In questo numero

processo ai grandi trial




Lo studio ISSUE-3:
loop recorder e pacemaker, una staffetta contro la sincope neuromediata
Dopo decenni di controversie, lo studio ISSUE-3 è il primo trial randomizzato in doppio cieco a dimostrare l’efficacia della cardiostimolazione nel prevenire la sincope neuromediata in pazienti selezionati. Si tratta di uno studio internazionale, coordinato dall’Italia, da poco pubblicato su Circulation. Il trial viene analizzato da autorevoli esperti: Paolo Alboni, che esprime un punto di vista sostanzialmente favorevole alle conclusioni dello studio, evidenziando il merito di avere identificato un criterio efficace per la selezione dei pazienti: l’asistolia documentata da loop recorder sottocutaneo in corso di episodi spontanei. D’altro canto Franco Giada e Antonio Raviele esprimono una maggiore cautela, puntualizzando aspetti relativi al trial (numerosità relativamente bassa del campione, marginalità della significatività statistica, elevato number needed to treat) e aspetti fisiopatologici per cui una terapia “senza ritorno” come quella del pacemaker necessiterebbe di ulteriori evidenze prima di entrare nella pratica clinica. Entrambi i commenti contengono note di fisiopatologia e di terapia della sincope neuromediata che rendono la lettura di questo processo stimolante, al di là dell’interessantissimo trial. •




Lo studio Flec-SL: profilassi antiaritmica a breve o lungo termine?

Lo studio Flec-SL ha testato in pazienti con fibrillazione atriale cardiovertita l’efficacia di una profilassi antiaritmica con flecainide limitata ad un mese (periodo in cui il rimodellamento elettrico indotto dalla fibrillazione atriale risulta reversibile), rispetto ad un trattamento di 6 mesi o placebo, allo scopo di limitare il rischio proaritmico ventricolare correlato all’impiego protratto di antiaritmici. Lo studio ha dato esito negativo, per minore efficacia della terapia a breve termine, in assenza di eventi proaritmici ventricolari nel braccio a lungo termine. Il processo al trial vede nuovamente impegnato Paolo Alboni, che critica in particolare la breve durata dello studio, non idonea a suo giudizio ad una patologia ricorrente come la fibrillazione atriale. Alboni ritiene inoltre sovrastimati i timori di proaritmia, laddove gli antiaritmici vengano correttamente impiegati, escludendo pazienti con controindicazioni quali scompenso, cardiopatie strutturali e turbe conduttive. Anche Massimo Zoni Berisso critica lo studio, ma lascia aperto un possibile spiraglio alla strategia testata di profilassi a tempo determinato, basata sull’impiego di calcioantagonisti, eventualmente in associazione, e periodi di trattamento maggiori, nel tentativo di agire sul rimodellamento strutturale oltre che su quello elettrico. •

rassegne




Ablazione transcatetere della fibrillazione atriale: non per tutti ... ma per quanti?

Il trattamento ablativo della fibrillazione atriale si è diffuso nell’ultimo decennio in massima parte in pazienti refrattari alla profilassi antiaritmica. I tempi sono maturi per considerarla una terapia di prima linea? A questa domanda le recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia rispondono affermativamente, ma solo “in pazienti selezionati, con forme parossistiche e sintomatiche, considerando la scelta del paziente, i benefici ed i rischi” (raccomandazione di classe IIa, livello di evidenza B). Un via libera condizionato a circostanze tra cui quella, insolita nelle raccomandazioni di linee guida, che riguarda la preferenza del paziente. È dibattuto tuttavia quanto i criteri di selezione debbano essere restrittivi. Pasquale Santangeli et al. presentano una revisione della pertinente letteratura, che comprende due trial randomizzati e due studi osservazionali. La loro conclusione è che l’ablazione, nella fibrillazione atriale parossistica isolata e sintomatica, come trattamento di prima scelta consente una maggiore efficacia a parità di eventi avversi rispetto alla terapia farmacologica, con un più favorevole profilo costo-beneficio. Tale conclusione contiene l’implicito messaggio di una indicazione estensiva all’ablazione, prima ancora dell’impiego dei farmaci antiaritmici. Claudio Tondo nell’editoriale di accompagnamento, dopo un excursus che offre stimolanti spunti fisiopatologici e clinici, rende esplicito e rafforza questo messaggio, evidenziando la necessità di eseguire precocemente l’ablazione per prevenire il rimodellamento elettrico e strutturale, che con il tempo tendono a vanificare una strategia di controllo del ritmo.
Negli interessanti contributi di Santangeli e Tondo non compaiono, o non vengono enfatizzati, gli argomenti a favore di un atteggiamento più restrittivo sulle indicazioni alla procedura: la frequente necessità di ripeterla, la radioesposizione con i correlati rischi a lungo termine, la diversa natura degli eventi avversi, percentualmente simili ma più spesso irreversibili o invalidanti rispetto ai farmaci antiaritmici, che peraltro sono sovente necessari nelle fasi precoci e tardive post-ablazione. È comunque certo che il trattamento ablativo della fibrillazione atriale abbia conquistato uno spazio crescente, e appare probabile che continuerà ad espandersi. •




