L’asma cardiaca di Goya
Francesco Fiorista
Divisione di Cardiologia, Ospedale San Carlo Borromeo, Milano
G Ital Cardiol 2011;12(10):690

Nel 1819 il pittore spagnolo Francisco Goya (1746-1828), affetto da una cardiopatia verosimilmente di natura luetica, andò incontro ad un episodio di ortopnea come da insufficienza ventricolare sinistra, provando l’esperienza della morte imminente. Chi lo curò in quell’occasione fu un tale dottor Arrieta, e anche grazie alle sue cure l’illustre paziente riacquistò un soddisfacente stato di compenso.
Goya resterà talmente grato al suo medico da dedicargli dopo un anno questo quadro (Autoritratto con il dott. Arrieta, Figura 1), quasi un ex voto di commossa riconoscenza, secondo una consuetudine pittorica molto popolare e frequente a quell’epoca; vi si può infatti leggere la relativa dedica di ringraziamento, come riportata nell’iscrizione autografa nella parte inferiore della tela: “Goya riconoscente al suo amico Arrieta: per la capacità e l’attenzione con cui gli salvò la vita durante la sua acuta e pericolosa malattia insorta alla fine del 1819 all’età di settantatré anni. Lo dipinse nel 1820”. Il dipinto è dunque insieme sia un ritratto (del medico che lo cura) che un autoritratto (di se stesso ammalato e sofferente). Tra medico e paziente si è creato un legame indissolubile, che la malattia sancisce e isola nella sua unicità: un’alleanza tra colui che soffre e colui che cura, come nel V secolo a.C. sosteneva il medico greco Ippocrate di Kos: “Malato e medico combattano insieme contro la malattia”.
Nel dipinto il pittore-ammalato è seduto, sofferente e in preda a fame d’aria, con la cute del volto, della fronte e del collo pallida e sudaticcia, sfumatamente subcianotica; la sua mano sinistra stringe il lenzuolo; dalla sua bocca semiaperta sembra quasi di udire il fine gorgoglio del liquido trasudatizio che gli sale dai bronchioli. Il medico lo sorregge e insieme gli porge un bicchiere con un farmaco (un oppiaceo?) per quietargli il respiro e ridurre così la congestione dei suoi polmoni. 



Dalla penombra nerastra dello sfondo traspaiono solo accennati alcuni visi di anziane donne, quasi figure funerarie che attendono di ghermire quel malato così dispnoico (secondo alcuni commentatori, simboleggerebbero le Parche al cui fuso è appesa, come a un filo, la vita del malato). Ma Goya supererà quella crisi, e vivrà fino all’aprile del 1828, donando al mondo altri capolavori pittorici (tra cui, molto noto,
La lattaia di Bordeaux, dipinto solo un anno prima della morte, opera che già preannuncia i primi impressionisti della seconda metà del XIX secolo).
BIBLIOGRAFIA
– Robert Hughes. Goya. Milano: Mondadori, 2005.
– Alfonso E. Perez Sanchez. Goya. Milano: Fabbri Editori, 1990.