Fibrillazione atriale e nuovi anticoagulanti:
rivoluzione terapeutica?

Giuseppe Di Pasquale1, Cesare Proto2, Letizia Riva1
1UO Cardiologia, Ospedale Maggiore, Azienda USL di Bologna, Bologna
2UO Cardiologia, Istituto Clinico S. Anna, Brescia
Oral anticoagulant therapy (OAT) with vitamin K antagonists significantly reduces thromboembolic risk in patients with atrial fibrillation (AF), but is associated with increased hemorrhagic risk. In older patients, despite a higher hemorrhagic risk, the net clinical benefit is in favor of OAT. In clinical practice, however, underuse of OAT and suboptimal quality control, with unsatisfactory INR time in therapeutic range, are frequently reported. This is particularly true in older patients with AF, despite the fact that they are at higher risk of thromboembolic events. New oral anticoagulants (NOAs) are represented by direct thrombin inhibitors (dabigatran) or direct Xa factor inhibitors (rivaroxaban, apixaban). In phase III studies, NOAs have shown at least a non-inferiority to warfarin in thromboembolic risk reduction in AF patients and are also associated with a reduction in life-threatening bleedings, in particular intracranial bleedings. In addition, NOAs are administered in daily fixed doses and do not require regular INR monitoring. For all these reasons, NOAs will likely replace warfarin in the elderly in the next future.
Key words. Atrial fibrillation; Elderly; Hemorrhagic risk; Oral anticoagulants; Thromboembolic risk.


I nuovi anticoagulanti orali (NAO), inibitori diretti della trombina (dabigatran) e inibitori diretti del fattore Xa (rivaroxaban, apixaban), negli studi di fase III hanno dimostrato almeno una non inferiorità nei confronti del warfarin nella riduzione del rischio tromboembolico della fibrillazione atriale (FA). Inoltre hanno comportato una riduzione dei sanguinamenti fatali, in particolare delle emorragie intracraniche. I NAO presentano il vantaggio di essere somministrabili in dosi fisse giornaliere e di non richiedere il monitoraggio periodico dell’ international normalized ratio (INR). Negli anziani pertanto i NAO potrebbero diventare in futuro il trattamento anticoagulante di scelta.
Numerosi trial clinici randomizzati e successive metanalisi hanno dimostrato che la terapia anticoagulante orale (TAO) con warfarin è altamente efficace nella prevenzione primaria e secondaria dell’ictus nei pazienti affetti da FA1,2. Con il warfarin si ottiene una riduzione del rischio di ictus del 64%3, controbilanciata però da un aumento delle emorragie maggiori, pari all’1.2% per anno nei trial, ma molto maggiore nei registri. Il timore delle emorragie costituisce la remora principale per l’utilizzo della TAO, soprattutto nei pazienti anziani, per i quali esiste sicuramente un aumentato rischio emorragico connesso alla TAO4. Questo spiega l’apparente paradosso che i pazienti ultra75enni, esposti ad un maggior rischio di ictus in presenza di FA, sono proprio quelli meno trattati. Complessivamente, soltanto la metà dei pazienti affetti da FA sono effettivamente trattati con warfarin e nei soggetti anziani il sottoutilizzo è ancora maggiore5.
Sono stati recentemente pubblicati i risultati dello studio multicentrico osservazionale ATA-AF6, in cui sono stati valutati, nel periodo compreso tra maggio e luglio 2010, i pazienti con FA afferiti a 164 cardiologie e 196 reparti di medicina interna, rappresentativi in termini di distribuzione geografica della realtà ospedaliera italiana. I pazienti arruolati avevano un’età mediana di 77 anni e nel 47% dei casi erano femmine. Per la prevenzione del rischio tromboembolico la TAO è stata prescritta soltanto nel 58.8% dei casi, ed in assenza di correlazione con il CHA 2DS2-VASc score. La prescrizione della TAO è risultata influenzata maggiormente dall’età (66.2% nei pazienti di età ≤75 anni vs 53.1% nei pazienti di età >75 anni, p<0.0001) (Figura 1), dal tipo di FA (64.3% nei casi di FA permanente, 69.6% nei casi di FA persistente e soltanto 37.4% nei pazienti con FA parossistica, p<0.0001) e dalla strategia terapeutica adottata (63.2% in caso di strategia di controllo della frequenza vs 59.7% in caso di strategia di controllo del ritmo, p<0.0001).



