Pressione arteriosa sistolica, diastolica e differenziale: implicazioni prognostiche
Nel corso degli ultimi anni, la pressione arteriosa (PA) diastolica è stata tradizionalmente considerata superiore alla PA sistolica ai fini della stratificazione del rischio cardiovascolare. Tuttavia, lo studio di Framingham, il Physicians’ Health Study e parecchi altri studi pubblicati negli ultimi anni hanno dimostrato che la PA differenziale (differenza tra la PA sistolica e la PA diastolica) è la componente pressoria più importante ai fini della stratificazione del rischio cardiovascolare, particolarmente al di sopra dei 55 anni di età. Molte indagini longitudinali stanno dimostrando che la PA differenziale è un potente predittore di rischio cardiovascolare in varie condizioni cliniche (ipertensione arteriosa, soggetti anziani, pazienti con insufficienza renale, pazienti con disfunzione sistolica, popolazione generale). Un’elevata PA differenziale riflette un aumento della rigidità delle grandi arterie elastiche secondaria a fenomeni di invecchiamento della tonaca media (riduzione della componente elastica ed aumento di quella connettivale e del calcio), a lesioni aterosclerotiche, a disfunzione endoteliale, ecc. La PA differenziale misurata a livello brachiale potrebbe non rappresentare un indicatore attendibile della PA differenziale aortica a causa della progressiva amplificazione dell’onda sfigmica andando dall’aorta verso le arterie periferiche, fenomeno più marcato nei giovani e sempre meno evidente con l’invecchiamento. Inoltre, poiché la reazione di allarme associata alla visita medica determina un aumento della PA sistolica superiore all’aumento della PA diastolica, la PA differenziale viene ad essere significativamente sovrastimata nel corso della visita medica. Per questa ragione, la PA differenziale risultante al monitoraggio ambulatoriale della PA per 24 ore fornisce elementi predittivi ancora più potenti rispetto alla PA differenziale tradizionalmente misurata in ambiente clinico. L’aumento della PA differenziale sembra in grado di predire future complicanze cardiache in maggior misura rispetto alle complicanze cerebrovascolari. Al momento attuale, è necessario rivalutare gli effetti del trattamento antipertensivo anche alla luce dei suoi effetti sulla PA differenziale.