Cardiologi italiani e fumo di tabacco.
Survey su prevalenza e conoscenza del tabagismo
e delle strategie antifumo di una coorte
di cardiologi italiani
Anna Frisinghelli1, Francesca Cesana2, Piero Clavario3, Gian Francesco Mureddu4, Pier Luigi Temporelli5, Antonella Cherubini6, David Mocini7, Pino Fioravanti8, Francesco Fattirolli9, a nome dell’Area Prevenzione Cardiovascolare dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO)
1U.O. Cardiologia Riabilitativa, Ospedale di Passirana, A.O. G. Salvini, Garbagnate Milanese (MI)
2U.O. Cardiologia-UTIC, Ospedale San Gerardo, Monza (MB)
3U.O.C. Cardiologia Riabilitativa, Ospedale La Colletta, Arenzano (GE)
4U.O.C. Cardiologia III, A.O. San Giovanni-Addolorata, Roma
5Divisione di Cardiologia Riabilitativa, Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS, Istituto Scientifico di Veruno, Veruno (NO)
6Centro Cardiovascolare, Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 1 e Università degli Studi, Trieste
7U.O.C. Cardiologia, Ospedale San Filippo Neri, Roma
8Hippocrates Sintech, Genova
9Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi, AOU Careggi, Firenze
Background. Tobacco use is the single most preventable cause of death. Its cessation is the most cost-effective strategy for reducing long-term cardiovascular morbidity and mortality. Although both healthcare professionals and the general population are aware of the detrimental effects of smoking on health, more than 25% of Italians are current smokers. Recent surveys showed that almost 50% of smoker patients relapse to smoke after having been discharged for acute coronary syndrome. Physicians who smoke may be a barrier for effective cessation interventions. Thus, it is important to assess cardiologists’ attitude toward smoking habits and the implementation of smoking cessation programs.
Methods. The survey “Italian cardiologists and smoking habits” has been held in 2013 during the 44° National Congress of the Italian Association of Hospital Cardiologists (ANMCO) to assess cardiologists’ smoking status, their level of knowledge about smoking cessation interventions and their involvement in the management of smoking cessation. Out of more than 1200 cardiologists attending the ANMCO congress, 610 subjects (aged 51 ± 11 years) answered an anonymous 35-item questionnaire; they were asked to declare their smoking status (9.5% current smokers).
Results. Among doctors who attended the survey, 58% correctly indicated smoking as an addiction and 45% regularly advised their patients to stop smoking. The majority of cardiologists (93%) reported a positive attitude toward smoking cessation strategies, 62% of them thought that cardiologists themselves should treat smoking dependence, though specific tools (70%) and education for the management of smoking cessation are lacking (66%). Two thirds of the entire sample of ANMCO cardiologists declared their willingness to participate in specialized educational programs.
Conclusions. More than a half of Italian cardiologists are aware that smoking is an addiction. Although they feel themselves yet inadequate toward this approach, they are favorable to implement their own knowledge and skills toward smoking cessation.
Key words. Cardiovascular prevention; Cessation; Dependence; Risk factors; Smoking; Strategies.


INTRODUZIONE
Sebbene il consumo di tabacco sia la prima causa di morte eliminabile1, attualmente nel mondo vi sono oltre un miliardo di fumatori2. Nello studio INTERHEART, il fumo di sigaretta era responsabile del 35.7% del rischio attribuibile su popolazione per un primo infarto miocardico acuto3. Dati più recenti indicano che nel 2011 il fumo è stato direttamente responsabile nel mondo della morte di 6 milioni di persone, di cui ben 600 000 all’anno per esposizione a fumo passivo4. Secondo i calcoli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nei fumatori la percentuale di decessi attribuibili al consumo di tabacco varia tra il 25% e il 50% e, in media, ogni fumatore abituale perde circa 15 anni di vita. Il numero totale di decessi attribuibili al fumo di tabacco e correlati allo sviluppo di patologie cardiovascolari è destinato ad aumentare progressivamente, con un incremento di circa il 10% di decessi in tutto il mondo di cui l’80% nei paesi in via di sviluppo. Proiettando i dati alla decade 2020-2030, i morti da fumo nel mondo saranno 10 milioni ogni anno, un terzo dei quali da imputare a malattie cardiovascolari 5. È quindi evidente che il problema fumo ha proporzioni tali da richiedere interventi che travalicano i limiti attuali dei sistemi sanitari e chiamano in campo la capacità di risposta sia dei singoli medici che delle Associazioni Scientifiche.