In letteratura, peraltro, è stato dimostrato che nei pazienti affetti da FA il beneficio clinico netto che si ottiene con la TAO aumenta con l’età7. Nel 2007 lo studio BAFTA ha dato ulteriore supporto all’efficacia e alla sicurezza del warfarin nel trattamento di 973 pazienti con FA di età ≥75 anni (età media 81.5 ± 4.2 anni)8. L’incidenza annua di eventi tromboembolici è risultata dell’1.8% nei pazienti trattati con warfarin e del 3.8% in quelli trattati con aspirina, con un rischio relativo (RR) di 0.48 (p=0.003), in assenza di un significativo aumento del rischio emorragico. L’incidenza annua di emorragie maggiori, infatti, non è stata diversa tra i due trattamenti, rispettivamente 1.9% per il warfarin e 2.0% per l’aspirina. In uno studio prospettico italiano pubblicato nel 2011 la sicurezza del warfarin è stata inoltre dimostrata in un’ampia casistica (4093 pazienti) di ultra80enni in TAO per FA o per tromboembolia venosa seguiti nei Centri di Sorveglianza della TAO 9. È stato riportato un rischio annuo di emorragie maggiori dell’1.87% e di emorragie fatali dello 0.27%. Pertanto, l’età avanzata di per sé non deve essere considerata una controindicazione alla TAO negli anziani con FA. Recentemente, uno studio nord-americano ha documentato che l’impiego di warfarin in pazienti con FA di età >70 anni si associa ad una riduzione di mortalità (hazard ratio 0.58, p<0.001), in assenza di sanguinamenti maggiori (hazard ratio 0.73, p=0.229) 10. Se la TAO viene accuratamente condotta, con l’esclusione dei soggetti ad elevato rischio emorragico, anche negli ultra75enni con FA i benefici risultano ampiamente superiori ai rischi.
In letteratura, è peraltro riportata in molti pazienti una inadeguata qualità dell’anticoagulazione. Anche attuando frequenti monitoraggi ed aggiustamenti della dose, i pazienti in trattamento con warfarin risultano per oltre un terzo del tempo al di fuori del target terapeutico (tempo nel range terapeutico, TTR)11. Una metanalisi di studi pubblicati tra il 2005 ed il 2008 ha evidenziato che complessivamente i pazienti con FA sono solo per il 55% del loro tempo con INR all’interno del TTR12. Dati italiani recentemente pubblicati di registri amministrativi dimostrano che nel nostro Paese il TTR medio dei pazienti warfarin-naïve è 47.9%, mentre quello dei pazienti warfarin-experienced è 56.3% (Tabella 1). Entrambi questi valori rimangono al di sotto del valore considerato soddisfacente (60%)13.
In questo scenario si colloca l’introduzione dei NAO, studiati e sviluppati a seguito dei noti limiti della TAO con warfarin (lento inizio d’azione, risposta non prevedibile, stretta finestra terapeutica, necessità di monitoraggio routinario dei fattori della coagulazione e numerose interazioni farmacologiche ed alimentari), e del conseguente sottoutilizzo nei pazienti affetti da FA.



I NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI
I NAO sono rappresentati dagli inibitori diretti orali della trombina (dabigatran) e del fattore Xa (rivaroxaban e apixaban), la cui efficacia e sicurezza sono state testate dapprima nella prevenzione della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare in pazienti sottoposti a chirurgia elettiva dell’anca o del ginocchio.
