In questo numero





processo ai grandi trial

Lo studio BASKET-PROVE non conferma alcune ipotesi generate dal BASKET:
gli stent medicati sono sicuri ed efficaci anche in vasi di grande calibro.
Ancora un monito sui rischi delle analisi dei sottogruppi

Fin dal primo ingresso sulla scena, gli stent medicati (DES) sono stati al centro di vivaci discussioni per la definizione delle corrette modalità d’impiego. I principali argomenti del contendere erano e restano: selezione dei pazienti in base a criteri di costo-efficacia vs impiego estensivo; profilo di sicurezza. Una serie di studi, infatti, ha sollevato l’ipotesi di un vantaggio ridotto dei DES in popolazioni a basso rischio di ristenosi, alimentando dubbi di costi eccessivi, in questi sottogruppi, per ridurre un evento considerato non grave come la necessità di nuove rivascolarizzazioni a fronte di un impatto nullo su morte o infarto. L’altro fronte, per la verità ben più caldo, è stato aperto dall’accumularsi di evidenze, più o meno solide, di un aumentato rischio di trombosi di stent (e quindi di eventi clinici gravi) associato all’uso dei DES. Lo studio randomizzato BASKET entrava a pieno titolo in entrambe le diatribe. Accanto alla dimostrazione dell’efficacia dei DES in una popolazione non selezionata, il BASKET aveva documentato infatti un rischio significativamente maggiore di infarto miocardico e trombosi dello stent nei gruppi DES alla sospensione della doppia terapia antiaggregante. Inoltre, in un’analisi successiva, si era evidenziato un beneficio dei DES nei vasi di piccolo calibro, mentre nel sottogruppo di pazienti con vasi di diametro ≥3.0 mm non solo non vi era alcun effetto favorevole dei DES nel ridurre le nuove rivascolarizzazioni, ma l’incidenza combinata di morte e infarto si verificava con frequenza maggiore. Il BASKET-PROVE nasce per testare, con un disegno di studio appropriato, l’ipotesi scaturita dalle analisi secondarie dello studio BASKET, ovvero che i DES fossero meno sicuri rispetto agli stent convenzionali nei pazienti a basso rischio di ristenosi, nella fattispecie quelli con vasi di diametro ≥3.0 mm. E invece no! I risultati dello studio BASKET-PROVE smentiscono questa ipotesi dimostrando eguale profilo di sicurezza a lungo termine (2 anni) dei DES sia di prima che di seconda generazione rispetto agli stent convenzionali e una chiara riduzione della necessità di nuove rivascolarizzazioni. Discorso chiuso? Il parere di Stefano De Servi è che non ci siano molti dubbi e che i DES possano essere impiegati nella grande maggioranza delle situazioni cliniche e delle varianti angiografiche che il mondo reale ci propone. Marco Valgimigli, pur concordando con buona parte delle argomentazioni di De Servi, ritiene che l’impiego dei DES nei vasi di ampio calibro meriti ancora ulteriori ricerche. Entrambi i pareri sono espressi con la lucidità, la competenza e l’equilibrio che sempre contraddistinguono gli autori. •





Lo studio RIVAL: nessun vantaggio dell’accesso arterioso radiale nei confronti del femorale nei pazienti
con sindrome coronarica acuta?

“Please bleed” (per favore, sanguina) recita l’artista californiano Ben Harper in uno dei suoi brani più celebri e più o meno simile deve essere stato in qualche momento il pensiero degli investigatori che hanno disegnato lo studio RIVAL. Scopo dello studio era, infatti, dimostrare la superiorità dell’accesso radiale su quello femorale nei pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA) sottoposti a coronarografia ed eventuale procedura interventistica. Il razionale era fornito da numerose osservazioni di una ridotta incidenza di sanguinamenti maggiori, e delle conseguenti morbilità e mortalità, con l’utilizzo dell’accesso arterioso radiale nei confronti dell’accesso femorale. Il trial ha avuto esito negativo documentando una sostanziale equivalenza in termini di endpoint primario (insieme di morte, infarto miocardico, ictus o sanguinamenti maggiori non correlati a bypass aortocoronarico a 30 giorni) tra approccio radiale e femorale. L’effetto sui sanguinamenti maggiori era invece variabile in base alle diverse definizioni usate, mentre vi era una significativa riduzione delle complicanze vascolari nella sede di accesso nei pazienti trattati per via radiale. Un risultato certamente sorprendente in cui molti hanno letto una vera e propria sconfitta per il vincitore atteso, ovvero l’approccio radiale. Lo studio RIVAL è commentato in questo numero del Giornale da Orazio Valsecchi, uno dei più esperti e noti “radialisti” italiani, e da Roberto Violini, a cui il gioco delle parti attribuiva il ruolo del “femoralista”. Il dibattito è vivace soprattutto nelle critiche al trial espresse da Valsecchi, che sottolinea i risultati positivi per l’approccio radiale (uguale durata e successo procedurale, riduzione delle complicanze vascolari, vantaggio nei pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST e nelle mani di operatori molto esperti) ma contesta una potenza dello studio inadeguata, la selezione di pazienti a basso rischio emorragico e di operatori a basso volume di procedure per via radiale. Violini, pur riconoscendo alcuni limiti dello studio, ritiene invece che esso rappresenti una conferma della complementarietà dei due approcci e richiama l’attenzione sul fatto che anche nel RIVAL la maggior parte dei sanguinamenti si sia verificata in una sede diversa dal sito di accesso. •