A fronte di questi numeri e delle evidenze scientifiche disponibili, l’attenzione che i cardiologi mostrano al problema sembra essere a tutt’oggi ancora del tutto insufficiente. È noto da tempo che i fumatori colpiti da un evento cardiovascolare acuto ricominciano a fumare nel giro di qualche mese6-9. Dati recenti, che rispecchiano maggiormente la realtà italiana10, riportano che oltre la metà dei fumatori dimessi dopo sindrome coronarica acuta riprende a fumare e gran parte lo fa già nelle prime 3 settimane dopo la dimissione. Coloro che ricominciano a fumare mostrano un rischio di nuovi eventi nel primo anno di 3 volte superiore a coloro che si mantengono astinenti mentre in chi riprende nei primi 10 giorni dalla dimissione il rischio è addirittura quintuplicato. Di fronte a dati così rilevanti sul piano clinico e sociale i medici in generale, e i cardiologi in particolare, non sembrano mostrare un’adeguata motivazione ad affrontare in modo attivo e sistematico il problema tabagismo 9. Ne consegue che la correzione del fattore di rischio “fumo”, particolarmente in prevenzione secondaria, è ampiamente insufficiente sia in termini assoluti sia rispetto agli interventi che vengono abitualmente messi in atto sugli altri fattori di rischio, quali dislipidemia, ipertensione, diabete mellito7-9.
Una delle osservazioni apparentemente più scontate è che il medico fumatore sia meno proattivo ed efficace nel trattare il paziente fumatore. Non si hanno molti dati su quale sia realmente l’abitudine al fumo di coloro che, come i cardiologi, hanno una specifica responsabilità nell’affrontare questa condizione nei pazienti con cui vengono a contatto. Conoscere la prevalenza del tabagismo tra i cardiologi è di sicuro interesse, tuttavia sono molto limitati i dati rilevati direttamente tra gli specialisti italiani e non desunti da indagini non finalizzate a questo scopo. Lo studio italiano SOCRATES (Survey On Cardiac Risk profile And lyfesTylE habitS in a cohort of Italian cardiologists), che ha analizzato il profilo di rischio cardiovascolare di un’ampia coorte di cardiologi sia ospedalieri che extraospedalieri, ha riportato intorno al 10% la prevalenza del fumo tra i cardiologi italiani, valore al di sotto della media della popolazione generale ma ancora elevato se paragonato a quello dei medici dei paesi anglosassoni 10.
Sulla base di questi presupposti è stata realizzata la survey “Cardiologi italiani e fumo di tabacco” con la finalità di esplorare la prevalenza del fumo tra i cardiologi afferenti al Congresso Nazionale di Cardiologia ANMCO 2013, rilevando contemporaneamente l’ambito di attività professionale, il comportamento rispetto al fumo (se attuale o pregresso), le convinzioni personali circa il proprio ruolo nel trattare il cardiopatico tabagista, la conoscenza degli elementi base di fisiopatologia della dipendenza e, infine, l’interesse ad acquisire ulteriori conoscenze e competenze nel campo degli interventi di disassuefazione e di prevenzione delle recidive.
MATERIALI E METODI
All’interno degli spazi del 44° Congresso Nazionale ANMCO 2013 era stato allestito uno stand dedicato, ampiamente pubblicizzato mediante depliant esplicativo nella borsa congressuale, passaggio di messaggi sul network video congressuale e descrizione dell’iniziativa in alcuni dei simposi e delle sessioni del programma scientifico. I partecipanti venivano invitati a compilare un questionario realizzato su serie di i-Pad connessi a un server centrale.