Dal 2009 ad oggi sono stati pubblicati tre studi di fase III nei quali i NAO sono stati confrontati con il warfarin nella prevenzione del rischio tromboembolico associato alla FA (Figura 2).
Dabigatran
Il dabigatran è un inibitore diretto orale reversibile della trombina, caratterizzato da una biodisponibilità del 6.5%, un’emivita plasmatica di 12-17h ed eliminazione renale per l’80%. Nello studio RE-LY14-16 il dabigatran è risultato non inferiore al warfarin a dosi aggiustate (INR 2.0-3.0) al dosaggio di 110 mg bid (RR 0.91, p<0.001) e superiore al warfarin a dosi aggiustate al dosaggio di 150 mg bid (RR 0.66, p<0.001) nella riduzione del rischio tromboembolico di 18 113 pazienti affetti da FA non valvolare. L’impiego di dabigatran 150 mg si è inoltre associato ad una riduzione statisticamente significativa dell’incidenza di ictus ischemico. Per quanto riguarda l’endpoint di sicurezza l’incidenza di sanguinamenti maggiori rispetto al warfarin è risultata inferiore con il dosaggio 110 mg bid (RR 0.80, p=0.003) e sovrapponibile con il dosaggio 150 mg bid. L’incidenza di sanguinamenti cerebrali correlata all’utilizzo di dabigatran è risultata significativamente inferiore (riduzione del 60% circa) rispetto a quella in corso di warfarin, indipendentemente dal dosaggio del farmaco e dall’età dei pazienti. È da sottolineare il fatto che all’interno dello studio RE-LY più di un terzo dei pazienti (in totale, 7258) aveva un’età >75 anni. In tale sottogruppo il dabigatran al dosaggio di 150 mg bid ha comportato un rischio emorragico superiore a quello del warfarin (5.10 vs 4.37%/anno), mentre al dosaggio di 110 mg bid il rischio di sanguinamenti è risultato sovrapponibile a quello del warfarin (4.43 vs 4.37%/anno, p<0.001) (Figura 3) 17. Gli stessi dati sono stati confermati in un’analisi post-hoc sui pazienti “very elderly” (ovvero ultra80enni; in totale, 3016) dello studio RE-LY, rispettivamente ≥80 anni (17%), ≥85 anni (4%) e ≥90 anni (0.4%)18. Il rischio annuo di emorragie maggiori associato all’impiego di dabigatran 110 mg bid è risultato 5.25%, sovrapponibile a quello del warfarin (4.7%), mentre quello associato all’uso di dabigatran 150 mg bid è risultato superiore a quello del warfarin (6.24%). Pertanto, negli anziani è raccomandato l’utilizzo della posologia di 110 mg bid. Un dato assolutamente importante in proposito è la sovrapponibilità dei risultati del confronto dabigatran-warfarin nei pazienti warfarin-naïve ed in quelli warfarin-experienced, rappresentati in percentuali simili all’interno del braccio dei pazienti randomizzati al warfarin19. In una successiva sottoanalisi dello studio RE-LY, il dabigatran è inoltre risultato almeno non inferiore al warfarin anche nel sottogruppo di pazienti con pregresso ictus o attacco ischemico transitorio (TIA), popolazione nella quale risulta particolarmente rilevante la riduzione dell’ictus emorragico in confronto al warfarin20.







Rivaroxaban
Il rivaroxaban è un inibitore diretto orale del fattore Xa con elevata biodisponibilità (80%) ed emivita plasmatica di 7-11h, che presenta il vantaggio, rispetto agli altri NAO, della monosomministrazione giornaliera. È metabolizzato per due terzi nel fegato e per un terzo è eliminato per via renale.
