Evidence-based versus evidence-biased medicine
Niccolò Marchionni1, Francesco Orso1, Antonio Cherubini2
1Cattedra di Geriatria, Università degli Studi, e SOD Cardiologia e Medicina Geriatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
2Divisione di Geriatria, IRCCS Istituto Nazionale di Ricovero e Cura Anziani (INRCA), Ancona
Due to a burden of multiple chronic diseases, older patients are the greatest consumers of healthcare resources. However, randomized clinical trials (RCT) have excluded most older patients for many reasons, ranging from comorbidities to disability or cognitive impairment. Systematic reviews demonstrate that such stringent exclusion criteria, frequently poorly justified, are still adopted by ongoing RCT, even for conditions highly prevalent in the elderly, such as chronic heart failure. Following this approach, even after enrollment of substantial numbers of older patients, RCT have usually tested the efficacy of drugs in “ideal” patients, with fewer associated conditions, no functional limitation, and optimal adherence. Therefore, the generalizability of RCT to older populations encountered in clinical practice is limited: a situation generating a sort of evidence-biased as opposed to evidence-based medicine. Well conducted observational studies can be a valid alternative, and some of these showed that in older, frail, patients the net clinical benefits from different treatments are not only comparable, but in some cases even larger than those observed in younger, robust individuals. Italian and European regulatory agencies are acknowledging that, in the face of the current demographic transition, we are in need for generating robust evidence of treatment effectiveness in the older, frail population.
Key words. Elderly; Evidence-based medicine; Randomized clinical trials.


Per effetto della transizione demografica e per i ben noti motivi epidemiologici ampiamente illustrati anche nell’introduzione a questo Supplemento, gli anziani – colpiti per lo più da malattie croniche in associazioni multimorbose – sono i massimi consumatori di farmaci, come dimostrato anche in Italia dal più recente rapporto OsMed (Osservatorio dei Medicinali; Agenzia Italiana del Farmaco, AIFA, 2011). Già nel 1989 la US Food and Drug Administration (FDA) ha pubblicato, indirizzandole all’industria farmaceutica, linee guida per lo studio dei farmaci di più probabile uso negli anziani 1. Tali raccomandazioni sono state riprese e rinforzate nel 1994, da un documento di indirizzo redatto dall’International Conference on Harmonisation of Technical Requirements for Registration of Pharmaceuticals for Human Use (ICH; http://www.ich.org), organizzazione che raccoglie le agenzie regolatorie del farmaco di Stati Uniti (FDA), Europa (European Medicines Agency, EMA) e Giappone, sottolineando l’importanza di arruolare nei trial clinici randomizzati (RCT) pazienti che fossero rappresentativi della popolazione nella quale il farmaco verrà utilizzato: con particolare attenzione all’inclusione di pazienti ultra75enni, senza fissare limiti superiori di età per l’arruolamento, e senza “non necessari criteri di esclusione per malattie concomitanti” (comorbosità)2.
Nonostante ciò, la frequente esclusione degli anziani dagli RCT è rimasta metodologia costante, tanto è vero che una revisione sistematica dei criteri di eleggibilità negli RCT del 2007 riporta che comuni comorbosità, ed un limite di età predefinito, erano causa di mancato arruolamento rispettivamente nell’81% e 72% degli studi; co-trattamenti farmacologici comuni lo erano nel 54% e, globalmente, solo il 47% dei criteri di esclusione risultava giustificato3; le donne, i bambini e soprattutto gli anziani, e i pazienti con condizioni morbose assai comuni, erano i più frequentemente esclusi3. Alla base di questa modalità operativa sussistevano varie motivazioni: dalla ricerca di una popolazione di studio più omogenea, alla riduzione del rischio di drop-out, ridotta aderenza e interazioni farmacologiche con effetti avversi; dalla percezione che gli anziani rappresentano comunque una popolazione “vulnerabile”, al timore di un aumento dei costi del trial, o alla convinzione che i risultati ottenuti in popolazioni giovani-adulte fossero comunque ben trasferibili a quelle anziane4.
