L'uso del betabloccante nello scompenso cardiaco: studi clinici
Il persistere di un’elevata mortalità a breve-medio termine nonostante l’avvento di nuove efficaci terapie quali gli ACE-inibitori in pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico ha indotto negli ultimi anni a continuare la ricerca di nuovi approcci terapeutici atti a migliorare ulteriormente la prognosi di questi pazienti. In quest’ambito è stata riconsiderata la terapia con betabloccanti, peraltro era già stata considerata con interesse circa 25 anni fa da diversi studi soprattutto svedesi. L’effetto di tali farmaci è stato valutato in particolare in sei trial randomizzati e controllati in doppio cieco (MDC, CIBIS, ANZ, US Carvedilol Study, CIBIS II e MERIT-HF) che hanno dimostrato, prendendo in considerazione complessivamente oltre 9000 pazienti, la loro capacità di ridurre la mortalità e la morbidità legata a tale sindrome. In tutti questi studi il betabloccante (metoprololo, bisoprololo o carvedilolo) veniva aggiunto alla terapia orale stabile dei pazienti reclutati (ACE-inibitori, digitale, diuretici). In tutti gli studi le caratteristiche cliniche dei pazienti randomizzati alla terapia con betabloccanti o placebo non mostravano differenze significative. In particolare l’età era lievemente inferiore ai 60 anni, la frazione di eiezione ventricolare sinistra mediamente di circa il 25-26%, le classi funzionali NYHA più rappresentate erano la II e la III (circa il 30 e 60% dei casi rispettivamente), l’eziologia ischemica della cardiomiopatia era prevalente (circa il 60%) rispetto alla non ischemica.
Esaminando i risultati complessivi dei sei trial si rileva una riduzione del 33.3% della mortalità totale, del 34.2% di quella cardiaca, del 37.7% delle morti improvvise e del 41.7% della mortalità per aggravamento dello scompenso cardiaco nei pazienti trattati con betabloccanti; il numero delle riospedalizzazioni risulta complessivamente ridotto del 31.7% con una riduzione del 26% degli end point combinati (mortalità totale + riospedalizzazioni) nei pazienti betabloccati. I betabloccanti risultano inoltre efficaci nel migliorare la funzionalità ventricolare pur senza alcun significativo effetto in termini di capacità funzionale. In tutti gli studi l’aderenza al protocollo è stata buona (il farmaco è stato sospeso nel 14.3% dei pazienti trattati con placebo e nel 13.4% di quelli trattati con betabloccante).
I betabloccanti hanno dimostrato un effetto favorevole nel ridurre la mortalità e la morbidità in pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativa con depressa funzione sistolica, di età non eccedente un massimo di 70 anni, in II-III classe funzionale NYHA.
Ulteriori studi saranno necessari per valutarne i risultati in pazienti: a) con frazione di eiezione ventricolare sinistra conservata, b) di età > 65-70 anni, c) in IV classe funzionale NYHA, d) con comorbilità quali: broncopneumopatie, diabete mellito (specie insulinodipendente), vasculopatie periferiche.