L’efficacia del rivaroxaban nella FA è stata valutata nello studio ROCKET AF21 nel quale 14 171 pazienti con FA sono stati randomizzati a ricevere rivaroxaban 20 mg/die, ridotto a 15 mg/die nei pazienti con insufficienza renale moderata (clearance della creatinina 30-49 ml/min), oppure warfarin (INR 2.0-3.0). I pazienti con FA inclusi nello studio ROCKET AF erano caratterizzati da un profilo di rischio tromboembolico maggiore rispetto a quelli dello studio RE-LY (CHADS2 score ≥3 nell’87 vs 32% nel RE-LY, e pregresso ictus o TIA nel 55 vs 20% nel RE-LY). Il rivaroxaban è risultato non inferiore al warfarin, con un tasso annuale di ictus ed embolia sistemica del 2.12 vs 2.42% (p<0.001) riportato con il warfarin. Gli eventi emorragici correlati all’impiego del NAO sono risultati numericamente sovrapponibili a quelli del warfarin, ma con una significativa riduzione dei sanguinamenti fatali (0.2 vs 0.5%/anno, p=0.003) e cerebrali (0.5 vs 0.7%/anno, p=0.02). Il rivaroxaban inoltre, in considerazione della ridotta quota di eliminazione per via renale, si è dimostrato particolarmente sicuro nei pazienti affetti da insufficienza renale di grado moderato ( clearance della creatinina 30-49 ml/min), che rappresenta la comorbosità più frequente nel soggetto anziano22.
Apixaban
L’apixaban è un inibitore diretto orale del fattore Xa a rapido assorbimento, con biodisponibilità del 66%, escreto soltanto per il 25% per via renale.
È stato dapprima testato vs aspirina nello studio AVERROES (studio di superiorità) in pazienti affetti da FA non eleggibili per la TAO. Lo studio è stato prematuramente interrotto per l’evidenza di superiorità, peraltro attesa, di apixaban al dosaggio di 5 mg bid nella riduzione degli eventi tromboembolici rispetto all’aspirina a vari dosaggi (81-324 mg/die), con un tasso di emorragie maggiori ed in particolare intracraniche sovrapponibile per i due tipi di trattamento23.
In seguito, nell’ARISTOTLE l’apixaban è stato confrontato al dosaggio di 5 mg bid con il warfarin a dosi aggiustate (INR 2.0-3.0) in pazienti affetti da FA e con un fattore di rischio per l’ictus ischemico24. Nel trial, il NAO veniva testato ad un dosaggio ridotto (2.5 mg bid) nei pazienti ad elevato rischio emorragico (ovvero in presenza di due o tre dei seguenti criteri: età ≥80 anni, peso ≤60 kg, creatinina ≥1.5 mg). Apixaban è risultato superiore al warfarin nella prevenzione di ictus ed embolie sistemiche (1.27 vs 1.60%/anno, p=0.01). Tale superiorità è stata documentata anche per l’endpoint di sicurezza, con una riduzione significativa delle emorragie maggiori (2.13 vs 3.09%/anno, p<0.001) e delle emorragie cerebrali (0.33 vs 0.80%/anno, p<0.001). L’efficacia e la sicurezza dell’apixaban sono risultate ancora più significative nel sottogruppo di pazienti affetti da FA con precedente ictus o TIA, come dimostra una sottoanalisi dello studio ARISTOTLE, in cui la riduzione annua del rischio di eventi tromboembolici rispetto al warfarin è risultata essere 0.77% (vs 0.22% nei soggetti affetti da FA senza ictus/TIA anamnestico) 25.
Edoxaban
Il panorama dei NAO si arricchirà ulteriormente, nel corso dei prossimi anni, di una nuova molecola, l’edoxaban, un inibitore diretto del fattore Xa con elevata biodisponibilità (62%), escreto per il 50% per via renale che coniuga il vantaggio della monosomministrazione (caratteristica propria anche a rivaroxaban) con la possibilità dell’aggiustamento del dosaggio (caratteristica propria anche a dabigatran).
