Come è cambiata la storia naturale della cardiomiopatia dilatativa. Una revisione del Registro delle Malattie del Miocardio di Trieste
La cardiomiopatia dilatativa (CMPD), malattia del miocardio caratterizzata da dilatazione e disfunzione ventricolare, è un’importante causa di morbilità e mortalità. In questo lavoro vengono presentati i principali risultati ottenuti dall’analisi della storia naturale della CMPD su 581 pazienti arruolati negli ultimi 25 anni nel Registro delle Malattie del Miocardio di Trieste e seguiti con controlli periodici.
La prognosi della CMPD è significativamente migliorata nel tempo, principalmente in conseguenza del trattamento ottimizzato, pur emergendo un’evidente eterogeneità sia nella forma familiare-genetica che in quella sporadica. Una diagnosi precoce ha permesso di identificare un sottogruppo di pazienti a rapida evoluzione fatale ed indicazioni a trapianto urgente, ottimizzando al contrario l’efficacia della terapia nel gruppo a prognosi più favorevole.
Una terapia a lungo termine con ACE-inibitori (nel 90% dei casi) e betabloccanti (nell’87%) si è associata ad un significativo miglioramento della frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) ed un reverse remodeling del ventricolo sinistro, con riduzione dell’insufficienza mitralica e regressione del pattern di riempimento restrittivo, in almeno il 50% dei pazienti dopo 2 anni di trattamento, con una transitoria “normalizzazione” dei parametri nel 16% dei casi. La risposta al trattamento ha dimostrato un notevole impatto prognostico. La sopravvivenza libera da trapianto a 8 anni, a partire dalla valutazione clinico-strumentale a 2 anni, è risultata del 31% nei pazienti con persistente classe NYHA III-IV, del 64% in classe NYHA I-II e FEVS 40%, dell’83% in classe NYHA I-II e FEVS > 40% e del 94% nei pazienti “normalizzati” (p < 0.0001). Dopo 6-8 anni di follow-up, il 33% dei pazienti dimostrava un significativo peggioramento clinico-strumentale, indipendentemente dall’iniziale risposta al trattamento.
Fattori predittivi di risposta favorevole all’associazione di una terapia betabloccante con gli ACE-inibitori sono risultati una storia di lieve ipertensione, il trattamento in una fase precoce della malattia ed una tachicardia sinusale. La morte improvvisa ha dimostrato un’incidenza crescente nel lungo termine, in particolare nei casi con persistente o progressiva dilatazione e disfunzione ventricolare sinistra. Un attento approccio farmacologico (ottimizzazione della terapia betabloccante, sospensione o riduzione di dose della digitale) ed un selettivo approccio non farmacologico (defibrillatore automatico in prevenzione primaria) appaiono misure potenzialmente efficaci sulla morte improvvisa a lungo termine.
In conclusione, l’analisi del Registro delle Malattie del Miocardio di Trieste ha fornito negli ultimi 25 anni utili informazioni sulla storia naturale della CMPD, confermando l’importanza di un approccio rigoroso alla diagnosi e di un follow-up sistematico a lungo termine in terapia ottimizzata.