corrispondenza

Cardiomiopatia ipertrofica con fisiopatologia restrittiva: c’è un ruolo per il test cardiopolmonare?
Noi leggiamo con grande interesse l’articolo di Tomberli et al.1, riportante un caso di cardiomiopatia ipertrofica con sintomi refrattari alle terapie convenzionali. Gli autori descrivono con precisione la diagnostica strumentale e le scelte terapeutiche. Abbiamo confrontato questo iter diagnostico con il nostro personale approccio alla suddetta patologia, che prevede anche il ricorso al test cardiopolmonare per determinare il grado di severità della riduzione della capacità funzionale, espressa principalmente come consumo di ossigeno di picco non solo come valore assoluto, ma soprattutto come percentuale del predetto. In un recente passato questo ci è stato utile per individuare pazienti con la suddetta cardiomiopatia, candidabili al trapianto o all’assistenza ventricolare sinistra. Il ricorso a questo dispositivo (pompe assiali a flusso continuo) e/o al trapianto cardiaco nelle cardiomiopatie ipertrofiche è stato documentato con buoni risultati 2,3. Vorremmo un commento degli autori sull’utilizzo del test cardiopolmonare e sul ricorso al trapianto cardiaco o all’assistenza ventricolare nei soggetti affetti da cardiomiopatia ipertrofica.
Michele Correale, Tommaso Passero,
Antonio Totaro, Matteo Di Biase

S.C. Universitaria di Cardiologia-UTIC
Università degli Studi di Foggia
e-mail: opsfco@tin.it
BIBLIOGRAFIA
1. Tomberli B, Girolami F, Coppini R, et al. Trattamento dei sintomi refrattari nella cardiomiopatia ipertrofica con fisiopatologia restrittiva: nuove prospettive per la ranolazina. G Ital Cardiol 2012;13: 297-303.
2. Topilsky Y, Pereira NL, Shah DK, et al. Left ventricular assist device therapy in patients with restrictive and hypertrophic cardiomyopathy. Circ Heart Fail 2011;4:266-75.
3. Biagini E, Spirito P, Leone O, et al. Heart transplantation in hypertrophic cardiomyopathy. Am J Cardiol 2008;101:387-92.


Risposta. Siamo grati al dr. Correale e collaboratori per l’interesse dimostrato verso il nostro report, e concordiamo che i due punti sollevati (utilizzo del test cardiorespiratorio e ruolo del trapianto cardiaco o dei dispositivi di assistenza ventricolare [VAD] nella cardiomiopatia ipertrofica [CMI]) siano di assoluto ed attuale interesse in questi pazienti, anche se suffragati da evidenze limitate.
Nella nostra paziente non è stato eseguito un test cardiorespiratorio in quanto, storicamente, presso il nostro centro, è stata data priorità all’ecocardiogramma da sforzo, per la valutazione dei gradienti intraventricolari dinamici1,2. Sebbene sia tecnicamente possibile eseguire simultaneamente ambedue i tipi di valutazione, tale opzione non è risultata fattibile per motivi logistici. Nel caso in cui per la paziente non fosse stata proponibile una soluzione chirurgica alternativa, la priorità di un test cardiorespiratorio con valutazione del massimo consumo di ossigeno sarebbe stata indiscussa, in vista di una eventuale messa in lista per trapianto cardiaco3. In generale, la valutazione della funzionalità cardiopolmonare rappresenta un elemento estremamente utile nei pazienti con CMI; questo vale soprattutto nei casi in cui un declino della funzione sistolica nel tempo e/o una fisiopatologia restrittiva facciano pensare ad una progressione verso la cosiddetta fase “end-stage”4.
Proprio quest’ultima situazione rappresenta l’indicazione principe per il trapianto cardiaco e l’assistenza meccanica nella CMI. Il ricorso a tali misure terapeutiche è raro in questi pazienti (intorno all’1% delle coorti seguite presso i principali centri di riferimento), per il decorso generalmente favorevole della malattia4. Nel limitato sottogruppo di candidati, esistono inoltre diversi problemi di tipo tecnico che ne possono limitare l’effettivo impiego. Nel caso del trapianto cardiaco, il timing nella CMI end-stage è reso problematico dal fatto che si osserva spesso un passaggio repentino da una fase di relativo compenso e di buona qualità di vita, a stadi di ipertensione polmonare refrattaria in cui il trapianto diviene controindicato; la messa in lista e il work-up preparatorio devono pertanto essere tempestivi. Nel caso dei VAD, sia come bridge che come destination therapy, un problema peculiare della CMI è rappresentato dalle dimensioni normali o addirittura ridotte del ventricolo sinistro, anche in end-stage conclamata, che rappresenta un ostacolo a volte importante all’impianto e alla gestione dei dispositivi. Peraltro, la prognosi dei pazienti con CMI trattati mediante trapianto è senz’altro buona3, come segnalato dal dr. Correale; e anche l’esperienza con i VAD, sebbene limitata, appare promettente. Di particolare interesse, anche se speculativa, la possibilità teorica di un recupero funzionale del ventricolo sinistro in corso di terapia con VAD, come già descritto per altre malattie primitive del miocardio5.
Benedetta Tomberli, Iacopo Olivotto 
Centro di Riferimento per le Cardiomiopatie
Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze
e-mail: benedetta.tomberli@gmail.com

BIBLIOGRAFIA
1. Maron MS, Olivotto I, Zenovich AG, et al. Hypertrophic cardiomyopathy is predominantly a disease of left ventricular outflow tract obstruction. Circulation 2006;114:2232-9.
2. Nistri S, Olivotto I, Maron MS, et al. Beta-blockers for prevention of exercise-induced left ventricular outflow tract obstruction in patients with hypertrophic cardiomyopathy. Am J Cardiol 2012;110: 715-9.
3. Maron MS, Kalsmith BM, Udelson JE, Li W, DeNofrio D. Survival after cardiac transplantation in patients with hypertrophic cardiomyopathy. Circ Heart Fail 2010;3:574-9.
4. Olivotto I, Cecchi F, Poggesi C, Yacoub MH. Patterns of disease progression in hypertrophic cardiomyopathy: an individualized approach to clinical staging. Circ Heart Fail 2012;5:535-46.
5. Birks EJ, Tansley PD, Hardy J, et al. Left ventricular assist device and drug therapy for the reversal of heart failure. N Engl J Med 2006;355:1873-84.