Fibrillazione atriale e nuovi anticoagulanti orali: una rivoluzione alle porte

Nel panorama dei farmaci cardiovascolari la principale innovazione degli ultimi anni è indubbiamente rappresentata dai nuovi anticoagulanti orali, inibitori diretti della trombina e del fattore X attivato, che stanno già rivoluzionando, laddove largamente disponibili, la terapia e profilassi delle principali patologie tromboemboliche. Il recente aggiornamento delle linee guida europee sulla fibrillazione atriale ha sancito l’ingresso a pieno titolo di tali farmaci, come alternativa e, in casi selezionati, come farmaci di prima scelta rispetto agli antagonisti della vitamina K. La revisione di Fabrizio Ricci et al. sulla terapia antitrombotica della fibrillazione atriale trae il suo motivo principale di interesse dalle nuove molecole. Di queste vengono analizzati comparativamente i principali trial, che hanno dimostrato rispetto al warfarin un’efficacia almeno simile se non superiore, ed una maggiore sicurezza d’impiego, oltre ad una migliore maneggevolezza. Ne vengono tuttavia messi in luce anche gli aspetti problematici, come l’assenza di antidoti e la difficoltà del monitoraggio laboratoristico. Un lavoro completo ed equilibrato su un argomento di interesse comune in profonda trasformazione. •




Dabigatran, istruzioni per l’uso (... ma non è un po’ troppo presto?)
Il lavoro di Paolo Verdecchia e Giancarlo Agnelli integra perfettamente la revisione sulla terapia antitrombotica nella fibrillazione atriale, fornendo una serie di informazioni pratiche sull’impiego del dabigatran, per ora l’unico dei nuovi anticoagulanti orali disponibile in Italia con indicazione specifica in scheda tecnica e verosimilmente il primo che dovremo imparare a maneggiare. Con stile sintetico e pragmatico gli autori forniscono indicazioni indispensabili all’uso clinico, comprese quelle che non si evincono chiaramente dalla lettura dei trial: si parla infatti non solo della selezione dei pazienti, dei dosaggi, del trattamento delle complicanze emorragiche, ma anche ad esempio del passaggio da warfarin a dabigatran, dei tempi di interruzione perioperatoria, di gestione della terapia prima, durante e dopo cardioversione elettrica, ablazione transcatetere e procedure coronariche elettive o urgenti. Viene anche affrontato l’impiego del farmaco nella chirurgia ortopedica, argomento di interesse per il cardiologo, frequentemente chiamato a co-gestire in fase perioperatoria questi pazienti, spesso anziani e cardiopatici.
Qualcuno potrebbe pensare che si tratta di istruzioni per l’uso a futura memoria, non essendo ben chiaro il momento, forse lontano, in cui i nuovi costosi farmaci anticoagulanti verranno dispensati dal Servizio Sanitario Nazionale e avranno quindi una larga diffusione. Tuttavia, in maniera graduale e silenziosa, l’impiego di questi farmaci si va estendendo, non fosse altro che per diretta richiesta dei pazienti, i quali anche in rete si scambiano informazioni su come liberarsi dal fardello del warfarin. E noi cardiologi, anche qualora non prescrivessimo il farmaco, saremo sempre più spesso chiamati a dare risposte puntuali, specie nei Pronto Soccorso, a questi pazienti che rischiano di diventare mine vaganti in assenza di medici pronti a gestirne le problematiche. Il futuro è già iniziato. •




