Cardiomiopatia dilatativa: quando è indicata e cosa richiedere alla valutazione invasiva
La coronarografia ha, tuttora, un ruolo fondamentale nell’iter diagnostico dei pazienti con cardiomiopatia dilatativa (CMPD) come metodica di prima scelta per la diagnosi di malattia coronarica associata. I pazienti con CMPD su base ischemica presentano, infatti, una prognosi peggiore rispetto a quelli con cardiomiopatia primitiva e, soprattutto, possono presentare un significativo miglioramento della funzione ventricolare sinistra, dei sintomi e della prognosi, se sottoposti a rivascolarizzazione coronarica. Gli effetti favorevoli sulla funzione ventricolare sinistra sono maggiormente evidenti in presenza di ampie quote di miocardio con riserva contrattile. Tuttavia, la rivascolarizzazione di miocardio vitale può avere anche altri effetti favorevoli sul rimodellamento ventricolare, le recidive di eventi ischemici e l’incidenza di aritmie ipercinetiche. L’identificazione di miocardio vitale e/o con riserva contrattile, fatta con metodiche non invasive, deve essere comunque preceduta dalla diagnosi di malattia coronarica mediante coronarografia. Infatti, l’anamnesi e la diagnostica strumentale non invasiva non consentono di identificare, in modo accurato, una coronaropatia nei pazienti con CMPD. La coronarografia è, quindi, indicata in tutti i pazienti con CMPD in cui si sospetti una malattia coronarica (pazienti di sesso maschile ed età > 35 anni, con fattori di rischio coronarico e/o pazienti con storia di dolore toracico e/o alterazioni della cinetica regionale e/o deficit di perfusione regionali alla scintigrafia da stress) e in cui l’età e le condizioni generali rendano potenzialmente eseguibile un intervento di rivascolarizzazione coronarica. La coronarografia andrà eseguita anche in tutti i pazienti con indicazione a trapianto cardiaco e nei pazienti in cui l’insufficienza cardiaca consegue a complicanze meccaniche di un infarto.