Nei pazienti con insufficienza cardiaca il cardioverter-defibrillatore impiantabile ritarda la morte o salva la vita?
Lo scompenso cardiaco è uno dei più importanti problemi di salute pubblica nei paesi occidentali a causa della frequente associazione con morte cardiaca e riospedalizzazioni. I pazienti affetti da insufficienza cardiaca muoiono prevalentemente per morte cardiaca improvvisa (MI) o per progressiva disfunzione di pompa. L’incidenza di MI in questi pazienti è inversamente correlata alla severità della sottostante malattia cardiaca. La MI si verifica in circa la metà dei pazienti in classe funzionale NYHA II-II/III ed in un terzo di quelli in classe funzionale NYHA III/IV-IV. Negli ultimi anni numerosi studi hanno dimostrato che il cardioverter-defibrillatore impiantabile (ICD) riduce significativamente l’incidenza di MI nei pazienti identificati a rischio. Sfortunatamente, non è stato ancora chiarito se l’ICD prolunga realmente la sopravvivenza del sottogruppo di pazienti con più grave insufficienza cardiaca. Le principali ragioni di questa incertezza sono: il piccolo numero di studi disponibili, la mancanza di studi controllati e la difficoltà di confrontare i risultati di tali studi a causa della loro disomogeneità. Da questi studi appare tuttavia che: 1) sia la mortalità che la morbilità perioperatoria correlate con l’impianto dell’ICD sono simili a quelle dei sottogruppi di pazienti con insufficienza cardiaca lieve o moderata, 2) la soglia di defibrillazione all’impianto e la frequenza di tachiaritmie ventricolari intrattabili che compaiono durante il follow-up (2% di tutti gli impianti di ICD) sono leggermente più alte nel sottogruppo di pazienti con più grave malattia cardiaca. In pazienti con insufficienza cardiaca grave o con funzione ventricolare sinistra particolarmente ridotta, l’ICD non sembra prolungare significativamente la sopravvivenza ad 1 e 2 anni nonostante una riduzione dell’incidenza di MI. Nel sottogruppo con disfunzione ventricolare sinistra moderata l’impianto di ICD prolunga la sopravvivenza e riduce l’incidenza di MI. Nessuna informazione è disponibile sulla prevenzione primaria della MI in pazienti con insufficienza cardiaca.