Questo stato di cose non sembra essere migliorato in misura apprezzabile anche in epoca molto più recente. Lo studio multicentrico europeo PREDICT (Increasing the PaRticipation of the ElDerly In Clinical Trials), i cui primi risultati sono stati pubblicati nel 20115, è stato condotto in 8 paesi europei ed in Israele, con l’obiettivo di aggiornare i dati sulla partecipazione degli anziani agli RCT, di comprendere le motivazioni della eventuale, persistente esclusione, e di fornire possibili soluzioni. In particolare, un gruppo di lavoro all’interno del progetto ha voluto verificare se gli RCT tuttora in corso sullo scompenso cardiaco cronico avessero recepito la raccomandazione sul desiderabile aumento dell’inclusione di pazienti anziani. Infatti, dall’analisi degli studi già pubblicati in letteratura si possono ricavare informazioni esclusivamente su trial disegnati e condotti diversi anni prima della loro pubblicazione, senza poter conoscere come l’esclusione degli anziani sia eventualmente cambiata nel corso degli anni 5. Le informazioni sul disegno dei trial clinici in corso sullo scompenso cardiaco sono state ottenute da uno specifico registro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), il WHO International Clinical Trials Registry Platform (WHO-ICTRP) (www.who.int./trial search/AdvSearch.aspx), liberamente accessibile, che contiene dati sintetici sul protocollo di ogni RCT registrato nel database. Alla data del 1° dicembre 2008, sono stati individuati 378 studi, di tipo farmacologico e non farmacologico, in corso su pazienti affetti da scompenso cardiaco. Di questi, 127 studi sono stati esclusi dall’analisi: 79 in quanto osservazionali; 40 perché lo scompenso cardiaco non era la condizione principale; 6 centrati prevalentemente sulla fisiopatologia, senza nessuna analisi di efficacia di trattamenti innovativi; uno registrato 2 volte; uno con inclusione di pazienti in età pediatrica. Così, l’analisi è stata condotta sui 251 RCT. Nei protocolli sono stati identificati ed analizzati un criterio di esclusione diretto (la presenza di un limite superiore d’età) e 13 criteri indiretti, ritenuti potenzialmente in grado di ridurre l’arruolamento degli anziani e, quindi, di limitare la rappresentatività del trial. Inoltre, è stato effettuato un tentativo di definire se i criteri di esclusione fossero o meno giustificati, basandosi su un adattamento della classificazione adottata in un precedente lavoro 3. La classificazione dei criteri di esclusione, che rappresenta una indicazione metodologica potenzialmente utile anche per il disegno di futuri RCT, è riportata nella Tabella 15. Dall’analisi è emerso che un significativo numero di trial (n=64; 25.5%) escludeva i pazienti in base a un limite di età predefinito, variabile dai 65 ai 95 anni, con mediana 80 anni. Tale esclusione, che può essere considerata sempre come criterio non giustificabile, compare in minor percentuale negli RCT condotti negli Stati Uniti, rispetto a quelli europei (16.2 vs 32.3%), ed è più frequente nei trial finanziati da istituzioni pubbliche rispetto a quelli finanziati da enti privati (35.6 vs 13.9%). La presenza di multimorbosità, generica o specifica, è risultato il criterio di esclusione adottato in assoluto più frequentemente, dichiarato dall’80.1% degli studi (n=201); 190 trial (75.7%) non arruolavano pazienti con comorbosità specifiche – come patologie renali o epatiche –, mentre 26 (10.4%) con comorbosità espressa in termini generici. Il 36.3% (n=91) dei trial non arruolava pazienti con ridotta aspettativa di vita, criterio considerato giustificabile, mentre il 12.5% (n=32) escludeva pazienti con deterioramento cognitivo, giustificabile soltanto per la malattia di Alzheimer in stato avanzato o in trial su interventi di tipo educativo-comportamentale. Poco meno di un quinto (18.7%) dei trial non arruolava pazienti che assumevano altri farmaci rispetto a quelli per lo scompenso cardiaco, con la polifarmacoterapia adottata come criterio di esclusione nel 5.6% (n=14) degli studi. Sono stati registrati i seguenti, ulteriori criteri di esclusione: disabilità fisica (13.9%) e generica (2%); incapacità di partecipare ai controlli di follow-up (9.6%); problemi linguistici o deficit visivi ed uditivi (2%); mentre un solo trial escludeva sistematicamente le donne.




