Lo scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata. Possibilità di un intervento terapeutico con i farmaci betabloccanti
È ormai ampiamente noto che il quadro clinico dello scompenso cardiaco può manifestarsi nonostante la funzione sistolica globale del ventricolo sinistro sia nell’ambito della norma; in queste circostanze i sintomi ed i reperti obiettivi di scompenso cardiaco (tra cui generalmente prevalgono quelli secondari all’aumento delle pressioni di riempimento, quali la congestione polmonare) sono generalmente attribuiti (anche se altri meccanismi possono intervenire) ad un’anormalità della funzione diastolica del ventricolo sinistro (scompenso diastolico). Dal momento che la presenza di una funzione sistolica ventricolare sinistra ridotta o conservata sembra condizionare in misura rilevante non solo la prognosi ma probabilmente anche le scelte terapeutiche, assume particolare importanza il riconoscimento nel singolo paziente del meccanismo fisiopatologico responsabile del quadro clinico. Negli ultimi anni, infatti, numerosi studi clinici hanno tentato di precisare la prevalenza dello scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata nella popolazione generale e di delineare eventuali aspetti peculiari in termini di presentazione clinica e di storia naturale rispetto allo scompenso da disfunzione sistolica. Nei vari studi la prevalenza varia ampiamente, dal 13 al 74%; ciò riflette alcune limitazioni intrinseche agli studi stessi, quali le popolazioni di volta in volta esaminate, i criteri adottati per la diagnosi di scompenso cardiaco, le metodiche utilizzate per valutare la funzione ventricolare sinistra e gli indici ed i valori usati per definire la presenza di disfunzione sistolica, il rigore metodologico adottato per escludere altre cause, cardiache o extracardiache, potenzialmente responsabili del quadro clinico, ecc.
Da vari studi è emersa inoltre in modo abbastanza uniforme l’impossibilità di distinguere nel singolo paziente lo scompenso diastolico da quello sistolico basandosi esclusivamente su criteri clinico-strumentali convenzionali (anamnesi, esame obiettivo, elettrocardiogramma, radiografia del torace). La diagnosi differenziale non può pertanto prescindere da una valutazione quantitativa della funzione sistolica, associata, come recenti linee guida internazionali hanno sottolineato, al riconoscimento di un’alterazione della funzione diastolica del ventricolo sinistro.
Sulla base degli studi epidemiologici più rigorosi, il paziente con scompenso a funzione sistolica conservata è, rispetto a quello con scompenso a funzione sistolica ridotta, più frequentemente di sesso femminile, anziano, in sovrappeso, con una lunga storia di ipertensione arteriosa e una documentazione di ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro; presenta con minore frequenza una coronaropatia associata, mentre è più spesso in fibrillazione atriale (parossistica o cronica). Questo paziente, rispetto all’altro, fa un uso minore di digitale, di nitrati e forse anche di ACE-inibitori, mentre assume più frequentemente calcioantagonisti e betabloccanti. Infine, generalmente non necessita di frequenti ricoveri in ospedale e forse vive un po’ più a lungo.