del XVIII e la fine del XIX secolo lo studio del polso venne applicato essenzialmente all’identificazione delle aritmie e dei vizi valvolari, ma non mancarono descrizioni del polso alternante e del polso “paradosso” con relative interpretazioni affatto univoche. Dalla metà del XX secolo, mediante la misura di parametri quali la velocità di propagazione e la riflessione dell’onda sfigmica sono stati realizzati notevoli progressi soprattutto negli studi epidemiologici delle malattie cardiovascolari. Questo lavoro si propone di richiamare l’attenzione del lettore sulle potenzialità che una elementare manovra semeiologica può ancora avere al letto del paziente.