rassegne

Il valore clinico dei marker infiammatori dopo impianto di stent coronarico
“Oltre a fattori tecnici e meccanici, la risposta individuale all’impianto di uno stent rappresenta un elemento importante, spesso sottovalutato, nel determinare” l’incidenza di ristenosi e/o trombosi. La rassegna di Giampaolo Niccoli et al. si sviluppa da questo concetto, focalizzandosi sul ruolo dei fenomeni infiammatori e dei relativi marker. Il potere predittivo dei marker infiammatori più noti, tra cui ad esempio la proteina C-reattiva, sarebbe differenziato nel caso degli stent metallici (BMS) e degli stent medicati (DES). Niccoli esamina anche il possibile ruolo delle reazioni di tipo allergico, recentemente chiamate in causa nella patogenesi delle reazioni avverse ai DES ma con possibili implicazioni anche per i BMS. L’articolo passa in rassegna le attuali evidenze, le questioni aperte e le ipotesi di ricerca per arrivare a possibili ricadute cliniche. Una interessante finestra su un “mondo” poco conosciuto ma con ampi orizzonti. •





Ruolo dell’eco-stress farmacologico
o da sforzo nella valutazione
delle conseguenze emodinamiche
delle valvulopatie

Lecocardiografia da stress, tradizionalmente impiegata per la diagnosi e la stratificazione del rischio dei pazienti con cardiopatia ischemica, sta acquisendo un ruolo sempre più rilevante anche in altri scenari clinici ed in particolar modo nello studio delle valvulopatie. In quest’ambito, infatti, “le modificazioni che si verificano durante l’esercizio fisico, dell’emodinamica valvolare, della funzione ventricolare e delle pressioni polmonari insieme alla valutazione della capacità di esercizio e della comparsa di sintomi, offrono importanti informazioni diagnostiche e prognostiche”. Le soluzioni tecniche sono varie: test farmacologico o test da sforzo? Ed in quest’ultimo caso, treadmill test o esercizio semi-supino con cicloergometro? In questa rassegna, Rosa Sicari e Sabrina La Falce descrivono in modo estremamente chiaro le basi fisiopatologiche, i target diagnostici, le evidenze disponibili, i criteri di appropriatezza e le aree di incertezza che riguardano l’applicazione di questa metodica alle diverse valvulopatie. •





L’imaging multimodale nell’impianto transcatetere della valvola aortica:
il ruolo fondamentale dell’ecocardiografia

L’impianto transcatetere della valvola aortica è entrato prepotentemente nella pratica clinica in virtù dei risultati positivi di numerosi studi sia di tipo randomizzato che di registro. A dispetto del numero crescente di procedure, restano ancora numerose incertezze, prevalentemente inerenti alle modalità di selezione dei pazienti e alle tecniche di immagine da utilizzare per la scelta del dispositivo. In questa rassegna, Antonio Grimaldi et al. focalizzano l’attenzione sul ruolo cardine dell’ecocardiografia nell’ambito dell’imaging multimodale utilizzato comunemente in questo specifico ambito. Gli autori descrivono in modo molto chiaro l’utilità dell’ecografia nell’intero percorso decisionale che va dalla selezione dei pazienti al monitoraggio periprocedurale e al follow-up clinico-strumentale. Il tutto corredato da un utile algoritmo pratico che nasce dall’esperienza di uno dei più importanti centri italiani e mondiali. •