Entro il 2013 sono attesi i risultati dello studio di fase III ENGAGE AF-TIMI 4826, nel quale circa 20 000 pazienti con FA ad elevato rischio tromboembolico (CHADS2 score ≥2) sono stati randomizzati a ricevere edoxaban 30 mg/die o 60 mg/die, confrontato con il warfarin a dosi aggiustate (INR 2.0-3.0) con l’obiettivo di dimostrarne la non inferiorità.
Nonostante i risultati siano ancora attesi e, quindi, non sia possibile al momento un confronto di efficacia e sicurezza rispetto agli altri NAO, per il duplice, contemporaneo vantaggio della monosomministrazione e della possibilità di aggiustamento posologico, potrebbe rappresentare un’opzione terapeutica particolarmente indicata negli anziani, nei quali queste caratteristiche potrebbero garantire maggiore aderenza e migliore personalizzazione del trattamento anticoagulante in base alle comorbosità presenti.
VANTAGGI DEI NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI
In aggiunta alla dimostrazione di ampia efficacia e sicurezza, i NAO si distinguono dal “vecchio” warfarin per la non necessità di monitoraggio dei livelli di scoagulazione e per la possibilità di essere assunti in dosi giornaliere fisse. Questi due aspetti risultano particolarmente rilevanti nel soggetto anziano, in cui frequentemente la TAO non viene prescritta non per reali controindicazioni cliniche, bensì per difficoltà logistiche nel monitoraggio periodico dell’INR o per possibilità di scarsa compliance alla terapia, come riportato nel trial AVERROES23. Con l’impiego dei NAO, pertanto, verrebbero meno le più frequenti motivazioni di non utilizzo del warfarin e si andrebbe a colmare almeno in parte il sottotrattamento dei pazienti affetti da FA27.
Nei soggetti anziani, inoltre, i NAO potrebbero rappresentare l’anticoagulante di scelta in considerazione della significativa riduzione del rischio emorragico che comportano, ed in particolare dei sanguinamenti cerebrali e fatali. Recentemente, inoltre, è stato reso noto mediante un comunicato della Food and Drug Administration, che nel mondo reale i sanguinamenti secondari all’impiego di dabigatran negli anziani sono risultati meno frequenti di quelli osservati nel RE-LY28.
I pazienti anziani sono esposti infatti ad una maggior incidenza di eventi emorragici, dipendente dall’età e dalle comorbosità. A riguardo, in un recente studio di popolazione canadese è stata documentata un’incidenza di eventi emorragici in corso di trattamento con warfarin nettamente superiore a quella riportata nei trial clinici randomizzati. In una casistica di circa 125 000 soggetti ultra66enni affetti da FA, durante un follow-up di 10 anni, l’incidenza annua di emorragie è risultata 3.8% (vs 1-3% riportato nei trial). Come già noto in letteratura, è stato confermato che il maggior numero di eventi emorragici si è verificato nei primi 30 giorni dall’inizio della TAO (incidenza annua per persona pari all’11.8%) 29.
Negli anziani, comunemente in polifarmacoterapia per le comorbosità, i NAO presentano anche il vantaggio di avere poche interferenze farmacologiche con farmaci peraltro di non frequente impiego. Occorre infatti cautela nell’impiego dei NAO in associazione a potenti induttori o inibitori della glicoproteina P, quali claritromicina, verapamil, ketoconazolo e ciclosporina. Le concentrazioni plasmatiche di rivaroxaban ed apixaban inoltre possono essere influenzate dai forti induttori o inibitori del citocromo P450 isoforma CYP3A4 29.
Infine, i NAO risultano farmaci ampiamente maneggevoli data la breve emivita, con inizio e termine d’azione rapidi, che ne consentono la sospensione in caso di intervento chirurgico senza necessità di embricazione con eparina a basso peso molecolare.
