I dispositivi negli anziani con scompenso cardiaco cronico
Stefano Fumagalli1, Debbie Gabbai1, Samuele Baldasseroni1, Luigi Padeletti2
1SOD Cardiologia e Medicina Geriatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
2Laboratorio di Aritmologia e Scuola di Specializzazione in Cardiologia, Università degli Studi Firenze e
Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
Chronic heart failure (CHF) is a frequent and clinically relevant condition in elderly patients. Despite the improvements in medical therapy, CHF mortality is persistently high. The introduction into clinical practice of pacemakers for cardiac resynchronization therapy (CRT) and of implantable cardioverter-defibrillators (ICD) has significantly increased survival in CHF patients. In spite of clinical and epidemiological data, evidence of the effectiveness of these devices in the elderly is scant, and the few existing data derive from observational studies. Regarding CRT, in 1787 patients, the InSync/InSync ICD study showed no age-related differences in the prevalence of responders to therapy (about 60%) and in procedural complication rates (11%). Regarding ICD, in the 6311 patients enrolled in the Italian Clinical Service Project, 22.6% of the excess mortality observed in older subjects was due to comorbid conditions. Specific controlled clinical trials are needed to address the impact of CRT and ICD on health-related quality of life, disability and cognitive profile. The findings obtained will be useful to clarify clinical, ethical and cost-effectiveness issues in order to develop specific age-oriented guideline recommendations.
Key words. Cardiac resynchronization therapy; Chronic heart failure; Elderly; Implantable cardioverter-defibrillator; Prognosis.
TERAPIA DI RESINCRONIZZAZIONE ED EVIDENZE NELL’ANZIANO: L’IMPORTANZA DEI REGISTRI
Il progressivo invecchiamento della popolazione pone quotidianamente interrogativi su utilità e appropriatezza di molti interventi medici. Lo scompenso cardiaco cronico (SCC) è una delle più importanti patologie correlate all’età, responsabile di disabilità, ospedalizzazioni frequenti, compromissione della qualità della vita e mortalità elevata1.
La terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) rappresenta una delle più importanti innovazioni nel trattamento dello SCC. La CRT viene effettuata con l’uso di speciali pacemaker, capaci di stimolare in modo sincrono ventricolo destro e sinistro. Gli stimolatori hanno talvolta anche la funzione di defibrillatore (CRT-D). Il trattamento con CRT, grazie ad effetti positivi su funzione sistolica globale e rimodellamento del ventricolo sinistro, e sul grado di insufficienza mitralica, determina la riduzione dei sintomi e il miglioramento della qualità della vita dei pazienti con SCC 2. È stato infatti documentato che, con la CRT, la classe NYHA diminuisce di 0.6-0.8 punti, e che la distanza percorsa al test del cammino dei 6 min e il consumo di ossigeno di picco aumentano rispettivamente del 20% e del 10-15%3. I benefici prodotti sono tali da ridurre significativamente le riospedalizzazioni per cause cardiovascolari e non. Recenti trial clinici hanno dimostrato, infine, anche un effetto protettivo della CRT sulla mortalità complessiva e aritmica, che dopo 29 mesi di follow-up, si è ridotta del 36% rispetto al gruppo di controllo4. Sulla base di queste evidenze, le attuali linee guida della Società Europea di Cardiologia pongono in classe IA, con l’obiettivo di ridurre morbilità e mortalità, l’utilizzo della CRT in pazienti in classe funzionale NYHA III o IV (purché ambulatoriali), con grave disfunzione sistolica del ventricolo sinistro (frazione di eiezione ≤35%), in ritmo sinusale e con durata del QRS ≥120 ms. Prerequisito essenziale è che la terapia medica sia già “ottimale” 3. Studi recenti, suggeriscono infine che nei pazienti in classe NYHA II, con grave disfunzione ventricolare sinistra e QRS ≥150 ms, la CRT costituisca uno strumento importante per ridurre la progressione di malattia e la morbosità5. Anche in presenza di queste condizioni esiste dunque una raccomandazione alla CRT di classe IA3, indicazione recepita anche dalle principali società scientifiche degli Stati Uniti6.
