Stratificazione del rischio aritmico alla luce dei dati clinici e funzionali
Il termine “morte improvvisa” indica un decesso rapido, imprevedibile ed inatteso, anche per i pazienti ad elevato rischio quali quelli affetti da insufficienza cardiaca, nei quali è responsabile del 40% della mortalità complessiva.
La valutazione clinico-funzionale del paziente con insufficienza cardiaca consente di individuare alcuni elementi utili per una più accurata stratificazione del rischio aritmico. Mentre il sesso non sembra influenzare la prognosi di questi pazienti, è stata documentata una più elevata mortalità nei soggetti con insufficienza cardiaca da cardiopatia ischemica rispetto ad altre eziologie. La frazione di eiezione del ventricolo sinistro è uno dei fattori indipendenti dotati di più elevato potere predittivo di mortalità. Tuttavia, nei soggetti con insufficienza cardiaca la modalità di morte, eccetto le situazioni di più spiccato deterioramento funzionale in cui prevale la progressiva insufficienza di pompa, tende a distribuirsi in maniera quasi equivalente tra morte improvvisa e morte dovuta a progressiva disfunzione cardiaca. Anche una limitata capacità funzionale espressa come classe NYHA rappresenta un indice aspecifico di aumento del rischio complessivo di morte. Tuttavia, sebbene sia stata dimostrata una relazione tra una più elevata classe funzionale ed una più elevata mortalità, nelle classi funzionali intermedie esiste un’ampia sovrapposizione. La misurazione del consumo di ossigeno di picco è stata recentemente riconosciuta quale fattore prognostico indipendente nella stratificazione di rischio ed un valore di consumo di ossigeno < 10 ml/kg/min viene attualmente considerato una chiara indicazione per l’inserimento in lista per trapianto cardiaco; tuttavia non consente alcuna valutazione del rischio di morte aritmica.
In conclusione, nessuno dei comuni elementi clinico- funzionali, dagli indici di funzione ventricolare sinistra alla classificazione NYHA, o infine alla misurazione del consumo di ossigeno, consente di ottenere niente di più che una valutazione generica del rischio di morte e nessuno di questi elementi riveste dunque un ruolo specifico nella stratificazione del rischio per morte aritmica.