Un approccio innovativo ad un antico problema
Il cardiologo clinico di fronte ai problematici progressi della genetica, dopo alcuni evidenti successi ed altrettante delusioni, si sente talora diviso tra entusiasmo e scetticismo. È tuttavia evidente che in misura crescente dovremo familiarizzare con i concetti ed il linguaggio della genetica, che sta guadagnando campo in diverse patologie, compresa la fibrillazione atriale. La rassegna di Marcello Disertori et al., partendo dall’osservazione che una non trascurabile quota di casi di fibrillazione atriale ha distribuzione familiare, analizza le alterazioni genetiche correlate ad oggi note, con un linguaggio chiaro, nonostante l’ostico argomento, anche grazie ad un glossario ad uso dei non addetti ai lavori. In base alle conoscenze disponibili appare probabile che le forme geneticamente riconoscibili di fibrillazione atriale siano solo la punta di un iceberg e che vi sia una ereditarietà mancante (missing heritability) che non riusciamo ancora ad identificare. Allo stato attuale è marginale l’impatto della genetica nella gestione clinica routinaria del paziente con fibrillazione atriale, ma vi sono ipotesi di lavoro molto promettenti in termini di identificazione dei soggetti a rischio di fibrillazione atriale e di complicanze correlate, e di trattamenti farmacologici e non farmacologici mirati in base al substrato genetico. •




QT: quei tracciati ... trascurati
Che l’intervallo QT abbia travalicato gli angusti limiti del reticolo elettrocardiografico, e quelli più ampi delle nostre cardiologie, è evidente dalla ricorrenza della sigla nelle schede tecniche di molti farmaci, oltre che dai quesiti che ci pongono in merito i colleghi non cardiologi nelle richieste di refertazione ECG e consulenza. La rassegna di Lia Crotti et al., proveniente da un prestigioso gruppo di lavoro italiano, fornisce informazioni, oltre che autorevoli, pratiche ed aggiornate su questo argomento di grande rilevanza. Partendo dall’analisi ECG, la rassegna si estende agli aspetti diagnostici, prognostici e terapeutici delle sindromi genetiche ed acquisite del QT lungo e corto. Fra i tanti importanti messaggi, gli autori nelle conclusioni ne sottolineano in maniera drammaticamente vivida uno fondamentale: che il mancato riconoscimento di un QT alterato, talvolta in maniera eclatante, è ancora oggi alla base di eventi mortali evitabili di giovani apparentemente sani. Un forte e giusto richiamo ad un’analisi non superficiale dell’ECG, anche di quello a prima vista normale in cui non ci viene richiesta la misura del QT.  •

studio osservazionale




L’arte di lanciare una rete

Giampaolo Scorcu et al. presentano la propria esperienza relativa alla Rete Cagliaritana per la gestione delle sindromi coronariche acute STEMI, con un focus sull’angioplastica primaria. Il dato saliente riguarda l’aumento di circa 8 volte (dall’8% al 66%) del numero di pazienti in grado di ricevere il gonfiaggio del pallone entro il 90° minuto dal primo contatto medico, come raccomandato dalle linee guida, grazie alla combinazione vincente trasmissione ECG–centralizzazione in emodinamica rispetto al trasporto in Pronto Soccorso da parte di ambulanza tradizionale. L’attualità del lavoro risiede soprattutto nel valorizzare quegli aspetti politico-amministrativi, di organizzazione sanitaria e di integrazione ospedale-territorio la cui carenza è probabilmente causa dell’assenza di Reti in aree purtroppo ancora estese del nostro paese.  •

casi clinici




... Quando un vecchio ombrello può proteggere da un violento temporale
Chi impiegherebbe il verapamil per trattare una tachicardia ventricolare, specie nel contesto di una tempesta aritmica? Giulio Conte et al. descrivono il caso di una particolare forma di tachicardia ventricolare sensibile ad alte dosi di verapamil. In epoca di ablazione transcatetere si può discutere se preferire un trattamento farmacologico a lungo termine ad una procedura potenzialmente risolutiva. Il caso riportato tuttavia ci ricorda che su base clinica ed elettrocardiografica possiamo riconoscere delle peculiari situazioni in cui un vecchio farmaco, abitualmente controindicato nelle tachicardie ventricolari, può risultare di grande ausilio, almeno nella gestione acuta della tempesta aritmica. •




Un indiziato inusuale nell’ictus
L’evento causale di un’ischemia cerebrale acuta non di rado sfugge al medico che lo ricerca, a tratti smarrito tra poche prove e tanti potenziali colpevoli. Alla lista dei sospettati va ad aggiungersi una new entry, il miocardio non compatto, che come nel caso clinico di Andrea Fiorencis et al. può esordire con un evento cardioembolico. Un elevato indice di sospetto clinico e la conoscenza dei criteri diagnostici rappresentano elementi indispensabili per identificare questa sfuggente condizione ed impostare correttamente la profilassi secondaria. •