Nonostante l’elevata prevalenza di SCC nella popolazione di età avanzata, le evidenze sull’efficacia della CRT nell’anziano sono ancora estremamente limitate7. A questo proposito, è sufficiente ricordare che l’età media delle popolazioni arruolate nei principali trial clinici è ben inferiore ai 70 anni e, come frequentemente osservato, i criteri di esclusione per l’arruolamento estremamente selettivi. Il rischio principale di questo comportamento è conseguente proprio all’estendere, o “estrapolare”, le implicazioni derivate da trial così selettivi a popolazioni largamente escluse, con il rischio di trarre conseguenze errate in termini di benefici ed incidenza di complicanze, ancora più rilevanti in relazione all’invasività delle procedure e al costo dei dispositivi 8. A fronte della mancanza di dati ottenuti con studi randomizzati, i risultati degli studi osservazionali derivati da registri clinici di ampie proporzioni possono fornire importanti informazioni riguardanti le caratteristiche dei soggetti trattati e gli effetti ottenuti con la CRT nel “mondo reale”.
L’analisi del registro italiano InSync/InSync ICD, condotta in collaborazione con Medtronic Italia, ha permesso di valutare gli effetti della CRT in un’ampia popolazione arruolata in modo prospettico in 117 Centri italiani e, successivamente, seguita con follow-up di 19 ± 13 mesi9. Al momento dell’analisi, nel registro erano presenti 1787 pazienti consecutivi sottoposti a CRT o CRT-D nel periodo 1999-2005. La suddivisione della casistica in tre gruppi di età (<65 anni: 57 ± 7 anni, n=571; 65-74 anni: 70 ± 3 anni, n=740; ≥75 anni: 78 ± 3 anni, n=476) ha permesso di osservare che:
• ancora oggi, in Centri ad elevata specializzazione, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina, antagonisti recettoriali dell’angiotensina II e betabloccanti sono sotto­utilizzati soprattutto nel paziente anziano;
• dopo 6 mesi di trattamento, con livelli comparabili di dis­funzione sistolica del ventricolo sinistro tra le differenti classi di età (frazione di eiezione; <65 anni: 26 ± 8%; 65-74 anni: 26 ± 7%; ≥75 anni: 27 ± 8%; p=NS), era sovrapponibile anche la frequenza di responder (cut-off: riduzione >10% del volume telesistolico ventricolare sinistro) alla CRT (<65 anni: 58%; 65-74 anni: 60%; ≥75 anni: 62%; p=NS);
• dopo 12 mesi, i diametri del ventricolo sinistro e la frazione di eiezione (<65 anni: 34 ± 11%; 65-74 anni: 34 ± 11%; ≥75 anni: 37 ± 12%) erano significativamente migliorati in tutti i gruppi di pazienti (p<0.05 vs valore basale per tutti i confronti), con attenuazione dei sintomi e riduzione di 0.8-1 classe NYHA;
• la CRT-D era utilizzata progressivamente meno al crescere dell’età (<65 anni: 48%; 65-74 anni: 43%; ≥75 anni: 29%; p<0.001), ma non esercitava alcuna influenza sulla sopravvivenza (hazard ratio 0.94, intervallo di confidenza 95% 0.70-1.25);
• all’analisi multivariata, oltre ad un’ovvia associazione con l’età ≥75 anni, la mortalità per tutte le cause era direttamente correlata alla presenza di fibrillazione atriale permanente, ed inversamente correlata ai valori di frazione di eiezione, all’utilizzo di antagonisti del sistema renina-angiotensina e betabloccanti e, soprattutto, all’essere responder alla CRT9.
L’impianto del dispositivo era associato a un’incidenza complessiva di complicanze dell’11%, anch’essa simile nei tre gruppi di età9, e confrontabile a quanto osservato nella European CRT Survey, nella quale sono stati valutati 2111 pazienti arruolati in 141 Centri di 13 nazioni10. Addirittura, in questo secondo registro, l’analisi sui dati di sopravvivenza a 1 anno ha permesso di osservare che, dopo aggiustamento per classe NYHA, presenza di fibrillazione atriale, cardiopatia ischemica ed impianto contemporaneo di un cardioverter-defibrillatore (ICD), l’età non era più un fattore prognostico significativo10.