In sintesi, quasi la metà dei trial (n=109; 43.4%) presentava almeno un criterio di esclusione poco o per nulla giustificabile, senza significative differenze globali tra quelli farmacologici e non, pubblici e privati, europei o statunitensi. Quindi criteri di esclusione, come la multimorbosità, il deterioramento cognitivo, la disabilità, la polifarmacoterapia, la ridotta aspettativa di vita, le barriere linguistiche, i deficit visivi ed uditivi, continuano ad essere frequenti anche nei trial clinici sullo scompenso cardiaco attualmente in corso: una serie di criteri che, di fatto, preclude indirettamente la partecipazione di un gran numero di anziani, soprattutto di quelli – divenuti ormai la regola nel mondo reale – di maggiore complessità, perché affetti da condizioni croniche multiple concomitanti.
Questi risultati mostrano come l’evidenza che influenzerà la pratica clinica di trattamento dello scompenso cardiaco nei prossimi anni deriverà da RCT scarsamente rappresentativi dei pazienti anziani: i pazienti, per l’appunto, che presentano la maggiore prevalenza ed incidenza di quella sindrome. Così, avremo a disposizione linee guida basate su evidenze poco fondate sulla medicina reale e, quindi, poco generalizzabili all’universo mondo della popolazione clinica.
Un secondo gruppo di lavoro del PREDICT ha esaminato le risposte fornite, relativamente a questo problema, da una serie di professionisti coinvolti nel disegno e nella conduzione degli RCT e nell’utilizzo di farmaci negli anziani (geriatri, medici di medicina generale, infermieri, sperimentatori, dirigenti delle industrie farmaceutiche, membri dei comitati etici). Le risposte hanno evidenziato una generale consapevolezza dell’esclusione degli anziani dai trial, per lo più ritenuta non giustificata e fonte di problemi per i medici prescrittori dei farmaci; mentre come possibili soluzioni sono stati proposti incentivi economici al reclutamento degli anziani, adattamento del disegno dei trial alle caratteristiche della popolazione clinica anziana, e l’introduzione di normative legislative che rendano obbligatoria l’inclusione dei pazienti anziani nei trial stessi 6.
Infine, un terzo gruppo di lavoro del PREDICT ha condotto dei focus group con pazienti anziani e loro familiari, per raccogliere anche il loro punto di vista. I risultati hanno mostrato come gli anziani vogliano partecipare agli studi clinici dai quali si sentono ingiustamente esclusi, e chiedano un adattamento del disegno dei trial che tenga conto delle loro caratteristiche, delle loro preferenze e dei loro bisogni. Questa fase del progetto PREDICT si è conclusa con l’elaborazione di una Carta dei diritti degli anziani in merito alla loro partecipazione ai trial clinici 7.
Come anticipato, le ricadute pratiche di questa realtà risultano immediatamente evidenti dall’esame delle linee guida diagnostico-terapeutiche pubblicate da autorevoli società scientifiche cardiologiche. Nelle linee guida 20088 della Società Europea di Cardiologia (ESC) sulla diagnosi ed il trattamento dello scompenso cardiaco, all’anziano sono riservati soltanto 5 paragrafi di 3-6 righe ciascuno, su un totale di 55 pagine: il primo di tali paragrafi è una sorta di dichiarazione di resa sulle specifiche problematiche della popolazione geriatrica: prende atto del fatto che la maggioranza degli RCT ha arruolato pazienti adulto-maturi con età media ≈61 anni, per il 70% uomini; mentre più del 50% della popolazione clinica con scompenso cardiaco cronico è ultra75enne e in larga maggioranza di sesso femminile. Nelle linee guida ESC 2012 9 la situazione non è molto migliorata: ci sono in tutto 10 citazioni di “anziano”, 5 delle quali riguardano caveat diagnostici assai circoscritti; 3 sono rappresentate da brevi riferimenti a RCT farmacologici che – pur con numerosi criteri di esclusione che ne limitano comunque la generalizzabilità – hanno deliberatamente arruolato pazienti anziani; una riguarda effetti collaterali da una singola classe farmacologica (gli antialdosteronici), più frequenti nell’anziano; e una, infine, la mancanza di evidenze nell’anziano dagli RCT sul training fisico9.