Il questionario (vedi Appendice) era composto da 35 domande: le prime 6 esploravano le caratteristiche anagrafiche, demografiche e l’esercizio della professione, le successive 14 l’abitudine al fumo del partecipante. Le 6 domande che seguivano esploravano le conoscenza del medico sulla fisiopatologia della dipendenza da fumo di tabacco; le successive 5 indagavano le modalità di intervento sul paziente tabagico, sia dirette che indirette (ad es. attraverso i centri antitabacco). Le ultime 4 domande esploravano le convinzioni personali rispetto a quale sia la figura sanitaria responsabile dell’intervento di trattamento nel tabagista cardiopatico, e la fiducia del cardiologo sulle proprie conoscenze specifiche e sulla disponibilità di strumenti terapeutici adeguati. Il completamento della scheda elettronica richiedeva circa 5-10 min. La partecipazione alla survey era anonima; era comunque possibile indicare volontariamente i propri dati personali al fine di essere inserito in una mailing list alla quale successivamente si sarebbe fatto riferimento per iniziative di formazione sul trattamento del tabagismo.
RISULTATI
Degli oltre 1200 presenti al congresso, 751 hanno partecipato alla survey. L’analisi è stata successivamente condotta soltanto sui cardiologi, escludendo le risposte fornite da partecipanti di altre specialità mediche o di altre professioni sanitarie. Sono stati quindi analizzati i questionari completati da 610 cardiologi (51% dei partecipanti al congresso; età media 51 ± 11 anni, 74% maschi e 26% femmine), per la maggior parte ospedalieri (n=520, 85%), i restanti in egual misura ripartiti tra attività privata e territorio (7.5% per entrambi i gruppi). La distribuzione geografica dei partecipanti era omogenea rispetto al territorio nazionale: n=229 (37.5%) Nord; n=146 (24%) Centro; n=235 (38.5%) Sud e Isole.
I cardiologi fumatori attivi erano 58, pari al 9.5% del campione; il 36% (n=219) aveva smesso di fumare mentre oltre la metà non aveva mai fumato (54.5%, n=333) (Figura 1). La maggioranza degli ex fumatori (94%, n=205) aveva smesso da oltre 1 anno. La distribuzione dei cardiologi fumatori per età e genere è riportata in Tabella 1: sotto i 40 anni la percentuale di donne fumatrici è superiore a quella degli uomini, diversamente alle classi di età più avanzate, con un picco in entrambi i sessi intorno ai 55 anni. La maggior parte dei cardiologi (83%) dichiarava di fumare sigarette in quantità variabile, con numero compreso tra 1 e 30 al giorno; 8 fumavano sigaro e una minoranza pipa e sigaretta elettronica (Tabella 2).
Dall’analisi delle risposte sul significato soggettivo del fumare, il 58% dei cardiologi ritiene che il fumo sia una dipendenza, poco meno di un quarto che si tratti di un vizio, il 15% un’abitudine e una minoranza considera il fumo uno stile di vita (3%) (Figura 2A). Oltre il 50% degli intervistati ritiene che la dipendenza sia conseguente a una questione psicologica non legata direttamente all’assunzione di nicotina; il 30% ritiene invece che sia la nicotina a causare la dipendenza (Figura 2B). Oltre il 30% ritiene che la sindrome da astinenza non esista o al massimo duri qualche giorno (Figura 2C). Il 74% del campione sostiene che l’azione più efficace per ridurre il rischio cardiovascolare nel fumatore sia smettere di fumare, mentre solo una minoranza attribuisce maggiore importanza alla terapia con statina (18%) o aspirina (8%) per i fumatori trattati in prevenzione secondaria. L’86% degli intervistati ritiene che un programma di counseling strutturato abbia maggiori possibilità di successo per smettere di fumare rispetto alla terapia farmacologica.
Per favorire l’interruzione dell’abitudine tabagica il 55% dei cardiologi afferma che la strategia indicata sia consigliare al paziente di smettere di fumare, il 35% inviare il paziente a un centro antifumo e il 10% prescrivere una terapia personalizzata: tuttavia il centro antifumo per quasi la metà di coloro che lo indicherebbero o non è disponibile (25%) o non ne è nota l’esistenza (19%).
