Cardiopatia ischemica e disfunzione ventricolare sinistra: il ruolo della trimetazidina
Pazienti con cardiomiopatia ischemica possono migliorare la contrattilità miocardica attraverso la modulazione metabolica dell’attività di miocellule ibernate e/o stordite. La trimetazidina, impiegata in clinica in condizioni di angina stabile da sforzo, possiede proprietà che ne suggeriscono l’impiego in pazienti con scompenso cardiaco cronico su base ischemica. Infatti, attraverso l’inibizione dell’enzima 3-ketoacil coenzima A tiolasi, il farmaco riduce la resintesi di adenosintrifosfato (ATP) a partire dalla beta-ossidazione degli acidi grassi, e stimola l’ossidazione del glucosio. In condizioni sperimentali di ischemia miocardica severa, la trimetazidina aumenta l’ossidazione di glucosio del 210%, e tale effetto si associa ad un aumento del 37% della forma attiva dell’enzima limitante l’ossidazione glucidica, la piruvato-deidrogenasi. L’aumento della sintesi di ATP a prevalente derivazione glucidica determina da un lato riduzione dell’accumulo citoplasmatico di ioni idrogeno e ioni lattato, con riduzione dell’acidosi, e dall’altro un aumento della forza di contrazione. In un recente studio longitudinale controllato con placebo, la trimetazidina, a dosi di 20 mg tid per 8 settimane, ha migliorato non solo la risposta contrattile del miocardio ibernato/stordito in 38 pazienti con cardiomiopatia ischemica (frazione di eiezione < 35%), ma ha migliorato la capacità funzionale dei pazienti rispetto al placebo. La mancanza di effetti sulla frequenza cardiaca e sulla pressione arteriosa sistemica offre potenziali vantaggi in pazienti con problemi di bradicardia e di ipotensione. Tali importanti evidenze dovrebbero essere confermate in studi longitudinali più ampi.