In questo numero

processo ai grandi trial




MATRIX: nuove conferme sull’utilizzo dell’arteria radiale come miglior accesso vascolare e sull’utilizzo della bivalirudina nel paziente a rischio emorragico
Fabio Tarantino, Andrea Pavei e Carlo Trani ci spiegano i risultati del trial italiano MATRIX che ha dimostrato, arruolando 8404 pazienti con sindrome coronarica acuta, che l’approccio radiale è superiore all’accesso femorale per l’esecuzione dell’angiografia diagnostica e della procedura interventistica. Tale approccio infatti è risultato associato ad una riduzione dei sanguinamenti legati al sito di accesso e ad una riduzione della mortalità per ogni causa (-0.6% in termini assoluti). Ci vengono anche anticipati i risultati relativi alla parte farmacologica del trial MATRIX, dove la bivalirudina è stata confrontata con l’eparina non frazionata associate ad inibitori della glicoproteina IIb/IIIa, il cui utilizzo è stato 5 volte più frequente nel braccio eparina. La bivalirudina ha determinato una riduzione delle morti cardiovascolari e dei sanguinamenti maggiori, ma nonostante questo gli eventi cardiovascolari complessivi sono stati simili nei due gruppi. Tali risultati vengono inseriti nel contesto dei recenti trial HEAT-PPCI ed EUROMAX. •




PEGASUS-TIMI 54: l’utilizzo fino a 3 anni
 da eventi coronarici acuti del ticagrelor può prevenire gli eventi ischemici
Giuseppe Tarantini et al. commentano i dati del trial PEGASUS-TIMI 54, che ha confrontato in oltre 20 000 pazienti con pregresso infarto miocardico da almeno un anno l’efficacia di ticagrelor 90 mg bid vs ticagrelor 60 mg bid vs placebo. Lo studio ha dimostrato come ticagrelor 60 mg bid sia in grado di ridurre gli eventi ischemici e che anche il beneficio netto tra rischio ischemico e quello emorragico sia a favore di questo trattamento nei pazienti ad elevato rischio ischemico e basso profilo di rischio emorragico. Gli autori sottolineano come i risultati di questo trial non possano essere generalizzabili a tutti i pazienti che hanno avuto un infarto miocardico, ma come viceversa debbano essere valutati nel contesto delle caratteristiche e delle copatologie del singolo paziente. •

point break




In quali pazienti con miocardite acuta è indicata la biopsia endomiocardica? Il punto di vista della Scuola di Padova e del Niguarda di Milano
La biopsia endomiocardica è l’indagine che può condurre alla diagnosi di certezza di miocardite. Poiché le miocarditi possono avere una presentazione e un decorso estremamente variabile, e le competenze relative all’esecuzione e alla lettura delle biopsie cardiache sono sporadiche sul territorio, l’indicazione a tale esame varia da centro a centro nonostante siano presenti delle linee guida o delle consensus in merito. Proprio Alida Caforio è il primo autore del position statement della Società Europea di Cardiologia pubblicato nel 2013 e ci spiega perché sia utile che la biopsia endomiocardica entri nella routine clinica della gestione della maggior parte dei pazienti con miocardite. Enrico Ammirati et al. dell’Ospedale Niguarda invece ci offrono un approccio in parte diverso e in parte complementare in cui, seppur viene affermata l’importanza della biopsia endomiocardica, provano a delineare in quali pazienti con miocardite questa procedura interventistica sia indispensabile nella gestione di questa malattia potenzialmente fatale. •