Un comportamento proattivo nei confronti di pazienti con cardiopatia ischemica che intendono smettere di fumare è messo in atto dal 45% dei cardiologi. La fiducia nei confronti dell’efficacia delle terapie per la disassuefazione da tabacco è elevata, pari complessivamente al 93% (Figura 3). Il 62% degli intervistati ritiene che sia il cardiologo a dover trattare il tabagismo, il 15% lo ritiene prerogativa del medico di medicina generale e il 12% del Centro Antitabacco. La maggioranza ritiene però di non avere strumenti (70%) o di non avere conoscenze sufficienti (66%) per affrontare efficacemente il problema: circa i due terzi degli intervistati dichiara di essere interessato a partecipare a programmi di formazione specifici sul tema del tabagismo.















DISCUSSIONE
La dipendenza da fumo di tabacco è condizione diffusa in molti paesi del mondo; in Europa centrale e orientale, il fumo di tabacco riguarda più di un terzo degli adulti (sia uomini che donne), ma una prevalenza altrettanto elevata si ha anche nelle regioni settentrionali e occidentali dell’Europa4.
Per attuare un’efficace attività di controllo, l’OMS propone un pacchetto di 5 strategie di azione: ambienti “smoke-free” in cui il fumo sia interdetto; programmi di sostegno per chiunque intenda smettere di fumare; avvertenze grafiche sui pericoli del tabacco per la salute dei fumatori; divieto di pubblicità, promozione e sponsorizzazione; aumento delle tasse sul tabacco. Circa il 50% dei paesi nel mondo non ha implementato alcuna delle azioni proposte, nonostante tali strategie evidenzino un buon rapporto costo-efficacia, risultando che solo il 5% della popolazione mondiale vive in paesi che applicano almeno una di queste iniziative 5.
Il problema del fumo di tabacco è ancora più rilevante in prevenzione cardiovascolare secondaria; in questo caso, infatti, vi è l’evidenza molto forte dell’entità del beneficio che si otterrebbe dalla disassuefazione a breve termine. La cessazione dell’abitudine al fumo comporta una riduzione degli eventi del 25% nei pazienti dopo un infarto miocardico acuto6 e benefici altrettanto consistenti sono stati descritti dopo intervento di bypass aortocoronarico11. In generale in prevenzione secondaria, soprattutto se associata ad altri interventi di modifica degli stili di vita, la cessazione del fumo risulta correlata a una riduzione del rischio di infarto miocardico acuto di oltre il 40%12.
La Cardiologia dunque è chiamata in causa direttamente quando, anziché sulla popolazione generale dei fumatori, si fa riferimento a soggetti con elevato profilo di rischio: in questo caso, la responsabilità del medico è ancora più rilevante, in quanto il singolo intervento finalizzato a ottenere la cessazione del fumo ha dimostrato un’efficacia superiore a qualsiasi altra terapia farmacologica.
Poiché i cardiologi sono spesso chiamati a gestire le modifiche degli stili di vita e a trattare i fattori di rischio, è importante conoscere il loro atteggiamento personale verso il fumo di sigaretta, in quanto in grado di influenzare i comportamenti terapeutici e aiutare a comprendere quali azioni siano più indicate per ottenere e rafforzare l’attenzione al problema e la messa in atto sistematica di strategie di intervento.
La survey, finalizzata a indagare l’atteggiamento del cardiologo relativamente al tabagismo, ha esplorato l’ambito professionale (anno di laurea e specialità, ambito in cui esercita la professione, eventuale settore di attività); la presenza o assenza dell’abitudine tabagica e, se fumatore, la definizione del profilo di dipendenza; il grado di conoscenza degli elementi essenziali della fisiopatologia della dipendenza tabagica e delle opzioni terapeutiche farmacologiche e non, per le quali esistono evidenze scientifiche consolidate; l’atteggiamento relativamente alla presa in carico diretta della dipendenza tabagica.
Il campione che ha partecipato alla survey è sufficientemente rappresentativo per numerosità, esprimendo infatti una popolazione relativamente omogenea di soli specialisti cardiologi impegnati nel principale congresso nazionale di settore. Il cardiologo giovane (età <40 anni) nel campione esaminato è risultato meno spesso fumatore rispetto al più anziano (età media del fumatore 53 ± 9 anni), e per questo aspetto potrebbe forse essere un “role model” per i pazienti. Tuttavia, seppure su un numero non molto ampio, questo sembra meno vero nel sesso femminile: le cardiologhe di età <40 anni sono infatti molto più spesso fumatrici rispetto ai colleghi maschi della stessa età, contribuendo in misura minore al potenziale modello positivo del giovane cardiologo.