POTENZIALI CRITICITÀ DEI NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI
Attualmente, nonostante il grande entusiasmo per l’introduzione nella pratica clinica dei NAO, rimangono da definire:
a) un sistema di monitoraggio laboratoristico in caso di eventi emorragici o trombotici;
b) la gestione dei sanguinamenti, data la mancanza di un antidoto per questi nuovi farmaci;
c) un sistema di sorveglianza dei pazienti per valutare l’aderenza alla terapia.
Dopo la somministrazione dei NAO, diversi test coagulativi risultano alterati, con un prolungamento del tempo di protrombina, del tempo di tromboplastina parziale attivato (aPTT), del tempo di trombina e del tempo di ecarina30. Questi ultimi due parametri sono i più affidabili per la determinazione quantitativa del livello di anticoagulazione ottenuto con dabigatran. Nei casi in cui i test quantitativi non siano disponibili, per dabigatran può essere utilizzato l’aPTT. Se quest’ultimo risulta >80 s, il rischio emorragico è elevato. L’intensità di scoagulazione ottenuta con rivaroxaban ed apixaban invece sembra correlare in maniera soddisfacente con le misurazioni del tempo di protrombina.
Per la gestione degli eventi emorragici, occorre fare delle distinzioni in base all’entità del sanguinamento. Se è lieve, disponendo di farmaci con breve emivita, è sufficiente procrastinare l’assunzione della dose successiva o sospendere temporaneamente il trattamento per arrestare il sanguinamento. In caso di emorragia di grado moderato/severo, deve essere mantenuta la volemia con infusione di liquidi e trasfusioni di plasma fresco congelato. Se il paziente è in terapia con dabigatran, possono essere utili la somministrazione di carbone attivato, per ridurne l’assorbimento gastrointestinale soprattutto se l’ultima dose è stata assunta entro le 2h precedenti, e l’emodialisi per rimuovere il farmaco dal circolo, data la consistente quota di escrezione per via renale (80%). In caso di eventi emorragici che potrebbero risultare fatali, per antagonizzare l’effetto anticoagulante viene consigliata la somministrazione di concentrati di complessi protrombinici (attivati e non attivati) e di fattore VII attivato ricombinante 31.
Infine, la criticità verosimilmente più rilevante per l’impiego dei NAO è rappresentata dall’identificazione di un sistema di sorveglianza clinica dei pazienti. La mancanza della necessità di un monitoraggio periodico dei parametri emocoagulativi può comportare il rischio di una sorveglianza non adeguata del paziente anticoagulato, che potrebbe non essere consapevole dell’importanza e dei rischi della nuova terapia. Pertanto, si rendono indispensabili:
a) un colloquio informativo con il paziente al momento della prima prescrizione dei NAO;
b) controlli clinici periodici (almeno ogni 3 mesi) per valutare la compliance, per registrare eventuali eventi emorragici anche minori non segnalati, e per verificare variazioni delle terapie concomitanti e modifiche significative nel tempo del rischio emorragico (comparsa di deficit cognitivi, insorgenza di nuove comorbosità, ecc.);
c) controlli ravvicinati della funzionalità renale. Negli anziani sono infatti particolarmente frequenti variazioni della creatinina per concomitante assunzione di farmaci interferenti e per tendenza alla disidratazione26.
Infine, il costo rappresenta un’altra potenziale criticità per l’impiego dei NAO nella comune pratica clinica, pur considerando il risparmio del monitoraggio laboratoristico periodico dell’INR necessario per il warfarin. Numerose analisi di costo-efficacia sono però risultate favorevoli all’utilizzo dei NAO, in considerazione della riduzione dei costi, che si ottiene anche attraverso la riduzione degli eventi tromboembolici ed emorragici32,33. Un’analisi di budget impact, recentemente pubblicata, che ha preso in considerazione in diversi scenari clinici il costo del dabigatran, il costo del monitoraggio dell’INR e quello degli eventi tromboembolici, ha confermato che nel nostro Paese l’impiego di dabigatran è economicamente sostenibile, consentendo perfino un risparmio per il Sistema Sanitario Nazionale nella gestione dei pazienti affetti da FA a partire dal secondo anno di trattamento rispetto all’utilizzo del warfarin 34.