al fondo del cuore




Lo studio CYCLE, ovvero come l’inibizione di un poro mitocondriale sembri non riuscire a ridurre il danno da ischemia e riperfusione dopo infarto miocardico acuto
Roberto Latini et al. ci presentano gli studi che hanno portato ad interessarsi dell’inibizione del mitochondrial permeability transition pore (MPTP) da parte della ciclosporina e che hanno costituito il razionale dello studio italiano CYCLE, che ha testato se tale farmaco fosse in grado di ridurre l’estensione dell’infarto nei pazienti pre-trattati con ciclosporina per via endovenosa prima dell’angioplastica primaria. Le analisi preliminari di tale studio, presentate all’ultimo congresso ANMCO e all’AHA 2014, hanno dimostrato che la risoluzione della deviazione del tratto ST all’ECG a 60 min dalla ricanalizzazione della coronaria e il livello plasmatico della troponina ad alta sensibilità in quarta giornata post-infarto non sono significativamente migliorate dall’utilizzo della ciclosporina, mettendo in dubbio i risultati di un precedente studio clinico pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 2008. Gli autori presentano inoltre altri studi recenti o in atto mirati a verificare approcci o molecole in grado di ridurre il danno da riperfusione, tra cui lo studio CIRCUS che anch’esso testa l’efficacia della ciclosporina nel ridurre gli outcome clinici dopo infarto miocardico nei pazienti trattati con ciclosporina. •

rassegne




Utilizzo dell’ecocardiografia transesofagea 3D nel monitoraggio del posizionamento di MitraClip
In questa sintetica rassegna Francesco Fulvio Faletra et al. ci presentano passo dopo passo l’utilizzo dell’ecocardiografia transesofagea 3D nel monitoraggio della procedura di posizionamento di MitraClip per la correzione percutanea dell’insufficienza mitralica come tecnica complementare all’approccio 2D. Vengono sottolineati i vantaggi del 3D in alcune situazioni legate alla capacità di visione d’insieme del setto interatriale, dello spazio dell’atrio sinistro nel quale il catetere guida si muove e della valvola mitrale. Di contro viene valutato come sia ancora insormontabile il limite temporale e spaziale di tale approccio nel monitoraggio della fase di aggancio dei lembi valvolari da parte del dispositivo che, quindi, deve essere guidata con l’approccio 2D. A conclusione, un’appendice sulla tecnologia 3D e le future prospettive. •




Aggiornamento sul trattamento percutaneo delle occlusioni coronariche croniche
In questo numero del Giornale, Roberto Garbo et al. rivedono il tema ancora dibattuto delle occlusioni coronariche croniche totali in termini di reale impatto sia sulla prognosi che sulle difficoltà tecniche di ricanalizzazione. In centri esperti si può arrivare nell’80-90% alla ricanalizzazione del vaso con un rischio definito dagli autori accettabile di 0.2% di mortalità e 2.9% di perforazione coronarica, ma nonostante questo tale approccio è ritenuto sottoutilizzato, anche se effettivamente mancano dati clinici forti a riguardo. Vengono discusse in modo accurato le tecniche procedurali: anterograda, retrograda e con supporto di ecografia intravascolare e le ulteriori differenti modalità di dilatazione o dissezione del corpo dell’occlusione come le tecniche parallel wire, STAR, kissing wire, CART, XCART, Knuckle. Vengono presentati i materiali specifici utilizzati come i microcateteri o i cateteri guida Mother-in-child. Tenuto conto che le occlusioni croniche totali si riscontrano nel 18-52% dei pazienti sottoposti a coronarografia a seconda dei registri considerati, avere delle nozioni sulle modalità di trattamento e sulla prognosi è rilevante. I trial in corso (DECISION-CTO, EURO-CTO ed EXPLORE) che ci presentano gli autori al termine della rassegna aiuteranno a definire in futuro in quali pazienti la ricanalizzazione di tali lesioni porterà ad un beneficio in termini di sintomi e prognosi. •