Dai dati esaminati è emerso che solo poco più della metà dei cardiologi ritiene che il fumo sia una dipendenza, come classificato dall’OMS e come tale una malattia cronica recidivante. La consapevolezza che il tabagismo sia una dipendenza è molto importante e fornisce strumenti e chiavi interpretative migliori rispetto a una prospettiva che lo consideri un vizio, uno stile di vita o una semplice attitudine. Se il fumo è un vizio, allora l’individuo può scegliere se utilizzarlo o no. Se il fumo è una dipendenza, allora il “paziente” è affetto da una malattia, subisce una pressione che lo spinge verso l’uso e deve pertanto utilizzare tecniche specifiche e farmaci specifici per sostenere la decisione di smettere di fumare altrimenti ha un’elevata probabilità di fallimento. Se ne deduce un’insufficiente conoscenza non tanto da un punto di vista tassonomico, quanto nell’identificazione di un aspetto dell’intervento sanitario che deve essere finalizzato alla prevenzione o al contenimento degli effetti di una malattia con così gravi ed estesi effetti diretti e indiretti.
In parziale contrasto con questo dato, è elevata la prevalenza di coloro che esprimono fiducia nei confronti dell’efficacia delle terapie per la disassuefazione da tabacco e che pensano esistano possibilità di trattamento efficaci; essi ritengono tuttavia che le proprie conoscenze a questo riguardo siano ancora insufficienti, così come è ritenuta insufficiente l’attitudine alla prescrizione di terapie farmacologiche di supporto alla ­dis­assuefazione, e insufficiente la presenza sul territorio degli ambulatori antifumo, con accesso non strutturato in percorsi predefiniti o facilitati.
Da alcuni studi, che hanno cercato di esaminare l’attitudine degli operatori sanitari a trattare il fumo, risulta che i medici fumatori sono meno disposti ad implementare iniziative di cessazione del fumo sui propri pazienti13. Un recente studio italiano condotto tramite piattaforma informatica sull’attitudine dei medici di medicina generale ad assistere i loro pazienti nel percorso di cessazione del fumo ha evidenziato che, nonostante un atteggiamento dichiaratamente positivo nei confronti del problema, in Italia i medici di medicina generale non sono preparati a offrire ai loro pazienti l’assistenza necessaria14. Analoghe indicazioni provengono da una survey condotta in Francia sul livello di conoscenza e sulla capacità gestionale del fumo, attraverso l’invio a domicilio di un questionario a 1000 cardiologi. Hanno risposto 371 specialisti che risultavano raramente coinvolti nella gestione della cessazione del fumo: solo il 29% si considerava ben informato e il 40% dichiarava di mettere in atto una strategia di counseling minima, ma in realtà solo il 7.3% era in grado di descrivere correttamente tale strategia 15.
Una metanalisi del 2014 ha ulteriormente confermato la relazione tra status di fumatore del medico e prescrizione di strategia antifumo ai pazienti: è emerso che il medico fumatore è meno propenso, rispetto al non fumatore o all’ex fumatore, a insistere con il counseling affinché il proprio assistito smetta di fumare, mentre è più orientato, rispetto ai colleghi non fumatori, a inviare il paziente a programmi strutturati per la cessazione del fumo16.
Altri studi sono stati rivolti sia verso medici che verso altre figure sanitarie17,18 in regioni europee ad elevata prevalenza di fumatori. I medici mostrano un comportamento meno proattivo nell’implementare strategie di counseling antifumo rispetto al personale infermieristico. Tuttavia la formazione in questo ambito risulta comunque carente: una rilevazione ad hoc effettuata presso il Corso di Laurea delle Professioni Sanitarie dell’Università di Catania, utilizzando i questionari autosomministrati della Global Health Professional Student Survey (GHPSS), ha mostrato una quasi unanime convinzione sul fatto che gli studenti delle professioni sanitarie debbano ricevere una formazione specifica per la disassuefazione dal fumo, tuttavia solo il 21% dichiarava di averla ricevuta durante il corso di studi19.
