Ruolo dei marcatori biochimici di danno miocardico nella pratica clinica: diagnosi di infarto e stratificazione del rischio
Per molti anni la creatinchinasi (CK) ed il suo isoenzima CK-MB sono stati utilizzati, congiuntamente all’ECG, per confermare la presenza o meno di infarto miocardico. Durante gli ultimi 10 anni sono stati introdotti nella pratica clinica nuovi marcatori biochimici di danno miocardico; tra essi, un ruolo preminente si è venuto delineando a favore delle troponine cardiache (T o I). I test, di elevato livello tecnologico, utilizzati per la misura di questi marcatori, hanno evidenziato una sensibilità elevatissima, essendo in grado di identificare pazienti con piccolissime, a volte microscopiche, quantità di necrosi miocardica, pazienti che altrimenti non avrebbero soddisfatto i criteri convenzionali di definizione di infarto miocardico. Un altro vantaggio fondamentale delle troponine rispetto agli “enzimi cardiaci convenzionali” è dato dal fatto che la loro elevazione si è dimostrata in grado di predire la prognosi clinica a breve e lungo termine nei pazienti con sindrome coronarica acuta e tale aspetto appare di particolare rilevanza nei pazienti con micronecrosi, i quali costituiscono un sottogruppo ad elevatissimo rischio di futuri eventi cardiovascolari nell’ambito dei pazienti con angina instabile. Anche la mioglobina è stata estensivamente utilizzata come marcatore di danno miocardico. Pur mancando di miocardiospecificità, essa appare il marcatore cardiaco che mostra la più precoce elevazione dei valori sierici dopo occlusione coronarica, cosicché l’uso combinato della mioglobina e di una proteina strutturale come la troponina T o I appare una strategia promettente per quanto concerne la valutazione biochimica dei pazienti con dolore toracico. I recenti progressi nel campo dei marcatori di danno miocardico hanno dischiuso nuovi orizzonti sia per quanto riguarda la diagnosi di infarto (rendendo obsoleta la ormai datata definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) che per quanto riguarda la stratificazione di rischio nei pazienti con dolore toracico, con prospettive addirittura impensabili fino a poco tempo addietro. Tuttavia, l’uso di questi marcatori ha anche posto l’accento su alcune importanti domande quali: a) la miglior strategia diagnostica, anche in termini di costo/ efficacia nei pazienti con dolore toracico; b) il ruolo residuo dei marcatori enzimatici convenzionali; c) le conseguenze terapeutiche di un risultato positivo di questi test.