studio osservazionale
Articolo del mese




Analisi della frequenza e delle prestazioni cardiologiche eseguite nei 2 anni successivi ad un’angioplastica coronarica
In questo interessante studio di Corrado Lettieri et al., che hanno analizzato 780 pazienti consecutivi dopo angioplastica coronarica provenienti da strutture ospedaliere pubbliche, si è osservato che a 2 anni di follow-up erano state eseguite 5 prestazioni cardiologiche e che paradossalmente i pazienti a profilo di rischio più basso hanno ricevuto un numero maggiore di prestazioni rispetto a quelli a profilo di rischio più alto. Questo studio mette in evidenza come probabilmente vi sia una tendenza al sovra-utilizzo dei controlli clinico-strumentali cardiologici in questa categoria di pazienti e come dei percorsi di appropriatezza clinica e l’accorpamento di prestazioni possa ridurre le liste d’attesa ed evitare prestazioni superflue. •

dal particolare al generale




Infarto associato a stenosi occlusiva dell’arteria succlavia sinistra
In questo caso emblematico Alberto Cresti et al. ci ricordano che nei pazienti sottoposti a bypass aortocoronarico con arteria mammaria sinistra che si presentano con una sindrome coronarica acuta o un infarto, specie se alla coronarografia non è rilevabile una “culprit lesion”, deve essere eseguita un’angiografia selettiva dell’arteria succlavia nel sospetto di sindrome da furto coronarico della succlavia. Va detto che l’infarto come conseguenza di tale lesione è comunque molto raro, mentre è più comune la presenza di angina associata all’utilizzo dell’arto superiore sinistro. Predittori clinici di stenosi dell’arteria succlavia possono essere la presenza di soffio sottoclaveare sinistro e la differenza di pressione tra gli arti superiori >20 mmHg, segni che devono essere valutati qualora insorga il sospetto clinico di questa condizione. •




Gestione di dissezione acuta di bypass arterioso mammario sinistro mediante disostruzione dell’arteria interventricolare anteriore nativa per via retrograda con accessi radiale e femorale
In questo caso presentato da Marta Bande et al. viene messo in evidenza come l’approccio arterioso radiale, già discusso in questo numero relativamente al trial MATRIX, possa essere proposto anche nel trattamento di anatomie coronariche complesse, come in questa situazione di dissezione iatrogena occlusiva dell’arteria mammaria sinistra con necessità di disostruzione di arteria discendente anteriore. In questo caso gli autori ci presentano in modo elegante le loro scelte che hanno portato alla riapertura dell’arteria discendente anteriore per via retrograda attraverso il graft venoso anastomizzato sul ramo diagonale utilizzando un approccio combinato radiale e femorale, costituendo un buon esempio di quanto descritto da Roberto Garbo et al. su questo stesso numero del Giornale sulle possibili tecniche di disostruzione delle occlusioni coronariche croniche. •

position paper




Quando eseguire la coronarografia nei pazienti con angina stabile
In questo documento SICI-GISE, Alfredo Marchese et al. analizzano le indicazioni alla coronarografia nel paziente con angina stabile e vengono discussi in maniera critica alcuni importanti aspetti delle ultime linee guida europee sul trattamento della cardiopatia ischemica, che colpisce intorno al 13% degli uomini tra i 65 e gli 84 anni. Viene argomentato perché nei pazienti con angina tipica e plurimi fattori di rischio cardiovascolare o nei pazienti diabetici con sintomi confondenti ma particolarmente sospetti, si possa procedere in prima istanza ad esame coronarografico. Infatti, come gli autori discuteranno, tale approccio può stratificare in modo ottimale in termini prognostici ottenendo delle informazioni sull’anatomia coronarica, ed inoltre può identificare quei pazienti che in associazione alla terapia medica ottimale necessitano di rivascolarizzazione. •




Quali standard per i laboratori di emodinamica secondo il SICI-GISE
In questo documento SICI-GISE, Sergio Berti et al. descrivono i requisiti dei laboratori di emodinamica, aggiornando i precedenti documenti di consenso pubblicati nel 1996 e nel 2008. Questo documento si prefigge, alla luce dello stato attuale delle conoscenze e della realtà italiana, di presentare gli standard di qualità necessari al mantenimento di adeguate condizioni di esperienza e sicurezza, e i requisiti strutturali ed organizzativi indispensabili ad ottenere il miglior utilizzo delle risorse umane e tecnologiche. •