Limiti dello studio
Lo studio possiede un limite importante, consistente in un errore di selezione dei partecipanti. Poiché questi non sono stati estratti a sorte tra congressisti ma reclutati in base alla loro disponibilità a partecipare è possibile, anzi probabile, che un certo numero di cardiologi fumatori non vi abbia volutamente preso parte. Questo limite rende probabilmente sottostimati i dati relativi alla prevalenza del fumo tra i cardiologi italiani ma non ne inficia invece gli altri risultati riportati.
I risultati riportati dalla survey sottolineano l’importanza di porre l’attenzione sull’aspetto formativo sulle strategie per la cessazione del fumo, in particolare degli specialisti in Cardiologia, che hanno espresso difficoltà nell’affrontare il “problema fumo”. Anche se un numero consistente di cardiologi dichiara che avrebbe un comportamento proattivo nei confronti di pazienti che intendono smettere di fumare e la larga maggioranza ritiene che sia il cardiologo a dover trattare il tabagismo, la mancanza di formazione e di strumenti e strategie standardizzate sembra essere la causa principale che limita l’adozione di comportamenti terapeutici strutturati e appropriati. La maggior parte dei cardiologi che ha partecipato alla survey ha dichiarato il proprio interesse all’approfondimento delle proprie conoscenze riguardo al trattamento del tabagismo; questo atteggiamento positivo potrà essere la base di partenza di programmi formativi ed educativi specifici.
RIASSUNTO
Razionale. L’uso di tabacco è la prima causa di morte eliminabile del mondo occidentale; la sua abolizione è l’intervento di prevenzione cardiovascolare più efficace in assoluto. Sebbene nella popolazione generale e tra gli operatori sanitari ciò sia ampiamente noto, il fumo riguarda ancora circa un quarto degli italiani: in modo ancor più rilevante, le osservazioni sulla storia naturale del fumatore dopo sindrome coronarica acuta evidenziano come più del 50% dei pazienti riprenda a fumare dopo l’evento. Poiché il medico dovrebbe avere il ruolo centrale nell’affrontare il problema tabagismo nei pazienti, è utile conoscere quanto i cardiologi siano proattivi nel trattare il paziente fumatore e la loro disposizione a implementare programmi per la disassuefazione dal fumo.
Materiali e metodi. La survey “Cardiologi italiani e fumo di tabacco” è stata realizzata nel 2013 nell’ambito del 44° Congresso Nazionale ANMCO con la finalità di esplorare la prevalenza del tabagismo tra i cardiologi, l’ambito di attività e l’atteggiamento del professionista rispetto al fumo e al trattamento del cardiopatico tabagista, le conoscenze e le competenze attuali e l’eventuale interesse ad acquisirne ulteriori. Un questionario anonimo articolato su 35 domande (con la possibilità di indicare i propri dati per iniziative di formazione) è stato compilato da 610 cardiologi (50% dei congressisti; età media 51 ± 11 anni; 9.5% fumatori).
Risultati. Il 58% degli intervistati ha correttamente indicato il fumo come una dipendenza; il 45% ha un comportamento proattivo nei confronti di pazienti con cardiopatia ischemica che intendono smettere di fumare. La fiducia dei cardiologi nell’efficacia delle terapie per la disassuefazione da tabacco è elevata (93%); il 62% ritiene che sia il cardiologo a dover trattare il tabagismo, ma pensa di non avere strumenti (70%) né conoscenze (66%) sufficienti. Due terzi del campione parteciperebbe a programmi di formazione.
Conclusioni. I cardiologi ospedalieri in prevalenza riconoscono il fumo come malattia; pensano che siano disponibili trattamenti efficaci ma ritengono di avere conoscenze e strumenti ancora insufficienti ad attuarle.
Parole chiave. Cessazione; Dipendenza; Fattori di rischio; Fumo; Prevenzione cardiovascolare; Rischio cardiovascolare; Strategie di disassuefazione.






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