In conclusione, l’analisi del registro InSync/InSync ICD permette di affermare che il trattamento con CRT determina il miglioramento della performance e della geometria del ventricolo sinistro in pazienti di tutte le età, e che la prevalenza di responder alla terapia non diminuisce nel gruppo dei più anziani. Questi risultati sono rafforzati da quelli ottenuti dall’analisi della European CRT Survey, in cui la mortalità a 1 anno era addirittura indipendente dall’età. Purtroppo, a fronte di questi dati incoraggianti, sopravvive ancora, soprattutto per i pazienti scompensati di età avanzata, un atteggiamento “rinunciatario” nel seguire le raccomandazioni delle linee guida che, come detto, spingono all’ottimizzazione della terapia medica durante CRT. Il fenomeno del sotto-trattamento è in questo caso particolarmente importante, e può rappresentare un significativo fattore di rischio di insuccesso della terapia e di aumentata mortalità.
Alcuni ulteriori elementi di interesse in prospettiva geriatrica derivano dai risultati di un recente studio pilota condotto su soli 20 pazienti anziani. Infatti, dopo 3 mesi di trattamento, la CRT ha determinato un significativo miglioramento del profilo neuropsicologico, in particolare delle misure di attenzione e di elaborazione dell’informazione11. In effetti, la CRT nei soggetti responder sembra produrre un incremento del flusso cerebrale secondario al miglioramento della funzione sistolica12. Questi risultati trovano, almeno in parte, una giustificazione fisiopatologica e sono rafforzati da uno studio condotto su una coorte di 1504 soggetti arruolati nel Framingham Heart Study. Con tecniche di risonanza magnetica, è stato infatti possibile correlare la riduzione della performance cardiaca, espressa dai valori di indice cardiaco, con un accelerato invecchiamento cerebrale, valutato in termini di volume anatomico e di velocità nell’elaborazione delle informazioni 13. I benefici della CRT, probabilmente attraverso il miglioramento delle condizioni emodinamiche, influenzano in modo positivo anche lo stato infiammatorio cronico. In una serie limitata di pazienti responder, dopo soli 4 mesi di terapia, le concentrazioni di proteina C-reattiva ad alta sensibilità e di frammenti protrombinici erano diminuite in modo significativo, avvicinandosi a quelle di soggetti di controllo con normale frazione di eiezione ventricolare sinistra14. Questa ampia varietà di benefici dovuti alla CRT determina importanti conseguenze in termini di qualità della vita, migliorata infatti, ad 1 anno, nel 71% dei soggetti trattati della European CRT Survey10.
I risultati degli studi fin qui considerati non devono tuttavia portare a sottovalutare l’elevato rischio di procedure invasive in pazienti anziani fragili con SCC di grado avanzato, spesso associato ad altre importanti patologie. In un ampio database statunitense in cui sono stati valutati 26 887 pazienti sottoposti a impianti di dispositivo per CRT o di ICD nel periodo 2004-2005, il 17.5% della casistica aveva un’età ≥80 anni. Nello studio, la mortalità ospedaliera passava dallo 0.7% nei soggetti con età <80 anni al 2.2% in coloro che avevano un’età >85 anni. Fattori indipendenti di mortalità ospedaliera erano, oltre all’età stessa, la presenza di patologia associata di rilievo, l’uso di inotropi e, appunto, lo sviluppo di complicanze periprocedurali 15.
DEFIBRILLATORE IMPIANTABILE, ETÀ E MORTALITÀ: L’IMPORTANZA DEI REGISTRI
Nonostante i notevoli progressi della terapia medica, la mortalità a 5 anni nello SCC avanzato è ad oggi ancora del 50%16. Importanti benefici in termini di sopravvivenza derivano dall’uso dell’ICD da solo o, come visto in precedenza, in associazione alla CRT. A questo proposito, i risultati del MADIT II (Multicenter Automatic Defibrillator Implantation Trial) illustrano in modo chiaro l’efficacia di questo tipo di trattamento. Infatti, dopo un follow-up di 8 anni, la mortalità nei pazienti con ICD era del 49%, mentre quella nel gruppo di controllo era del 62%, con una riduzione del rischio complessivo di eventi del 34% e un number needed to treat (numero di soggetti da trattare per prevenire una morte cardiaca improvvisa) di solo 8, che indica l’impianto di ICD in queste condizioni come trattamento molto conveniente17. Attualmente, le linee guida internazionali raccomandano in classe I (livello di evidenza A) l’utilizzo del dispositivo in soggetti con SCC e ridotta frazione di eiezione ventricolare sinistra, in prevenzione secondaria dopo arresto cardiaco o tachicardia ventricolare con instabilità emodinamica1. Ancora più di rilievo le indicazioni per la prevenzione primaria della morte cardiaca improvvisa (classe I, livello di evidenza A), per cui si raccomanda l’uso dell’ICD in pazienti con cardiopatia dilatativa di qualsiasi origine (ischemica e non ischemica) e riduzione grave della funzione sistolica del ventricolo sinistro (frazione di eiezione <35%), in classe NYHA II o III, dopo ottimizzazione del trattamento medico e con attesa di vita >1 anno 1.