studio osservazionale

Fattibilità e sicurezza dell’angioplastica coronarica per via femorale in regime di day-surgery
La domanda di efficienza sempre più stringente da parte del sistema sanitario ha generato da tempo il passaggio di numerose procedure di tipo diagnostico o terapeutico ad un regime di day-hospital o day-surgery. Alcuni studi hanno dimostrato la sicurezza della dimissione lo stesso giorno dell’angioplastica coronarica in pazienti selezionati in cui la procedura abbia avuto successo angiografico completo in assenza di problemi clinici. Il timore di complicanze vascolari anche gravi nella sede di accesso arterioso limita tuttavia questa pratica principalmente a pazienti trattati mediante accesso arterioso radiale. In questo interessante studio, Mauro Pennone et al. descrivono un’ampia casistica di pazienti sottoposti a coronarografia o angioplastica coronarica per via femorale dimessi, rispettivamente, in giornata o la mattina successiva alla procedura. L’emostasi arteriosa è stata ottenuta in tutti i casi con il dispositivo di chiusura collageno-mediata AngioSeal. La bassa incidenza di complicanze vascolari riscontrata in acuto ed al follow-up documentate dallo studio confermano la sicurezza di una mobilizzazione precoce e di un breve periodo di osservazione dopo procedure di cardiologia invasiva per via arteriosa femorale con l’uso di dispositivi per l’emostasi vascolare.





controversie
in medicina cardiovascolare

Impianto di protesi aortica per via percutanea: siamo pronti?
Se sì, per chi? È sostenibile?

Tra i progressi più recenti ed interessanti della medicina cardiovascolare in generale e della cardiologia interventistica in particolare si annovera senza ombra di dubbio l’impianto transcatetere della valvola aortica. Dopo le prime esperienze pionieristiche ed i primi studi clinici, siamo entrati ormai nella fase di grande diffusione della metodica, favorita dal susseguirsi di notevoli miglioramenti tecnologici. Molti quesiti restano però ancora irrisolti. Accanto a problematiche prettamente cliniche (selezione dei pazienti, valutazione dei risultati nei confronti dei trattamenti alternativi) e logistiche (chi deve fare la procedura, dove e con quali modalità), nell’ambito di sistemi sanitari a risorse limitate si è imposto con forza il problema dei costi e della costo-efficacia. Questi problemi sono acuiti dal fatto che si tratta principalmente di pazienti molto anziani e fragili con rischio cardiochirurgico proibitivo o molto elevato, anche se all’orizzonte si delinea chiaramente l’allargamento delle indicazioni a pazienti più giovani ed a rischio minore. Su queste tematiche, necessariamente multidisciplinari, abbiamo chiesto il punto di vista del cardiologo clinico a Moreno Cecconi, del cardiologo interventista a Corrado Tamburino e del cardiochirurgo a Luigi Martinelli. Il risultato è un dibattito a distanza che, senza rinunciare ad un minimo di dialettica “partigiana”, dimostra una grande saggezza e maturità della comunità cardiologica e cardiochirurgica italiana. •





casi clinici

Procedure coronariche transradiali in variante anatomica radiale (origine ascellare): descrizione di due casi e considerazioni anatomiche e tecniche
L’accesso transradiale per l’esecuzione di procedure coronariche diagnostiche ed interventistiche sta guadagnando consensi sempre maggiori in virtù di alcuni vantaggi dimostrati (minore incidenza di complicanze vascolari correlate al sito di puntura arteriosa, preferenza dei pazienti in relazione alla più rapida mobilizzazione, preferenza del personale sanitario per la più semplice gestione dell’emostasi) e di altri postulati (riduzione degli eventi clinici associati ad emorragia grave, soprattutto in pazienti sottoposti ad intensivi trattamenti farmacologici antitrombotici). La crescente esperienza degli operatori e lo sviluppo di materiale dedicato hanno inoltre ridotto la percentuale di insuccesso e la necessità di passare alla tradizionale via femorale. Tuttavia, la presenza di varianti anatomiche dell’asse vascolare radio-brachiocefalico resta un fattore di complessità non trascurabile anche per operatori esperti. In questo articolo, Antonio Zingarelli descrive due casi di arteria radiale ad origine ascellare (comunicante ed aberrante), situazione che deve essere ben nota agli operatori che utilizzino l’accesso transradiale al fine di evitare fallimenti procedurali e complicanze. •





Trombosi di stent e variabilità
di risposta al clopidogrel:
il test genetico può essere utile oggi nella pratica clinica?

La variabilità di risposta individuale al clopidogrel è uno degli argomenti cardiologici più dibattuti degli ultimi anni, anche a causa dell’importanza di tale farmaco nel trattamento delle sindromi coronariche acute e nella profilassi della trombosi di stent. La distribuzione “gaussiana” del grado di inibizione piastrinica in corso di terapia con clopidogrel ha certamente genesi multifattoriale. Recenti evidenze dimostrano l’importanza di alcune varianti genetiche degli enzimi coinvolti nell’assorbimento e nel metabolismo del farmaco, oggi facilmente verificabili con l’impiego di semplici test laboratoristici. L’impiego di tali determinazioni nella pratica clinica resta ancora da definire. Il caso clinico descritto da Maria Francesca Notarangelo et al. è rappresentativo di una nicchia di pazienti in cui le determinazioni farmacogenomiche possono essere importanti per definire le strategie terapeutiche ottimali. •