Variabilità della frequenza cardiaca
Nel 1981 veniva pubblicato su Science uno studio di Akselrod et al. che dimostrava come la variabilità della frequenza cardiaca (HRV) potesse fornire, in modo non invasivo, informazioni sul controllo autonomico del cuore. La presenza di oscillazioni ritmiche nei segnali cardiovascolari era già nota da tempo, ma il lavoro evidenziava, per la prima volta in modo chiaro, la possibilità di una diretta relazione tra le oscillazioni del ritmo cardiaco e la modulazione nervosa del cuore.
Da allora il numero di pubblicazioni su questo argomento è cresciuto in modo quasi esponenziale. Alcuni aspetti della relazione tra controllo nervoso del cuore e HRV sono oggi chiari, per esempio una riduzione della SDNN (una misura della varianza) durante le 24 ore è un fattore prognostico negativo indipendente nel periodo dopo un infarto miocardico o nello scompenso cardiocircolatorio. Inoltre è stato dimostrato che un aumento dell’attività nervosa simpatica diretta al cuore, ottenuto con manovre di laboratorio standard, induce un incremento della potenza della componente oscillatoria a bassa frequenza (0.03-0.15 Hz), espressa in unità normalizzate. Tuttavia, non è ancora chiara l’interpretazione fisiopatologica da attribuire alle modificazioni delle componenti oscillatorie dell’HRV che si osservano in alcune malattie cardiovascolari. Infatti, molti meccanismi, che contribuiscono alla generazione e al mantenimento dei ritmi presenti nei segnali cardiovascolari, possono giocare ruoli diversi in condizioni patologiche differenti.
Un nuovo approccio per lo studio dell’HRV, chiamato “dominio dell’informazione” potrà portarci a riconoscere dell’altra informazione nascosta nell’HRV e potrà aiutarci a trasformare l’analisi dell’HRV in uno strumento clinico per la predizione probabilistica di eventi cardiovascolari acuti e per la scelta di alcune terapie.