Proprio per le premesse epidemiologiche e cliniche, l’uso dell’ICD in età avanzata costituisce un argomento di grande attualità, senza tuttavia risposte certe in termini di potenziali benefici, di rischi connessi alle procedure di impianto e al trattamento, e di costi. A questo riguardo, in una metanalisi di 5 studi è stato osservato che ICD e CRT-D erano efficaci nel ridurre la mortalità in prevenzione primaria anche negli ultra65enni, con un rapporto incrementale costo-efficacia variabile tra i 37 000$ e i 138 000$ per anno di vita guadagnata 18. Dato che alcune stime suggeriscono che, in Italia, volendo seguire le raccomandazioni delle linee guida, i dispositivi dovrebbero essere impiantati addirittura in 2671 soggetti per milione di abitanti19, sono facilmente intuibili le conseguenze economiche della mancanza di una strategia efficace per la stratificazione del rischio19.
Dal punto di vista fisiopatologico, la proporzione di morti cardiache improvvise sul totale delle morti per tutte le cause nello SCC avanzato diminuisce all’aumentare dell’età, passando dal 51% al di sotto di 50 anni, al 26% negli ultra80enni. D’altra parte, la mortalità nei soggetti anziani con SCC è talmente elevata che, in numeri assoluti, la morte cardiaca improvvisa è più rappresentata proprio in età avanzata20.
Un aiuto importante nel guidare la pratica clinica e la progettazione di nuovi studi deriva ancora una volta dall’analisi del mondo reale. A questo proposito, nell’Olmsted County Study è stato osservato che, tra il 1989 e il 2004, aumentava significativamente il numero di anziani sottoposti a impianto di ICD, anche se tale incremento era limitato ai pazienti di sesso maschile21.
È a questo punto necessario comprendere il rapporto tra età e benefici dell’ICD. In una recente metanalisi condotta per valutare l’influenza del dispositivo sulla prognosi, sono stati inclusi i 5 principali trial clinici (MADIT II, DEFINITE, DINAMIT, SCD-HeFT e IRIS), che hanno arruolato complessivamente 5783 pazienti (il 44% dei quali erano definiti anziani per età >65 anni). I risultati ottenuti hanno dimostrato che l’ICD riduceva la mortalità in misura significativa nei più giovani (hazard ratio 0.65, intervallo di confidenza 95% 0.50-0.83, p<0.001) e soltanto in tendenza negli anziani (hazard ratio 0.81, intervallo di confidenza 95% 0.62-1.05, p=0.11) 22.
Per poter affrontare più compiutamente il problema del rapporto tra età e beneficio dell’ICD, ancora una volta sono di grande aiuto i dati provenienti dall’osservazione della pratica clinica. Abbiamo per questo valutato, anche in questo caso in collaborazione con Medtronic Italia, i 6311 pazienti del database Clinical Service Project, sottoposti ad impianto di ICD tra il marzo 2004 e il maggio 2011 in 117 Centri italiani. La popolazione è stata suddivisa in tre gruppi di età (<65, 65-74 e ≥75 anni) 23. In particolare, gli ultra75enni rappresentavano il 23.9% dell’intera casistica. Le principali caratteristiche cliniche sono riportate in Tabella 1. La proporzione di uomini non differiva nei tre gruppi di età. La malattia coronarica era la principale eziologia dello SCC nei più anziani, che avevano, a parità di valori di frazione di eiezione ventricolare sinistra, una peggiore classe funzionale NYHA e minori volumi ventricolari. Tutte le principali patologie associate, in particolare diabete, fibrillazione atriale ed insufficienza renale cronica aumentavano al crescere dell’età. Nonostante la raccomandazione di ottimizzare il trattamento medico nei soggetti sottoposti ad impianto di ICD, l’utilizzo di betabloccanti diminuiva al crescere dell’età (Tabella 1).