PAZIENTI ELEGGIBILI AI NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI
Nei pazienti con FA di nuovo riscontro ed indicazione alla TAO (warfarin-naïve), i NAO si collocano come l’anticoagulante di scelta anche nella popolazione degli anziani e molto anziani35. Indicazioni prioritarie per i NAO sono rappresentate dai pazienti con difficoltà logistiche nell’effettuare il monitoraggio laboratoristico periodico o con pregresso ictus ischemico o emorragia intracranica.



Diverso è lo scenario dei pazienti con FA già in TAO (warfarin-experienced). Se il controllo della TAO è affidabile con un TTR soddisfacente (≥60%) può essere ragionevole non attuare uno switch immediato ai NAO, tranne che per espressa volontà del paziente.
Esiste tuttavia un significativo numero di pazienti, soprattutto anziani, nei quali la qualità della TAO non è soddisfacente (TTR <60%) per compliance non ottimale o per difficoltà logistiche nella gestione della terapia. Inoltre, non è raro il verificarsi di eventi tromboembolici o emorragici correlati ad ampie fluttuazioni dell’INR o anche in corso di TAO con INR in range terapeutico. In questi pazienti, che complessivamente costituiscono circa un terzo dei pazienti in TAO, è ragionevole lo switch dal warfarin ai NAO. Infine, la prescrizione dei NAO sarà sicuramente raccomandata in quell’ampia categoria di pazienti affetti da FA attualmente esclusi dalla TAO per un elevato rischio emorragico, oppure trattati con aspirina nell’erronea convinzione che la terapia antiaggregante comporti un rischio emorragico inferiore a quello della TAO36.
CONCLUSIONI
I NAO rappresentano una delle più importanti innovazioni terapeutiche dell’ultimo decennio. Complessivamente, come effetto di classe hanno dimostrato un’efficacia almeno non inferiore rispetto al warfarin nella riduzione degli eventi tromboembolici nei pazienti affetti da FA non valvolare e, allo stesso tempo, sono risultati sicuri, con una riduzione statisticamente significativa delle emorragie fatali, in particolare di quelle intracraniche (Figura 4)14,15,21,24. Il loro impiego, inoltre, si associa ad un trend di riduzione della mortalità. Pertanto negli anziani, che presentano un elevato rischio tromboembolico ed emorragico, rappresentano il trattamento anticoagulante di scelta, in considerazione anche delle difficoltà che l’utilizzo del warfarin presenta in questa categoria di pazienti.
RIASSUNTO
La terapia anticoagulante orale (TAO) con inibitori della sintesi di fattori della coagulazione K-dipendenti riduce significativamente il rischio tromboembolico nei pazienti con fibrillazione atriale (FA), ma comporta un aumento del rischio emorragico. Nei pazienti anziani è stato dimostrato che il beneficio clinico netto della TAO aumenta con l’età, nonostante un rischio emorragico maggiore. Pur con queste evidenze, nella pratica clinica si assiste ad un sottoutilizzo della TAO. Inoltre, il tempo trascorso all’interno del range terapeutico non risulta soddisfacente, con conseguente aumento del rischio tromboembolico ed emorragico. Il sottoutilizzo e la qualità subottimale del trattamento anticoagulante risultano più frequenti nei pazienti anziani. In questi, potrebbe essere particolarmente vantaggioso l’impiego dei nuovi anticoagulanti orali, che non richiedono monitoraggio sistematico del grado di anticoagulazione e, a parità – o in alcuni studi con superiorità – dell’effetto protettivo contro gli eventi cardioembolici, sembrano garantire anche un minor rischio di eventi emorragici maggiori.
Parole chiave. Anticoagulanti orali; Anziani; Fibrillazione atriale; Rischio emorragico; Rischio tromboembolico.
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