Sicurezza ed efficacia della trombolisi di salvataggio per via sistemica nell'infarto miocardico acuto
Razionale. I progressi della terapia dell’infarto miocardico acuto, di cui la trombolisi è componente essenziale, hanno consentito di ridurre la mortalità globale dei pazienti ricoverati in Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC) entro le 6 ore dall’inizio dei sintomi, dal 30% degli anni ’60 al 6.3% attuale. Tuttavia esiste ancor oggi una notevole differenza se si analizza la mortalità in base all’estensione della necrosi miocardica: infatti, si passa da un rischio di morte intraospedaliera del 2-4% per gli infarti che coinvolgono piccole aree di miocardio, ad un rischio del 20-25% per quelli coinvolgenti vaste aree. Scopo dello studio è stato valutare la sicurezza e l’efficacia della trombolisi di salvataggio per via sistemica (rt-PA 10 mg in bolo, 40 mg in 60 min) in pazienti con infarto miocardico acuto esteso, quando la procedura standard (rt-PA protocollo GUSTO) ha fallito.
Materiali e metodi. Dal gennaio 1995 al dicembre 1997, sono stati studiati 90 pazienti (69 maschi, 21 femmine, età media 56.7 ± 9 anni), 45 sottoposti a trombolisi di salvataggio (Gruppo A) e 45 no (Gruppo B) in modo random (singolo cieco), ricoverati in UTIC per comparsa da meno di 4 ore di dolore toracico caratteristico per intensità e durata, associato a sopraslivellamento del tratto ST in almeno 5 derivazioni elettrocardiografiche (>/=1 mm nelle derivazioni periferiche, ≥ 2 mm nelle derivazioni precordiali), nei quali alla fine del trattamento trombolitico tradizionale, persistevano angina e non si rilevavano segni indiretti di riperfusione. Sono stati considerati segni indiretti di riperfusione la presenza di almeno due dei seguenti criteri: 1) regressione del dolore; 2) riduzione del 50% del sopraslivellamento del tratto ST dopo 120 min dall’inizio della trombolisi; 3) raddoppio del valore di creatinfosfochinasi (CPK) e di CKMB rispetto al basale a 120 min dall’inizio della trombolisi; 4) comparsa di aritmie di riperfusione (ritmo idioventricolare lento, tachicardia ventricolare autorisolventesi, bradicardia sinusale associata ad ipotensione). Tutti i pazienti sopravvissuti sono stati sottoposti, prima della dimissione, ad ecocardiografia transtoracica per la valutazione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro.
Risultati. Dopo 10-50 min dalla trombolisi di salvataggio 35/45 pazienti (77.7%) del Gruppo A hanno mostrato segni di riperfusione, invece solo 12/45 pazienti (26.6%) del Gruppo B hanno mostrato tali segni, 65-115 min dopo la fine del trattamento trombolitico tradizionale. Inoltre nei pazienti del Gruppo A si è evidenziato un picco più precoce (586 ± 168 vs 1076 ± 618 min, p < 0.0001) e quantitativamente minore di CPK-MB (278 ± 200 vs 610 ± 381 ng/ml, p = 0.009) e della CPK totale (1701 ± 931 vs 3037 ± 1090 UI/l, p = 0.002) rispetto ai pazienti del Gruppo B. Durante la degenza ospedaliera sono deceduti 16 pazienti (17.7%), 3 pazienti nel Gruppo A (6.6%) e 13 pazienti nel Gruppo B (28.8%, p = 0.041). Reinfarto non fatale si è avuto in 7 pazienti (4 ± 2 giorni dopo il ricovero), tutti appartenenti al Gruppo A. Recidiva di ischemia spontanea si è verificata in 21 pazienti, 18 del Gruppo A e 3 del Gruppo B (40 vs 6.6%, p = 0.006). Dieci di questi pazienti sono stati sottoposti ad angioplastica coronarica di salvataggio (9 del Gruppo A ed 1 del Gruppo B), mentre 3 pazienti, tutti del Gruppo A, sono stati sottoposti a bypass aortocoronarico d’urgenza. La frazione di eiezione è risultata significativamente superiore nei pazienti del Gruppo A rispetto a quelli del Gruppo B (46 ± 8 vs 38 ± 7%, p < 0.0001). Un solo paziente del Gruppo A ha avuto un evento emorragico maggiore (stroke non fatale) alla fine dell’infusione della trombolisi di salvataggio, nessun evento maggiore è avvenuto nei pazienti del Gruppo B. Gli eventi emorragici minori, invece, sono stati significativamente maggiori nei pazienti del Gruppo A rispetto a quelli del Gruppo B (44.4 vs 15.5%, p = 0.047).
Conclusioni. Dai nostri dati la trombolisi di salvataggio appare una sicura e fattibile opzione terapeutica, utile per il conseguimento di un’efficace riperfusione miocardica e per una limitazione dell’estensione della necrosi. Quando necessario la trombolisi di salvataggio può essere usata per stabilizzare il paziente ed acquistare tempo in previsione di una rivascolarizzazione meccanica. Questo è molto importante in ospedali non dotati di laboratori di emodinamica interventistica o quando il paziente deve essere trasferito in centri dotati di cardiochirurgia.