Dopo un follow-up di 27 mesi (25°-75° percentile: 14-44 mesi), come atteso, la mortalità per tutte le cause aumentava con l’età (<65: 7.0% vs 65-74: 12.1% vs ≥75 anni: 15.2%) (modello di Cox univariato: hazard ratio 1.65, p<0.0001). Un primo modello di analisi multivariata, limitato alle sole variabili cardiologiche, ha dimostrato che, oltre all’età, erano fattori clinici correlati alla peggiore prognosi l’eziologia ischemica dello SCC, la presenza di fibrillazione atriale e di aritmie ventricolari complesse e una frazione di eiezione ventricolare sinistra maggiormente ridotta. L’introduzione nel modello delle patologie associate, oltre all’esclusione della fibrillazione atriale, ha portato alla dimostrazione del ruolo significativo di bronco­pneumopatia cronica ostruttiva, diabete ed insufficienza renale. Il rischio relativo di mortalità associato all’età si riduceva da 1.65 nel modello univariato a 1.58 nel modello multivariato, con il 22.6% degli eventi potenzialmente spiegato dalle variabili associate (Tabella 2). L’analisi del database Clinical Service Project ha permesso così di ottenere risultati importanti nella definizione delle variabili che influenzano la mortalità in una popolazione ancora poco studiata, quella dei pazienti più anziani 23.




DEFIBRILLATORE IMPIANTABILE E QUALITÀ DELLA VITA
Le influenze di un ICD sulla qualità della vita e sul profilo emozionale sono correlate alle condizioni del paziente precedenti all’impianto e all’evoluzione dello stato di malattia24.
Da un’ampia revisione della letteratura che ha incluso 45 studi e più di 5000 pazienti, è risultato che un disturbo depressivo ha una prevalenza variabile tra l’11% e il 28%. Analogamente, sintomi attribuibili ad ansia erano presenti in una percentuale compresa tra l’11% e il 26% della casistica25. Su questa condizione di base agiscono poi gli effetti del trattamento. A questo proposito, i diversi studi sembrano concordare sul fatto che uno scadimento significativo della qualità della vita si verifichi dopo erogazione di almeno 5 shock26; in altre esperienze è stata osservata tuttavia una correlazione diretta continua tra numero di shock elettrici e peggioramento della qualità di vita27. L’interazione fra tutti questi fattori può portare nei pazienti con ICD allo sviluppo di una vera sindrome post-traumatica24.
I COSTI DELLA TERAPIA DI RESINCRONIZZAZIONE CARDIACA E DEL DEFIBRILLATORE IMPIANTABILE
L’analisi economica condotta sulla casistica di due studi importanti, il CARE-HF e il COMPANION, ha permesso di rispondere, anche se ancora in modo parziale, ad alcuni importanti quesiti sul rapporto tra età e rapporto costo-efficacia della CRT e dell’ICD. In particolare, quanto più è avanzata l’età, tanto più si riduce il beneficio in termini di anni di vita guadagnati aggiustati per qualità di vita. A 55 anni di età, ad esempio, la CRT e la CRT-D determinano un aumento di vita attesa di 7.4 ed 8.5 anni, rispettivamente. A 75 anni di età, il beneficio atteso è soltanto di 4.4 anni per la CRT e di 4.7 anni per la CRT-D 28. Rispetto alla terapia medica, l’utilizzo della sola CRT implica un costo per anno di vita guadagnato di 7139€ per impianto a 55 anni di età e di 7982€ per impianto a 75 anni. Le spese per anno di vita guadagnato sono nettamente superiori nel caso della CRT-D variando, in relazione all’età, dai 15 805€ per i più giovani ai 22 490€ per i più anziani28.
