Test da sforzo nel postinfarto: con terapia?
Nell’affrontare questo complesso argomento abbiamo focalizzato maggiormente l’attenzione nei confronti della terapia betabloccante; questa scelta è stata motivata dalla notevole importanza che questa classe di farmaci riveste ed alla relativa difficoltà gestionale rappresentata dal tempo necessario per aggiustarne la posologia. Le altre terapie mediche antischemiche sono più semplici da gestire: sia i nitroderivati che i calcioantagonisti richiedono una finestra di wash-out di durata inferiore.
Attualmente riteniamo appropriato eseguire la valutazione ergometrica predimissione in terapia betabloccante, ed assolutamente inaccettabile la sospensione di questa terapia nella fase precoce del decorso postinfartuale, per i motivi dettagliati nel testo dell’editoriale. Nel paziente postinfartuato, l’interferenza farmacologica dei betabloccanti può causare una riduzione della sensibilità diagnostica del test ergometrico predimissione nei confronti dell’ischemia inducibile; può quindi insorgere meno frequentemente un sintomo od un segno di ischemia, ma si tratta di ischemia lieve, prognosticamente non rilevante: ischemia inducibile di bassa gravità, riteniamo, e che la terapia betabloccante può mascherare, ma che senza dubbio può anche curare efficacemente.
L’esecuzione del test ergometrico in terapia betabloccante non sembra infatti influenzare in modo determinante la capacità di stratificazione prognostica nel paziente postinfartuato, anche in era trombolitica. La valutazione ergometrica riveste un ruolo significativo nell’individuare la presenza di ischemia inducibile non controllata dalla terapia antischemica, verosimilmente caratterizzata, questa volta sì, da un peso prognostico rilevante e tale da indicare la rivascolarizzazione miocardica.
I pazienti sottoposti a trombolisi rappresentano una minoranza di pazienti selezionati, a rischio minore; occorre sottolineare la maggiore frequenza di positività del test precoce in questi pazienti, verosimilmente ascrivibile a stenosi in fase di regressione spontanea e quindi prognosticamente non rilevanti, a fronte di un minore valore predittivo negativo, per l’aumentata incidenza di reinfarto (da imputare a reinstabilizzazione di placca). Questa metodica, infatti, possiede una capacità predittiva nei confronti dell’ischemia assai maggiore rispetto al reinfarto, ma è quest’ultimo l’evento ischemico più rilevante sotto il profilo clinico ed uno dei principali obiettivi, insieme alla morte cardiaca, nell’individuazione di schemi di stratificazione prognostica efficaci.