Si conferma dunque una volta di più che oggi abbiamo a disposizione raccomandazioni raccolte secondo i principi della medicina basata sulle evidenze, ma fondate su evidenze poco o per nulla basate sulla medicina reale: strumenti che Sir John Grimley Evans, Past-President della British Geriatric Society, nell’ormai lontano 1995 ha definito di “evidence-biased medicine”10.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: sotto-trattamento, inadeguatezza prescrittiva, limitata aderenza dei più anziani – in particolare degli ultra75enni – sono all’ordine del giorno, comunemente riportate da tutti gli studi osservazionali, al di là del contesto specifico dello scompenso cardiaco cronico, si riscontrano costantemente in tutti gli ambiti della moderna cardiologia.
Basti pensare ad esempio che, nonostante il fatto che i principali score di predizione della probabilità di ictus cardioembolico in corso di fibrillazione atriale identifichino l’età avanzata come uno dei principali fattori di rischio, studi osservazionali dimostrano una larga sottoprescrizione di terapia anticoagulante con antagonisti della vitamina K al crescere dell’età (Figura 1)11. Dobbiamo quindi accogliere il suggerimento di studi dal “mondo reale” che, come nel caso dell’ampia coorte dello studio ATRIA condotto con assai limitati criteri di esclusione12, ha calcolato il beneficio clinico netto del trattamento appropriato, dimostrando, con questo approccio innovativo, che il vantaggio della terapia anticoagulante non è inferiore negli anziani ma, anzi, cresce all’aumentare dell’età e raggiunge il massimo addirittura negli ultra85enni (Figura 2).
Quali sono le possibili soluzioni? Esistono varie alternative – dagli studi di registro, agli studi osservazionali, all’utilizzazione di database amministrativi potenzialmente di enormi dimensioni – alcune delle quali saranno discusse in maniera dettagliata in specifici capitoli di questo stesso Supplemento, ed alle quali si stanno interessando anche i principali organismi regolatori internazionali (EMA) e nazionali (AIFA), i quali hanno recentemente fondato rispettivamente un Geriatric Expert Group (EMA) ed un Geriatric Working Group (AIFA).
Dal Geriatric Working Group di AIFA viene la proposta13 di costruire reti informative nazionali, nelle quali l’utilizzazione dei farmaci – analizzata in termini di appropriatezza prescrittiva e di uso – sia accoppiata a misure di outcome, con possibilità di stratificazione e aggiustamento attraverso la raccolta sistematica di un minimum dataset tipicamente geriatrico, contenente informazioni su fragilità, comorbosità e disabilità.






RIASSUNTO
Per la presenza di multiple malattie croniche, gli anziani sono i maggiori consumatori di risorse sanitarie. Nonostante ciò, i trial clinici randomizzati (RCT) hanno generalmente escluso la maggioranza degli anziani per una serie di ragioni, che vanno dalle comorbosità, alla disabilità o al deterioramento cognitivo. Revisioni sistematiche dimostrano che tali rigidi criteri di esclusione, spesso poco giustificati, sono operativi anche negli RCT attualmente in corso, persino su condizioni croniche ad elevata prevalenza nella popolazione anziana quali lo scompenso cardiaco. Seguendo questa metodologia, anche quando hanno arruolato apprezzabili numeri di pazienti anziani, gli RCT hanno generalmente testato l’efficacia dei farmaci in pazienti “ideali”, con poche condizioni associate, nessuna limitazione funzionale e ottima aderenza. Per tali motivi, la loro generalizzabilità alla popolazione anziana della pratica clinica è sostanzialmente limitata, generando una evidence-biased piuttosto che una evidence-based medicine. Studi osservazionali di elevata qualità, che possono essere una valida alternativa di ricerca, hanno dimostrato che il beneficio clinico netto conseguito con vari trattamenti è non solo comparabile, ma spesso addirittura maggiore di quello osservato in pazienti più giovani e robusti. Le Agenzie Regolatorie italiana ed europea stanno riconoscendo la necessità di generare evidenze di efficacia dei trattamenti proprio nella popolazione anziana fragile.
Parole chiave. Anziani; Medicina basata sull’evidenza; Trial clinici randomizzati.
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