TERAPIA DI RESINCRONIZZAZIONE CARDIACA, DEFIBRILLATORE IMPIANTABILE E SCOMPENSO CARDIACO CRONICO TERMINALE
La decisione di impiego di dispositivi per il trattamento dello SCC terminale rappresenta un problema di grande attualità, ma ancora poco trattato in letteratura. Un recente lavoro condotto sulla casistica del MADIT II ha permesso di valutare le differenze fra i due tipi di terapia in termini di qualità della vita. Infatti, i pazienti che nello studio avevano ricevuto il solo ICD, rispetto a coloro che avevano ricevuto un dispositivo CRT-D, avevano, dopo un follow-up di 2.4 anni, punteggi significativamente inferiori in tutti i domini del Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire, strumento nel quale un punteggio più elevato indica migliore qualità della vita. Le differenze tra i due tipi di trattamento erano già evidenti dopo 6 mesi dall’impianto e continuavano ad essere osservabili fino a 2.5 anni di follow-up 29. Date queste premesse, ben si comprendono le raccomandazioni della European Heart Rhythm Association che, in un documento indirizzato alla gestione dei dispositivi nei pazienti con SCC terminale, hanno messo in evidenza che: 1) due terzi dei decessi in questa condizione è spesso preceduto da una lunga traiettoria di malattia, in cui è probabile lo sviluppo di gravi condizioni (es. ipossia tessutale, sepsi, dolore, disturbi elettrolitici) potenzialmente associate all’insorgenza di aritmie gravi con erogazione di uno shock; 2) in questo stato clinico, l’ICD può diventare particolarmente doloroso e dare origine a stress, ma non è efficace nel prolungare una vita di qualità accettabile; 3) quando un paziente muore dopo spegnimento di un ICD, il decesso è dovuto alla malattia di base; 4) lo spegnimento di un ICD è quindi eticamente possibile; 5) al contrario, la normale stimolazione di un pacemaker non è dolorosa, previene la bradicardia e la conseguente disfunzione dei principali apparati, quindi migliora la qualità della vita e, in questo, risponde ai principi delle cure palliative 30. In un documento recente, l’American Heart Association concorda con queste conclusioni24.
In conclusione, CRT ed ICD rappresentano dispositivi particolarmente efficaci nel trattamento dello SCC dei pazienti di tutte le età. Attualmente, le principali evidenze cliniche nel paziente anziano derivano però da studi osservazionali che, proprio perché fondati sull’analisi di database di ampie proporzioni originati dal mondo reale, hanno importanti bias nella selezione della casistica e quindi, almeno in teoria, nelle loro conclusioni. È necessario così che studi futuri – prendendo spunto dagli incoraggianti risultati degli studi osservazionali basati su registri – siano diretti ad analizzare i potenziali benefici di questi trattamenti in età avanzata, considerando l’influenza della comorbosità cronica e valutando, al tempo stesso, outcome propri della cardiologia (es. effetti sulla frazione di eiezione ventricolare sinistra, entità del rimodellamento del ventricolo sinistro, classe funzionale NYHA) insieme ad altri più propri della geriatria (es. effetti su qualità di vita, autonomia e profilo cognitivo). Dovranno infine essere affrontati più approfonditamente gli aspetti riguardanti i costi e le implicazioni etiche di trattamenti che, se non propriamente utilizzati, possono, nel prolungare la vita, aumentare lo stress psico-emozionale e il dolore 31.
RIASSUNTO
La rilevanza epidemiologica e clinica dello scompenso cardiaco cronico (SCC) è sempre più importante per l’invecchiamento della popolazione. Nonostante i progressi raggiunti dalla terapia medica, la prognosi dello SCC è gravata ancora da una mortalità elevata. L’introduzione nella pratica clinica degli stimolatori per la resincronizzazione cardiaca (CRT) e del defibrillatore impiantabile (ICD) ha determinato una riduzione significativa della mortalità per SCC. Nonostante i dati epidemiologici e clinici, in letteratura sono presenti poche evidenze sull’utilità di CRT e ICD in età avanzata, generalmente ottenute da studi osservazionali. Per quanto riguarda la CRT, lo studio InSync/InSync ICD, condotto su 1787 pazienti, ha dimostrato che non esistono differenze età-correlate nella prevalenza di responder al trattamento (60% circa) e nell’incidenza di complicanze procedurali (11%). Per quanto riguarda l’ICD, nei 6311 pazienti dell’Italian Clinical Service Project, è stato possibile osservare che il 22.6% dell’eccesso di mortalità nei più anziani era attribuibile alla comorbosità. Devono essere ancora chiariti gli effetti di CRT e ICD in relazione all’età, qualità della vita, livello di autonomia e profilo cognitivo; questo permetterà di analizzare più compiutamente aspetti etici e di costo-efficacia, essenziali per definire linee guida di trattamento per pazienti clinicamente complessi e a rischio di gravi complicanze.
Parole chiave. Anziani; Defibrillatore impiantabile; Prognosi; Scompenso cardiaco cronico; Terapia di resincronizzazione cardiaca.
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